Dalla legge marziale che doveva dargli un potere quasi assoluto, all'impeachment che gli ha tolto anche i poteri che aveva prima. Nel giro di dieci giorni, Yoon Suk-yeol è stato travolto da un effetto domino da lui stesso innescato. Il presidente conservatore della Corea del Sud, ora sospeso, pensava di dare scacco matto all’opposizione progressista. E invece il suo piano, su cui restano ancora diversi punti oscuri, si è trasformato in un boomerang che ha realizzato il suo più grande timore: il sabotaggio della sua amministrazione
Oggi, quando si parla di Corea del Sud si pensa subito alla musica K-Pop o alle serie K-Drama. Oppure al premio Oscar di Parasite o al premio Nobel per la letteratura di Han Kang. Blackpink, Squid Game e tanti altri prodotti di intrattenimento hanno reso Seul una superpotenza del soft power culturale. Ma dietro quella patina ci sono anche punti oscuri. Il mondo se n’è accorto la notte del 3 dicembre, quando Yoon ha imposto la legge marziale. Meno di sei ore dopo è stato costretto a revocarla su richiesta unanime dell’Assemblea Nazionale. Nel mezzo, scene drammatiche di elicotteri e blindati militari all’assalto del parlamento per impedire le operazioni di voto, mentre semplici cittadini e giornalisti li fronteggiano davanti all’edificio. Sfidando il decreto militare che proibiva qualsiasi attività politica o di protesta, mettendo i media sotto il diretto controllo delle autorità. A vedere il video della conferenza stampa notturna con cui Yoon ha annunciato la legge marziale, molti sudcoreani hanno confessato di aver pensato a un deepfake creato con l’intelligenza artificiale. Compreso il leader dell’opposizione, Lee Jae-myung del Partito Democratico. Invece era tutto vero.
È impossibile esagerare la portata della decisione di Yoon e il suo effetto sui sudcoreani. Nonostante oggi si pensi a Corea del Nord e Corea del Sud come antitesi perfette, in una semplice dicotomia tra dittatura e democrazia, anche la parte meridionale della penisola ha una storia tragica alle spalle che ha rischiato di tornare presente. La legge marziale imposta da Yoon è stata la tredicesima, la prima dopo la democratizzazione iniziata nel 1987. In tanti hanno subito ricordato i massacri del passato. Gli esempi sono numerosi: i centinaia di morti negli scontri tra cittadini e polizia del 1960, dopo la legge marziale proclamata dal dittatore Syngman Rhee. Oppure la strage di Gwangju (nella foto) del 1980 (165 vittime ufficiali, tra le 600 e le 2300 secondo diversi studi indipendenti), quando la città si era ribellata al golpe militare del generale Chun Doo-hwan. Dopo oltre quattro decenni, la Corea del Sud è una democrazia ancora giovane, scopertasi improvvisamente a rischio di un ritorno al suo buio passato. Con questo si spiega l’immediata ed enorme reazione della società civile, che ha giocato un ruolo cruciale nella messa in stato d’accusa di Yoon.
È importante però capire il contesto in cui si è arrivati alla legge marziale. La Corea del Sud ha un ecosistema politico fortemente polarizzato. Le posizioni di conservatori e progressisti sono tradizionalmente inconciliabili. Sia in materia di politiche economiche e sociali, sia in materia di politica estera. Il Partito del Potere Popolare, di cui fa parte Yoon, ha da sempre una linea molto dura nei confronti della Corea del Nord, favorisce buoni rapporti col Giappone, persegue il rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti e ha una linea più scettica nei confronti della Cina. Nelle scorse settimane, aveva per la prima volta aperto all’invio diretto di armi in Ucraina come risposta alla partecipazione dei militari nordcoreani alla guerra, al fianco della Russia. Il Partito Democratico di Lee ha invece una postura più dialogante con Pyongyang, con cui immagina una futura riunificazione, propone una maggiore indipendenza dalle direttive di Washington, mantiene buone relazioni con Pechino ed è più scettico nei confronti di Tokyo.
Nel giro di 30 mesi, Yoon ha utilizzato per 25 volte il veto presidenziale: ha bloccato inchieste sulla strage di Itaewon, quando nel 2022, durante i festeggiamenti di Halloween morirono circa 160 persone schiacciati dalla calca.
