COP28 A DUBAI (30 NOVEMBRE – 12 DICEMBRE 2023)

Un articolo di: Luciano Larivera
Considerazioni sull’Esortazione Apostolica Laudate Deum sulla crisi climatica

Il Romano Pontefice ha dato alle stampe un nuovo documento del magistero sociale ordinario della Chiesa cattolica: l’esortazione apostolica “Laudate Deum sulla crisi climatica”: nel giorno della festa del suo San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e “santo politico” (cfr. la sua missione in Egitto dal sultano durante la V crociata).

Vero magistero cattolico

Un’esortazione apostolica è uno dei “format” in cui il Papa esercita il suo magistero ordinario su temi di fede e morale; non ha la “dignità” di un’Enciclica ma il suo valore resta prioritario e universale. Il termine “ordinario” va inteso nel senso di “mettere ordine”, di “comune per tutti”, e non in modo deteriore (“qualcosa di banale”). Si pensi al valore dell’aggettivo “ordinario” posposto al titolo universitario “professore”.

Per di più lo stesso Pontefice (cfr. le numerose note a piè di pagina), rimarca la continuità di Laudate Deum (LD) con le sue due encicliche sociali Laudato si’ (24 maggio 2015) e Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Inoltre la stessa Evangelii gaudium (24 novembre 2013), sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (citata alla nota 43 di LD) è pure un’esortazione apostolica. Ed in essa è racchiuso il manifesto metodologico di Francesco.

Essendo un “documento del magistero ordinario”, verso cui tutti i cattolici (adulti) sono chiamati a offrire ossequio dell’intelligenza e della volontà, essi sono tenuti a leggere e meditare la Laudate Deum (anche perché non è lunga). E dovranno abbandonare l’eventuale negazionismo e la confusione sulle conseguenze ambientali catastrofiche dell’effetto serra prodotto dalle attività umane e, di conseguenza, insieme mobilitarsi a fare politica. Quindi, almeno a loro, buona lettura. Ecco il testo in 8 lingue.

Di seguito si offre una ripresentazione del documento e non un riassunto. Le parole che seguono intendono rimarcare che questo documento è radicalmente, cioè nel suo profondo: un insegnamento di “teologica politica”, nel senso di un pensiero critico (e non dogmatico-religioso) in confronto alla contemporaneità. Francesco scrive di «pungiglione etico (cfr. LD 29). E questo sia perché Laudate Deum è rivolta a “tutte le persone di buona volontà”; sia perché da sempre il magistero sociale dei papi offre, alla comunità internazionale (almeno intesa come: Stati e istituzioni multilaterali), una piattaforma di ragionevolezza pratica su cui promuovere sicurezza e benessere condiviso, cioè la pace sostenibile.

Per inciso: questa l’esortazione apostolica cita in modo organico i rapporti di due istituzioni internazionali IPCC (Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) e UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) a fondamento del magistero petrino, e ricorda rilanciandoli, gli accordi sul clima.

Purtroppo, la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche

Alle persone di buona volontà

Laudate Deum è indirizzata esplicitamente alle persone di buona volontà. In primis a coloro che hanno una volontà che conta, ossia a chi possiede autorità politica o altre forme di potenza. Si tratta di un appello a chi può agire perché agisca. Nell’immediato: alla prossima Convezione delle Parti del patto ONU sui cambiamenti climatici (COP28, Dubai, 30 novembre -12 dicembre), a cui sono dedicati i capitoli quarto e quinto dei complessivi sei, distribuiti su 73 paragrafi.

La (non) questione è: “Purtroppo, la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili” (LD, 13).

Questo significa che il grosso dell’economia mondiale, con le sue logiche capitalistiche private o pubbliche, deroga alla politica, depoliticizza la società internazionale. In altre parole tali potenze economiche (stati e attori privati) impiegano la tecnologia (digitale ecc.) e la tecnica (soprattutto quella amministrativa, burocratica, manageriale) per interessi solo di parte. Mentre il dettato delle scienze ecologiche (sulla salute del clima e della biosfera) e delle scienze sociali (sulla salute dell’umanità) non indirizzano l’agenda politica, perché essa è guidata dalla logica capitalistica.

Ma politicizzare la logica capitalistica, ossia assolutizzarla (se non proprio divinizzarla come ancora di salvezza) non è politica. Per lo meno è a-politica. Ma sovente è anti-politica, depoliticizzazione: perché è in funzione dell’accrescimento della ricchezza e della potenza di chi già la esercita e di pochi nuovi entranti. Se per di più la politica è solo appannaggio delle élite (legittimantesi con vani e menzogneri principi meritocratici, se assolutizzati, o peggio con la violenza), allora ancora di più questa non è politica, Secondo il ragionamento del Papa, si tratta del predominio del paradigma tecnocratico a cui la politica delega la sua azione.

