C’è chi sostiene che le tecnologie di cattura e di stoccaggio di anidride carbonica siano una specie di panacea per fermare i cambiamenti climatici. Gli ambientalisti protestano: è un’operazione di “greenwashing” condotta dalle compagnie petrolifere.
La Svizzera seppellirà nei mari migliaia di botti di plastica con dentro del CO2 liquido
È passata praticamente inosservata una notizia, secondo la quale “dal 2024 la Svizzera potrà esportare l’anidride carbonica (CO2) all’estero e stoccarla nei fondali marini”. In questo modo il Paese alpino cercherà di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di gas serra. Mercoledì 22 di novembre il Consiglio Federale, così si chiama il Parlamento svizzero, “ha ratificato l’emendamento ad hoc al relativo trattato internazionale”. Lo stoccaggio permanente di CO2 è una parte essenziale della politica climatica se “vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici internazionali e nazionali”, ha dichiarato il Governo elvetico.
È vero che l’anidride carbonica può essere stoccata sul fondo marino in conformità con il Protocollo del 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti e altre materie (Protocollo di Londra). Questo Protocollo vieta qualsiasi esportazione di rifiuti per lo smaltimento in mare, come sottolinea il Consiglio federale. Tuttavia, l’emendamento del 2009 crea un’eccezione proprio per lo stoccaggio di CO2 in mare.
Le tecnologie di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica sono conosciute da decenni ma ora sono in discussione poiché non ci sono informazioni sull’effetto di reintroduzione della CO2 nel sottosuolo
Anche se trascurata, questa notizia mette in luce uno dei tanti problemi legati allo sviluppo e alla messa in funzione della tecnologia di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, sempre più spesso indicata con l’acronimo inglese CCS (Carbon Capture and Storage).
La tecnologia di carbon capture esiste da decenni. Già nel 1972 iniziò a funzionare un impianto di trattamento di gas naturale a Terrell, nel Texas, che ha forniva anidride carbonica attraverso il primo oleodotto di CO₂ su larga scala e su lunga distanza a un giacimento petrolifero. Tuttavia l’applicazione della tecnologia carbon capture alla generazione energetica è però relativamente recente. Oggi poi quando si parla di carbon capture si aggiunge di solito un passaggio fondamentale: lo stoccaggio (storage). Uno dei primi progetti di implementazione di CCS è stato quello della compagnia norvegese Equinor: nel 2008, allora con il nome di Statoil, nel giacimento di gas di Snøhvit nel mare di Barents, fu avviato lo stoccaggio di CO₂, che viene reintrodotta nel giacimento stesso. La capacità massima di stoccaggio prevista era di 700.000 tonnellate di CO₂ all’anno.
Tra tutti i Paesi europei la Norvegia è quello che sembra avere molta fiducia nelle tecnologie CCS: nel settembre del 2020 il primo ministro norvegese di allora, Erna Solberg, ha annunciato l’erogazione di un finanziamento per il mega progetto “Longship” che comprendeva tutta una serie di iniziative nel CCS, tra cui un impianto per catturare le emissioni di un cementificio del gruppo HeidelbergCement e un altro impianto per sequestrare la CO2 di un inceneritore vicino a Oslo, la capitale norvegese. Nel pacchetto c’era anche l’iniziativa “Northern Lights”: una joint-venture tra Equinor, Shell e Total per realizzare un sistema CCS con cui trasportare via nave la CO2 liquida, catturata da diversi stabilimenti industriali, fino a un terminale sulla costa occidentale del Paese.
Il mondo scientifico è diviso sulle prospettive delle tecnologie che attualmente sono disponibili all’umanità
Gli scienziati di tutto il mondo sono divisi sulle prospettive: c’è chi sostiene che le tecnologie CCS rappresentano una “panacea vera e propria” per curare il clima di un pianeta sempre più in sofferenza a causa del surriscaldamento globale. Altri invece sostengono che l’umanità non disponga ancora di tecnologie adeguate, per cui i miliardi di dollari stanziati per la costruzione degli impianti CCS sarebbe meglio investiti nel potenziamento delle fonti per la produzione di energie rinnovabili visto che grande parte dell’anidride carbonica emessa deriva dall’uso dei combustibili fossili. Le autorità scientifiche internazionali hanno riconosciuto che l’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera è sia il principale responsabile del cambiamento climatico e in tutto il mondo numerosi centri di ricerca scientifica stanno sviluppando tecnologie e sistemi per catturarla in quantità industriali.