Tutte queste differenze sono state estremizzate dopo le contestate elezioni presidenziali del 2022, in cui Yoon ha avuto la meglio per pochissimi voti (circa lo 0,7%) nei confronti di Lee. Ex procuratore di giustizia con fama di incorruttibile, Yoon è sin dall’inizio una “anatra zoppa”, visto che l’opposizione ha sempre avuto la maggioranza in parlamento. Una maggioranza persino ampliata dopo le elezioni legislative dello scorso aprile, quando i conservatori hanno subito una batosta da record. Risultato di due anni semi fallimentari, quantomeno sul piano interno. Invece di assumere una posizione dialogante con l’opposizione per favorire le riforme, Yoon si è arroccato sulla difensiva. Nel giro di 30 mesi, ha utilizzato per 25 volte il veto presidenziale. In particolare, ha bloccato inchieste speciali sulla strage di Itaewon, quando durante i festeggiamenti di Halloween del 2022 morirono circa 160 persone (quasi tutti giovanissimi) schiacciati dalla calca. Le evidenti responsabilità dell’apparato di sicurezza non hanno mai portato a una presa di responsabilità del governo. In altre occasioni, il veto è stato utilizzato per bloccare le indagini contro Kim Keon-hee, la moglie di Yoon, accusata tra le altre cose di interferenze nelle nomine elettorali e di aver accettato in regalo una lussuosa borsa Dior da un controverso predicatore.
Dall’altra parte, Lee si è salvato da un mandato d’arresto in un’inchiesta per corruzione ed è sopravvissuto a un accoltellamento non letale durante un comizio dello scorso gennaio. Forte della maggioranza parlamentare e protagonista di iniziative molto mediatiche come scioperi della fame o livestreaming, il leader dell’opposizione ha però aumentato la sua popolarità, cavalcando anche il malcontento di diverse categorie di cittadini. Tra questi i sindacati, entità chiave della democratizzazione del Paese, che Yoon ha definito “organizzazioni criminali” per gli scioperi contro la sua amministrazione. Ma anche le donne. Già nella campagna elettorale del 2022, Yoon ha assunto toni profondamente anti femministi, se non apertamente misogini. Tra le sue prime promesse, c’era non a caso l’abolizione del ministero dell’uguaglianza di genere. Mai come in Corea del Sud il voto si sta dividendo per genere. Alle presidenziali del 2022, il 58% delle donne under 30 ha votato per i progressisti e il 33% per i conservatori. Non a caso, durante le enormi proteste anti Yoon dopo la legge marziale, secondo i media sudcoreani circa il 30% delle persone in piazza erano donne under 30. Lee, soprannominato il “Bernie Sanders sudcoreano” per le sue posizioni inusualmente radicali per il contesto asiatico, ha anche ben rappresentato il malcontento per la politica estera di Yoon. In particolare, a tanti sudcoreani non è andato giù il disgelo col Giappone, raggiunto a costo di rinunciare alla richiesta di risarcimenti per gli orrendi abusi compiuti durante la dominazione coloniale. Molti non condividono l’appiattimento sulle posizioni degli Stati Uniti e della Nato, con cui è stato firmato uno storico documento di partnership nel 2023.
È in questo contesto di veleni che è arrivato l’azzardo della legge marziale. Yoon ha utilizzato la scusa della legge di bilancio bloccata in parlamento per le richieste di emendamenti dell’opposizione, denunciando nel suo discorso un “sabotaggio” delle istituzioni democratiche delle forze “simpatizzante dei comunisti nordcoreani”. In realtà, com’era chiaro sin da subito, non c’entrava nulla la Corea del Nord, che nei giorni scorsi ha parlato di Yoon come di un “dittatore fascista”. Frustrato dall’impossibilità di agire, forse preoccupato per il futuro giudiziario suo e della moglie, Yoon ha tentato l’impensabile.
