Il Governo cinese: rilanciare l’economia sarà un’impresa ardua, ma fattibile.
Il 17 agosto scorso China Securities Regulatory Commission, l’Autorità di regolamentazione dei titoli cinesi (CSRC) ha annunciato un pacchetto di riforme, volto a ripristinare la fiducia degli operatori finanziari cinesi e internazionali, e anche a rilanciare gli investimenti e a dare spinta alla crescita del commercio interno. Gli ultimi mesi, segnati da una crescita economica piuttosto debole hanno messo gli investitori in stato di fibrillazione: secondo i dati pubblicati dall’Institute of International Finance (IIF), nella prima metà di agosto i gestori internazionali di capitali hanno venduto titoli cinesi per circa 3,7 miliardi di dollari.
Vale a dire che le misure, preannunciate dalla commissione CSRC, dovranno far fronte ai problemi economici e finanziari del Paese dopo una debole ripresa dalle rigide restrizioni della pandemia dello scorso anno.
In particolare sarà valutata l’opportunità di “estendere l’orario di negoziazione per i mercati azionari e obbligazionari” della Cina. Inoltre il Regolatore si è impegnato a “ridurre le commissioni di transazione per i broker”. Inoltre l’Autorità “incoraggerà i riacquisti di azioni proprie – principalmente quotate alla piazza STAR di Shanghai – per aiutare a stabilizzare i prezzi dei titoli cinesi”. Infine la CSRC “aiuterà gli operatori finanziari a mantenere i tempi ‘accettabili’ per IPO e per i contratti di rifinanziamento dei debiti”.
“Vogliamo incoraggiare le società pubbliche e le maggiori società private a partecipare attivamente alle operazioni di fusione e acquisizione (M&A)”, ha sottolineato un rappresentante del Regolatore ai media cinesi.
Secondo alcune indiscrezioni il pacchetto di misure della commissione CSRC potrà includere anche una possibile riduzione dell’imposta di bollo sulle transazioni in titoli.
Sul piano della dinamica di crescita, il mercato azionario cinese si trova molto indietro rispetto ad altre maggiori piazze. Dall’inizio dell’anno l’indice CSI 300, che comprende i titoli quotati alle borse di Shanghai e di Shenzhen, ha lasciato sul terreno il 2%, mentre nello stesso periodo di tempo l’indice S&P 500 ha guadagnato quasi il 14 per cento.
Mentre il Regolatore ha detto che per il momento stava soltanto “considerando” l’opportunità di mettere in atto le misure, destinate a “rianimare” i mercati finanziari cinesi, alcuni rappresentanti delle banche d’investimento con sedi a Pechino e a Shanghai hanno detto che l’analisi del tradizionale linguaggio “evasivo” delle autorità cinesi permette di capire “che la commissione CSRC sarebbe già in procinto di approvare le misure”.
La possibile estensione dell’orario di negoziazione per azioni e obbligazioni è stata definita “fondamentale” dagli investitori. “È l’estensione dell’orario di negoziazione che avrà un impatto reale sul sentimento del mercato”, ha dichiarato al quotidiano britannico Financial Times un banchiere senior presso uno dei maggiori broker in Cina.
Il 24 luglio scorso è stata convocata una riunione urgente dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese, alla presenza del presidente Xi Jinping, per analizzare lo stato dell’economia e per decidere azioni urgenti contro la minaccia di recessione. Il supremo organo decisionale della Cina ha dichiarato che “l’economia cinese sta affrontando nuove difficoltà e nuove sfide”. Alla base dei problemi si trovano “una domanda interna insufficiente, difficoltà nell’operatività di alcune imprese”, ma anche “una situazione esterna cupa e complessa”.
Il recente inasprimento delle tensioni tra Pechino e Washington ha aiutato davvero poco l’economia cinese a decollare: su base annua nel periodo tra l’aprile e il giugno 2023 il PIL cinese è aumentato del 6,3%, decisamente al di sotto della previsione di crescita del 7,3%.
Le dichiarazioni dei vertici politici cinesi hanno messo sotto i riflettori il più grande problema strutturale della Cina: è un’economia “fondata” sull’export a cui ora iniziano a mancare i consumi interni.
Ed è proprio l’export cinese a destare grandi preoccupazioni. Nel gennaio-giugno del 2023 gli interscambi commerciali tra la Cina e gli Stati Uniti sono diminuiti rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente del 14,5%, scendendo a quota 327 miliardi di dollari. La flessione ha colpito soprattutto le esportazioni americane verso la Cina che hanno registrato una diminuzione del 17,9% attestandosi 239 miliardi di dollari. È calato anche l’export cinese verso gli Usa, ma in proporzioni decisamente minori: nella prima metà del 2023 Pechino ha esportato in America prodotti e servizi per 87,9 miliardi di dollari (-3,7%).
Aumentano invece le esportazioni delle macchine e dei macchinari cinesi verso la Russia. Secondo i dati pubblicati da Forbes, nei primi sei mesi del 2023 il valore “di macchinari, di macchine utensili e di impianti tecnologici cinesi esportati in Russia è stato pari a 31,5 miliardi di dollari, quasi il doppio dell’analogo periodo del 2022”.
Ma non è stata di certo la prima volta che i mercati finanziari cinesi devono affrontare il problema della fuga di capitali. Una situazione simile si era verificata alla fine del 2022 quando in seguito alla politica draconiana “zero-Covid”, imposta dal Governo per bloccare i contagi, erano state riversate sul mercato azioni e obbligazioni per un totale di 7,9 miliardi di dollari, ovvero il doppio di adesso.
Negli ultimi mesi i dati economici della Cina si sono trovati sotto la lente d’ingrandimento degli analisti internazionali che iniziano a dubitare della capacità di Pechino di rimettersi in piedi. Le maggiori banche d’affari internazionali stanno soffiando sul fuoco: sostengono che quest’anno la Cina non rispetterà l’obiettivo di crescita del 5%. I problemi cinesi hanno ripercussioni nei mercati azionari asiatici e non soltanto: l’indice MSCI delle azioni dell’Asia-Pacifico (Giappone escluso) è sceso la scorsa settimana a quota 495,03 punti, ovvero ai minimi registrati sin dal settembre 2022.
Il comparto immobiliare della Cina da parecchio tempo “in rosso” ha contribuito molto a far aggravare la crisi finanziaria. Lo scorso 6 agosto, il colosso dell’industria delle costruzioni cinese Country Garden ha annunciato che “salterà il pagamento di 22,5 milioni di dollari di obbligazioni” e ha rincarato la dose, preannunciando “di aver problemi anche per quel che riguarda i pagamenti di tre emissioni di bond riservati al mercato interno”. Per gli analisti il default di Country Garden, il più grande gruppo immobiliare della Cina, sarebbe “più che imminente”.
Country Garden, fondata dall’ex agricoltore Yang Guoqiang nel 1992, ha beneficiato del più grande boom immobiliare mondiale. Il suo successo è diventato un simbolo della notevole crescita economica, un “miracolo” quasi, della Cina.
Ed è stata una reazione a catena: la crisi del mattone ha messo in grande difficoltà il colosso dei fondi d’investimento Zhongrong International Trust.
E ora Pechino riconosce che rilanciare l’economia sarà un’impresa ardua, ma fattibile. “La ripresa sarà un processo accidentato e tortuoso, ma alla fine i critici occidentali saranno smentiti”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, secondo il quale “la Cina nonostante tutto continuerà a essere fonte di forza per la crescita dell’economia mondiale”.