Il paradigma tecnocratico è ideologico perché non si legittima in termini di “salvezza” di tutti davanti ai cambiamenti climatici

Il paradigma tecnocratico anti-politico

Purtroppo il paradigma tecnocratico si è appropriato del dominio politico, attribuendo al mercato capitalistico nazionale, regionale e globale il principio (illusorio) di regolazione della res publica planetaria. Il paradigma tecnocratico magari cerca di metter ordine al caos, o vorrebbe contenerlo. Ma non essendo un paradigma politico, che include prioritariamente la partecipazione dei popoli e dei loro rappresentanti legittimi, è funzionale agli interessi preminenti di una parte. La politica invece cerca di contemperare il conflitto sociale persistente senza eliminare i legittimi interessi delle parti. Quindi la politica in senso proprio è assente se una o più parti dominano e fanno violenza sulle altre (figuriamoci se una di queste parti è costituita dalle generazioni umane non ancora nate).

Quindi il paradigma tecnocratico (con la meritocratica delle sole élite) è ideologico perché non si legittima in termini di “salvezza” di tutti davanti ai cambiamenti climatici (e ad altre crisi). Infatti garantisce se stesso e «si nutre mostruosamente di se stesso» (LD 21): altro che bene comune! E così il Papa rincara la critica, congiuntamente politica ed etica: il paradigma tecnocratico «è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale» (LD 20) e ne ripartisce gli effetti nefasti sui più poveri. Esso è anti-politica, è anti-potere, è violenza,

Riprendendo invece il pensiero di Hanna Arendt (Sulla violenza,1968), il potere corrisponde alla capacità umana non solo di agire ma di agire di concerto. Esso appartiene a un gruppo ed esiste soltanto finché il gruppo rimane unito. Qualcuno “è al potere” se è stato messo lì da un certo numero di persone perché agisca in nome loro. E per noi, non soltanto occidentali, la sovranità (ossia il potere costitutivo, quello politico) appartiene al popolo, Non lo riconosciamo né conferiamo più né a Dio né a un suo singolo rappresentante terreno. Senza un gruppo e senza un popolo, scompare il potere e viene sostituito dalla violenza. E quando la violenza non è controllata dal potere, vince il caos, la guerra civile dove la violenza nutre se stessa.

In effetti osserviamo lo sfruttamento irragionevole del pianeta e l’impoverimento della vita in tutte le sue forme. Per questo il fine del paradigma tecnocratico, al di là di ogni sua e nostra autoillusione, è la fine della politica: l’assoggettamento del genere umano a pochi (anche digitalmente armati). Non va confuso potere (formale) con potenza (reale), ma la potenza deve appartenere a chi ha il potere legittimo, cioè legittimato dal popolo nelle sue componenti, il quale proprio la politica ha il compito di fare emergere, custodire e promuovere.

Il Papa scrive quindi: “Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai sui limiti” (LD 28). Francesco non si appella al potere di Dio, ma denuncia la crisi della politica: “la decadenza etica del potere reale” che è «mascherata dal marketing e dalla falsa informazioni, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di esse» (LD 29).

Il Pontefice critica la triade potere, economia e comunicazione perché sta agendo di concerto ma mistificando il potere umano, e attribuisce alla tecnica (monetaria-finanziaria, digitale e burocratico-manageriale) il ruolo di meccanismo regolatore della società. E così si manifesta come trinità infernale, che deroga sulla dignità della persona umana.

L’esigenza pre-politica di cercare il senso delle cose è presentata da Francesco alla coscienza di chi esercita il potere

Il “Socrate di Mosca”

A questo proposito è cruciale evidenziare la citazione pontificia del “Socrate di Mosca” (Vladimir Sergeevič Solov’ëv, 1853-1900) perché una “teologia politica” (in senso moderno, quindi in contesto cristiano e post-cristiano) non può che essere ecumenica, occidentale e orientale insieme. La stessa idea cristiana di Europa non è occidentalista ma paneuropea: ebraica, siriaca, greca, latina, germanica, slava. Cirillo e Metodio sono europei quanto Carlo Magno. La cultura russa in particolare custodisce una straordinaria sapienza di pace e di non violenza (cfr. N. Valentini, “Il patrimonio da salvare”, in Il Regno – Attualità 14/2022, 463-472). Questo profondo patrimonio teologico, spirituale, mistico non va mistificato né sotterrato, ma contribuisce a offrire una risposta di senso e di giustificazione alla gente per una nuova politica europea, occidentale e mondiale.