Attualmente nell’atmosfera terrestre la concentrazione di CO2 è stimata in 420 parti per milione, ovvero 1,5 volte in più rispetto alla quantità (278 per milione), registrata prima della Rivoluzione Industriale. Vale a dire che solo lo 0,042% dell’aria è costituito da anidride carbonica.
Proprio l’ancora relativamente bassa concentrazione è il principale ostacolo alla cattura di CO2 direttamente dall’atmosfera: un semplice calcolo dimostra che per sottrarre un litro di CO2 bisogna filtrare come minimo 2.500 litri di aria, un processo costosissimo e poco efficiente.
Per questo motivo nell’ultimo decennio le ricerche scientifiche si sono concentrate in gran parte sullo sviluppo di tecnologie di cattura e di stoccaggio dell’anidride carbonica da posizionare direttamente dove viene prodotta la maggior parte dell’inquinamento. Ma sembra che la strada verso la maturità commerciale della tecnologia CCS sia sempre più in salita.
In Italia Eni voleva investire le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) nella costruzione di un maxi sito di stoccaggio del carbonio dentro gli ex giacimenti di gas al largo di Ravenna. La proposta è stata cancellata dalla nuova versione del PNRR ora all’esame delle Camere.
Negli Stati Uniti il CCS incassò una serie di sconfitte “sonanti” nel 2021, dopo la messa fuori servizio a tempo indeterminato dell’impianto di Petra Nova che sequestrava una parte della CO2, emessa dalla centrale a carbone e gas Parish Generation Station in Texas, un gigante da 3,6 gigawatt, la seconda centrale fossile più grande degli Stati Uniti. Il gestore dell’impianto, NRG Energy dichiarò allora di non ritenere più “sostenibile l’impianto CCS dal punto di vista economico e finanziario”. E questo perché le tecnologie CCS attualmente disponibili sono molto dispendiose: per alimentare il sistema americano di Petra Nova era stato necessario realizzare un’unità a gas dedicata. Come hanno spiegato gli specialisti “Petra Nova bruciava gas fossile (senza compensare le relative emissioni inquinanti) per alimentare l’impianto CCS, che a sua volta catturava soltanto una piccola parte della CO2 emessa dall’intero colosso a carbone”.
Ma non è l’unico episodio di questo tipo. Nel gennaio 2022 l’azienda petrolifera statunitense Occidental Petroleum (Oxy) ha svenduto Century, uno dei più grandi impianti che utilizzava la tecnologia CCS, sempre a causa dei “costi esageratamente alti di gestione” e soprattutto della “bassa resa del sistema”. Il progetto era stato avviato più di dieci anni fa e secondo un’analisi dell’agenzia Bloomberg ha dimostrato “quanto sia ancora difficile sviluppare iniziative sostenibili per ridurre l’immissione nell’atmosfera di ‘nuova’ anidride carbonica”. Secondo il rapporto di Bloomberg “l’impianto non portò mai ai risultati previsti da Occidental Petroleum: tra il 2018 e il 2022, il sistema rese possibile la sottrazione dall’atmosfera di meno di 800.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno, ovvero meno del 10% di quanto era stato inizialmente prospettato da Oxy”.
Il boom negli Stati Uniti della tecnologia Direct Air Capture (DAC) che rimuove la CO2 direttamente dall’atmosfera
E nel 2023 gli Stati Uniti hanno deciso di cambiare rotta, dando priorità alle tecnologie che catturano la CO2 dall’aria. Nell’ambito del programma “Investing in America”, lanciato dal presidente Joe Biden, il 9 di novembre il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) ha annunciato lo “stanziamento di 1,2 miliardi di dollari per promuovere lo sviluppo di due impianti di Direct Air Capture (DAC), ovvero la rimozione meccanica della CO2 direttamente dall’atmosfera”, che saranno costruiti in Texas e Louisiana.
