L’Occidente usa strumenti finanziari per dissuadere l’Argentina dall’ingresso nei BRICS, previsto per il 1° di gennaio 2024. Il tribunale di New York ha presentato al Governo di Buenos Aires un conto “salato” da 16 miliardi di dollari. Secondo l’OSCE il PIL dell’Argentina rischia di diminuire del 2% nel 2023, e ancora dell’1,2% nel 2024.
In teoria il 1° di gennaio 2024 l’Argentina, insieme ad altri cinque Paesi del mondo – Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran – entrerà nel gruppo dei BRICS, un’organizzazione internazionale, composta di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, che vogliono far passare il mondo a un nuovo sistema multipolare. L’Argentina ha presentato la richiesta di entrare nei BRICS nel settembre del 2022, dopodiché il Paese si è trovato sotto pressione degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che con molta insistenza hanno “consigliato” al presidente, Alberto Fernandez, di rivedere la propria decisione.
Il 18 luglio scorso, al meeting annuale di Bruxelles tra l’Unione Europea e la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), l’Argentina ha annunciato “il rinvio a un futuro non meglio precisato della propria adesione ai BRICS”. Ma un mese più tardi, al summit dei BRICS a Johannesburg, in Sud Africa, Fernandez ha di nuovo cambiato idea: “Diventare una parte integrante dei BRICS è una grande possibilità per rafforzare il nostro Paese”, aveva scritto il 24 agosto sulla sua pagina ufficiale della rete social X (ex Twitter) il presidente della Repubblica argentina.
L’Argentina è l’anello più debole dell’intero gruppo dei sei “nuovi arrivati” ed era assolutamente chiaro che, nei quattro mesi tra il summit dei BRICS e il 1° di gennaio 2024, l’Occidente avrebbe aumentato le pressioni per tenere Buenos Aires fuori del gruppo.
Prima di tutto l’Occidente ha usato la “carota”: il Fondo monetario internazionale ha approvato l’erogazione all’Argentina di una nuova tranche creditizia di 7,5 miliardi di dollari.
Quando si è visto che il “principio della carota” non ha funzionato, è stato immediatamente usato “il bastone” finanziario. L’impressione è che per dissuadere gli altri potenziali Stati-candidati dall’adesione ai BRICS – si parla di 40 Paesi del mondo interessati – sia stato organizzato un processo dimostrativo, una specie di “fustigazione in pubblico” dell’Argentina.
Quel che è accaduto è stato sintetizzato dall’Ambasciatore russo a Buenos Aires, Dmitrij Feoktistov: “L’Occidente sta spietatamente stringendo l’Argentina nella morsa finanziaria”, ha dichiarato ai giornalisti il diplomatico russo.
E questo perché l’Argentina ora rischia di dover pagare 16 miliardi di dollari per la nazionalizzazione della società gaspetrolifera YPF Argentina SA, dopo una sentenza emessa l’8 settembre scorso dal tribunale distrettuale Sud di Manhattan, a New York. Il verdetto del giudice statunitense, Loretta A. Preska, non ha indicato la cifra esatta che andrebbe come risarcimento danni a Burford Capital e a Eton Park, ma gli esperti hanno calcolato che il pagamento potrà raggiungere i 16 miliardi di dollari.
La nazionalizzazione di YPF Argentina SA fu decisa nel 2012 dall’allora Governo di Cristina Fernández de Kirchner che, con il pretesto di “investimenti insufficienti”, fece tornare nelle mani dello Stato il 51% della YPF che all’epoca apparteneva alla spagnola Repsol. Nel 2014 l’Argentina e Repsol hanno raggiunto un compromesso in base al quale il gruppo spagnolo ha ottenuto una compensazione di 5 miliardi di dollari.
Separatamente dall’intesa tra l’Argentina e Repsol, Burford Capital, studio legale internazionale con sede a Londra, ha acquisito da Petersen Energía i diritti del 25% della YPF e ha fatto causa all’Argentina per risarcimento danni. Lo stesso è stato fatto dalla società Eton Park, che entrò nel capitale della YPF due anni prima della nazionalizzazione e ne controllava l’1,63% del capitale, per un valore pari a 250 milioni di dollari.
La sentenza del tribunale USA ha messo l’Argentina in imbarazzo. Gabriela Cerruti, portavoce dell’amministrazione presidenziale ha ribadito che “Buenos Aires continuerà a lottare per difendere la nostra sovranità energetica e la nostra compagnia statale YPF da tutti i fondi-avvoltoi”. È stato reso noto che Buenos Aires ricorrerà in appello, aprendo una fase di negoziati per tentare di ridurre l’eventuale futuro impatto della decisione sulle finanze del Paese.
Il politologo ed economista argentino, Matias Cacciabue, ha dichiarato di sperare che i BRICS possano aiutare l’Argentina a “risolvere i suoi problemi economici e finanziari”.
Secondo le ultime valutazioni dell’OCSE, l’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica con sede a Parigi, l’Argentina è il “fanalino di coda” dei Paesi del G20. In settembre gli analisti dell’OSCE hanno rivisto ancora al ribasso le proprie stime relative all’andamento dell’economia di questo Paese sudamericano e hanno avvertito che l’Argentina rischia una recessione anche l’anno prossimo: nel 2023 il PIL argentino dovrebbe diminuire del 2% rispetto ai risultati del 2022, e ancora di un altro 1,2% nel 2024. Il rating creditizio dell’Argentina è stato declassato cinque volte, passando da B2 nel 2001, all’attuale Ca.
L’Argentina è arrivata alle elezioni presidenziali, in programma il mese prossimo, con un tasso d’inflazione del 113% su base annua. Come hanno scritto i media locali tutti e tre gli sfidanti del presidente uscente Alberto Fernandez, da Patricia Bullrich del partito Cambiemos, al libertario radicale, Javier Milei, fino al “peronista”, Sergio Massa, “hanno riconosciuto la centralità delle questioni economiche per il futuro dell’Argentina”, promettendo ai propri elettori “alcuni interventi coraggiosi” anche in materia fiscale.
“La storia del Paese, tuttavia, dimostra che i potenziali rischi relativi alla governabilità e ai disordini sociali hanno spesso rappresentato un freno all’azione politica”, ha scritto il politologo Riccardo Cantadori. E in molti, non soltanto in Argentina ma in tutto il mondo, stanno ora seguendo con molta attenzione come si comporteranno i BRICS in questa situazione estremamente complicata.