Ecco quanto scrive il Papa: “Si può ripetere oggi con l’ironia di Solov’ëv: ‘Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere l’ultimo’” (da I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Bologna 2021, 256). E Francesco subito aggiunge: “Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi” (LD 28).

L’esigenza pre-politica (non necessariamente religiosa) di cercare il senso delle cose è presentata da Francesco alla coscienza di chi esercita (o meno, o male) il potere: «qual è il senso della mia vita, qual è il senso del mio passaggio su questa terra, qual è in definitiva il senso del mio lavoro e del mio impegno?» (LD 33). E, diversi paragrafi dopo, il Pontefice incalza citando la sua Laudato si’ (LS 57): “Ai potenti oso ripetere questa domanda: ‘Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?’” (LD 60).

Questa domanda non è rivolta soltanto alle autorità che parteciperanno alla COP28. La teologia politica del Papa è appello alla profondità storica, alla comprensione di come è nato, è evoluto e sta degradandosi il multilateralismo. Francesco rimarca, come già fece Giovanni XXIII nella Pacem in Terris (1963), la necessità di un’autorità mondiale regolata dal diritto e dotata di vera autorità (cfr LD 34-35). Ma questo significa non tanto salvaguardare il principio di sussidiarietà e il contributo essenziale dei soggetti intermedi al bene collettivo. Non sono essi a latitare.

 

L’attuale multilateralismo non soltanto è inefficace ma soprattutto non è frutto di un nuovo processo di costituzionalizzazione

Riconfigurare il multilateralismo

Il Papa domanda di «riconfigurare il multilateralismo» e di «ricrearlo alla luce della nuova situazione globale» (LD 37) Non basta il «multilateralismo dal basso» davanti all’egemonia delle élite. Non si tratta soltanto di «fare pressione», perché “se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali” (LS 179)” (LD 38). Questo significa fare politica esercitando la potenza e non la mera l’influenza, cioè partecipare ai processi (democratici) per accedere alle cariche politiche di rappresentanza.

Purtroppo l’attuale multilateralismo non soltanto è inefficace, e quindi perde in parte la sua legittimità e giustificazione; ma soprattutto non è frutto di un nuovo processo di costituzionalizzazione che riconfiguri un nuovo patto tra gli Stati. Infatti l’attuale Statuto delle Nazioni Unite non soltanto non basta ma deve rispondere a un nuovo popolo di popoli e a un nuovo ciclo storico, quello di un nuovo multipolarismo. Questa è una situazione di fatto, non eludibile, ma allora come allora anche riconoscerlo in un nuovo quadro legale al servizio della politica? Perché popoli grandi e minimi sono i soggetti eguali della sovranità, a loro insieme spetta fondare e legittimare questo nuovo multilateralismo.

Il nuovo multilateralismo non può che essere azione politica. Deve esserlo. Cioè deve «risolvere i veri problemi dell’umanità, cercando soprattutto il rispetto della dignità delle persone in modo che l’etica prevalga sugli interessi locali o contingenti» (LD 39). E «non si tratta di sostituire la politica» (LD 40). Cioè il nuovo ruolo delle potenze emergenti non è legittimato dal riconoscere la loro minacciosità o meramente dal fare spazio alle loro élite tra quelle già esistenti, occidentali o meno. La politica non è questa.

Invece il riconoscimento del multipolarismo con le “potenze (ri)emergenti” si giustifica e si garantisce perché «sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia» (ivi). E il Papa puntualizza che lo spazio della politica include ed integra anche qualsiasi “Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile” (ivi). Altrimenti qualsiasi nuovo multipolarismo sarà sempre anti-politica, fondato sulla minaccia e produttore di violenza da parte dei forti di turno: un ulteriore autolesionismo.

L’eguaglianza di popoli e di persone è condizione per questa nuovo multilateralismo, il quale necessita la legittimatone da una “costituzione mondiale” (concetto non così esplicitato da Papa ma da chi scrive). È soltanto della politica il compito di creare le condizioni perché tutto ciò si possa realizzare. Ciò non è delegabile ad altri attori (come i rappresentanti delle religioni, delle corporation o della società civile, anche se associati). Soltanto la politica permette alle persone e ai gruppi di trascendere se stessi nel contesto plurale del pianeta. Non abbiamo altra attività umana a tale scopo, il resto e utilissimo, ma sussidiario. Salvo la guerra, che vuole eliminare il conflitto, eliminando le controparti.