Questi due maxi progetti dovrebbero diventare i primi di una fittissima rete nazionale di siti per la rimozione della CO2 dall’aria. Il DOE in una nota ha sottolineato che “si tratta del più grande investimento al mondo nel carbon removal”. Le previsioni riguardo l’efficacia degli impianti sono molto rosee: insieme, questi due siti dovrebbero rimuovere dall’atmosfera più di 2 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica ogni anno, una quantità equivalente alle emissioni annuali di circa 445.000 auto a benzina. Sul piano occupazionale saranno creati circa 5.000 nuovi posti di lavoro. La costruzione dell’impianto in Louisiana, chiamato “Project Cypress,” è stata affidata alle società Battelle, Climeworks Corporation e Heirloom Carbon Technologies, mentre in Texas la costruzione di “South Texas DAC Hub” sarà guidata dalla trojka, composta di 1PointFive (controllata da Occidental), Carbon Engineering e Worley.
“La sola riduzione delle nostre emissioni di carbonio non invertirà i crescenti impatti del cambiamento climatico. Dobbiamo anche rimuovere la CO2 che abbiamo già immesso nell’atmosfera, che quasi tutti i modelli climatici chiariscono è essenziale per raggiungere un’economia globale a zero emissioni nette entro il 2050”, ha spiegato il segretario all’Energia degli Stati Uniti, Jennifer Granholm.
Il fallimento del progetto CCS Century non ha scoraggiato Occidental Petroleum che intanto sta sperimentando con investimenti nella tecnologia DAC. Nel Texas Occidentale sono in corso i lavori di costruzione di una nuova struttura che catturerà anidride carbonica dall’atmosfera. L’impianto, chiamato Stratos, quando entrerà in funzione nel 2025, sarà il più grande del mondo. Il progetto è sostenuto direttamente dal presidente Biden e viene finanziato dalla Occidental Petroleum, che intanto aveva acquistato per 1,1 miliardi di dollari la Carbon Engineering, società canadese fondata dal professore di Harvard David Keith, che sostiene di aver sviluppato una “tecnologia davvero rivoluzionaria” di cattura dell’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera.
Gli impianti DAC crescono come funghi: in California, nell’area di San Francisco, la startup Heirloom ha lanciato un impianto commerciale di cattura diretta della CO2 dall’atmosfera: è stato annunciato che grazie alle tecnologie “innovative e sostenibili” entro il 2035 sarà “catturato” un miliardo di tonnellate di anidride carbonica.
Le proteste degli ambientalisti: “DAC è una spudorata operazione di greenwashing dei tycoon petroliferi”
Può sembrare paradossale, ma gli ambientalisti in America si schierano contro i progetti basati sulle tecnologie DAC, simili a Stratos di Occidental Petroleum. Come ha scritto la stampa americana “dal loro punto di vista si tratta di progetti che in realtà faranno poco o niente per l’obiettivo urgente di ridurre le emissioni”. Per i difensori dell’ambiente in questo modo le compagnie petrolifere e le altre industrie dei combustibili fossili si comprano una specie di indulgenza per “continuare a inquinare sfruttando il denaro pubblico, una vera e propria operazione di greenwashing”, come si identifica la strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine positiva di un’impresa dall’elevato impatto ambientale.
Come ha dichiarato Jonathan Foley, direttore esecutivo di Project Drawdorn, la cui missione è aiutare il mondo a fermare il cambiamento climatico “pagheremo una compagnia petrolifera per estrarre la spazzatura dal terreno e poi la pagheremo per rimetterne un po’ dentro: è ovvio che questa non è una soluzione climatica”.
Vale a dire che per risolvere problemi così complicati come quello del riscaldamento globale, non esistono soluzioni né semplici, né unilaterali. Le tecnologie DAC e CCS vanno perfezionate e sviluppate in parallelo l’una all’altra. L’Agenzia internazionale dell’energia (International Energy Agency, IEA) ha sottolineato che malgrado le attuali difficoltà che incontrano i progetti CCS le “ricerche non devono essere abbandonate”.
Purtroppo però la Svizzera non ha trovato delle soluzioni tecnologiche per riutilizzare la CO2 e ha deciso di seppellire migliaia di botti di plastica in fondo al mare. Ma quello del riutilizzo dell’anidride carbonica è un tema a parte.