Serve una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione delle decisioni a livello globale

Costituzionalizzare e democratizzare il multipolarismo

Il Papa non diffida della diplomazia. Ma non basta: «La vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza e necessità. Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace di riformularsi, dovrà essere parte della soluzione, perché anche l’esperienza di secoli non può essere scartata» (LD 41). Ma pure la nuova diplomazia deve emergere da un’azione politica di concerto, e non essere l’antipolitica della rappresentanza degli interessi dei più forti o delle élite internazionali e tecnocratiche di turno.
Di conseguenza, il Papa avverte: «Il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale» (LD 42). Ecco il processo di costituzionalizzazione planetaria
Per questo, ribadisce il Papa: “Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace. In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore ‘democratizzazione’ nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti” (LD 43).
Così ripercorrendo i progressi e i fallimenti delle conferenze sul clima, il Papa, riprendendo un’osservazione nella Laudato si’ (167), scrive ─ ma l’affermazione può essere generalizzata per tutti i global commons, incluso il mantenimento della pace: “gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione pratica” (LD 52).  Inoltre, “i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità (LS 169)” (LD 52). Come non pensare anche ai quei protocolli disattesi, e non in buona fede, dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).

Le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono il doppio di quelle di un abitante della Cina

Dare a Cesare, alla persona umana e a Dio quanto è loro

Il Papa non argomenta in base a diagnosi apocalittiche (cfr. LD 17). Tuttavia la politica è a un “punto di svolta reale” perché siamo davanti, a causa dei crescenti disastri climatici (e per la guerra in escalation in Ucraina), al rischio di svolte, accelerazioni, effetti cumulativi e inerziali imprevisti (almeno nella loro ampiezza: il cosiddetto “effetto valanga”). Essi porterebbero a un caos politico di magnitudine tale che le fragili istituzioni multilaterali saranno travolte e sommerse. L’umanità non ha mai avuto tanto potere, ma senza politica non lo utilizzerà bene (cfr LS 23).
La politica non è sostituibile da soluzioni tecniche (amministrative e di mercato), che rischiano di illudere e distrarre. I problemi sono più profondi. Con il rischio di arrivare a “punti critici” di “non ritorno” (per catastrofi climatico-ambientali elencate dal Papa e di conflitti nucleari), non bastano i rammendi. Quando il Papa chiede a ciascuno un “percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita” (LD 69”) usa un termine che va inteso in senso forte: “riconciliazione” è sinonimo di liberazione esodica, di alta politica, di diritto costituzionale mondiale. E in tale contesto va riletta la presenza e l’azione dei gruppi “radicalizzati” che partecipano alle conferenze sul clima. Essi occupano un vuoto nella politica internazionale (e spesso nazionale) che è incapace riconciliare e di riconciliarsi con se stessa, perché la politica è in crisi di (auto)credibilità.
Questa riconciliazione è anche spirituale. Oggi, finalmente, siamo “siamo costretti a riconoscere che è possibile sostenere solo un ‘antropocentrismo situato’”. Vale a dire, riconoscere che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature. Infatti, “noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (Ls 89)” (LD 67). Con questa antropologia la politica deve riconciliarsi e riconciliare. Cioè assumendo che le grandi decisioni della politica regionale e internazionale sono inderogabili, insostituibili, indelegabili. È impensabile governare in stato di perenne emergenze o abdicare alla politica in base ad eccezioni, significherebbe soltanto declinare l’inefficace paradigma tecnocratico. Occorre un salto di paradigma, o meglio tornare al paradigma: la politica: senza deleghe in bianco all’economicismo, al tecnicismo giuridico, alla propaganda soporifera o al confronto geopolitico.
Il Papa non prende niente per sé. Solo il pungiglione etico della teologia politica. Dà a Cesare quello che è di Cesare: ma Cesare vuole esercitare o privarsi del potere politico? Ai Cesari di Occidente e loro adepti, il Romano Pontefice (e pure Patriarca d’Occidente) scrive nel concreto, avviandosi alla conclusione: “Se consideriamo che le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri, possiamo affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine. Così, con le indispensabili decisioni politiche, saremmo sulla strada della cura reciproca” (LD 72).
Infine, nel congedarsi, Francesco dà a Dio cioè che è di Dio: “‘Lodate Dio’ è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso” (LD 74). Tuttavia alla politica è chiesto il “miracolo”, il salto evolutivo per la specie umana: una nuova costituzionalizzazione del potere politico internazionale per un nuovo multilateralismo efficace che sappia assumere le possibilità e le responsabilità emergenti del nuovo multipolarismo. E nel concreto politico, come prova di “buona volontà”, alle autorità che negozieranno alla COP28: chiediamo e preghiamo con il Papa: “siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna” (LD 60).

Membro dell’Ordine dei Gesuiti, economista

Luciano Larivera