Fino a pochi giorni fa, sembrava quasi un colpo di testa personale e improvviso. Quanto sta emergendo, potrebbe parzialmente cambiare il quadro. Innanzitutto, pare acclarato il ruolo chiave giocato dall’ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun (nella foto). Si tratta di un fedelissimo di Yoon, suo amico sin dai tempi in cui erano compagni di liceo. Kim è stato nominato ad agosto, secondo alcuni esponenti dell’opposizione appositamente per avere mani libere sull’imposizione della legge marziale. A suffragio di questa tesi, circola un documento dell’intelligence che proverebbe che un piano sulla legge marziale era stato predisposto già a inizio novembre. Tra le ipotesi previste, anche una crisi indotta con la Corea del Nord, attraverso l’invio di droni militari oltre la zona demilitarizzata che divide le due Coree sin dall’interruzione della guerra. Molti testimoni, anche dell’esercito, hanno confermato che Kim avrebbe ordinato l’intervento al parlamento, con il mandato di arresto per i leader dell’opposizione. L’ex ministro, accusato di tradimento, ha tentato nei giorni scorsi il suicidio in carcere.
Il partito di governo ha provato in un primo momento a salvare l’amministrazione Yoon. Al primo voto sull’impeachment di sabato 7 dicembre, ha deciso di boicottare l’aula per impedire il raggiungimento del quorum. All’opposizione servivano infatti almeno otto voti della maggioranza per l’approvazione della mozione. Il giorno dopo, il premier Han Duck-soo e il leader del partito Han Dong-hoon hanno annunciato una sorta di commissariamento per Yoon, che avrebbe dovuto portare alle sue dimissioni in una tempistica ancora da individuare. La mossa era dettata da un calcolo opportunistico. Il rivale Lee è infatti in attesa di un processo d’appello a suo carico per dichiarazioni false rese durante la campagna elettorale del 2022. In caso di condanna, rischierebbe di non potersi candidare alle prossime elezioni. Con l’impeachment, invece, le sue opportunità aumentano visto che i tempi potrebbero restringersi e i giudici della Corte costituzionale saranno assorbiti dall’inchiesta su Yoon.
I piani dei conservatori sono cambiati non solo per l’enorme pressione della società civile, ma anche per la mancata flessibilità di Yoon, che in un discorso alla nazione di giovedì 12 dicembre ha negato qualsiasi ipotesi di dimissioni e ha promesso di non arrendersi “fino all’ultimo”, rivendicando persino la legge marziale come un “atto di governo necessario”. A quel punto, era chiaro che l’uscita ordinata immaginata dal suo partito era impossibile. Per Yoon si trattava forse di un estremo tentativo di strappare qualche garanzia sul fronte giudiziario. O forse l’ennesima sopravvalutazione di sé stesso e della portata (ormai assai limitata) dei suoi sostenitori, che anche sabato scorso hanno manifestato in sua difesa nel centro di Seul con bandierine della Corea del Sud e degli Stati Uniti. Fatto sta che i conservatori, dopo essere stati etichettati come “traditori” da diversi media progressisti (e non) per quanto accaduto la settimana prima, hanno deciso di presentarsi in aula per il secondo voto di impeachment, sabato 14 dicembre. E 12 di loro hanno votato a favore della messa in stato d’accusa di Yoon, immediatamente sospeso dalla sua carica, coi poteri trasferiti ad interim al premier Han.
Non c’è ancora la parola fine, perché bisogna aspettare la Corte Costituzionale, chiamata a confermare la destituzione di Yoon entro 180 giorni.
Non c’è ancora la parola fine, perché bisogna aspettare la Corte Costituzionale, chiamata a confermare la destituzione di Yoon entro 180 giorni. Nel caso arrivi la conferma, saranno indette elezioni presidenziali anticipate entro due mesi dalla sentenza. Nei due precedenti processi di impeachment di presidenti, i pronunciamenti sono arrivati in realtà nel giro di tre mesi. Ma stavolta c’è un problema. Mancano tre dei nove giudici della corte, che il parlamento è ora chiamato a nominare, con la necessaria conferma del presidente ad interim. Una procedura destinata a creare altre polemiche. Nel frattempo, andranno avanti le inchieste giudiziarie. Yoon, accusato di insurrezione e abuso di potere, non può viaggiare all’estero dopo che gli è stato confiscato il passaporto.
Le conseguenze dell’instabilità della Corea del Sud hanno una rilevanza anche internazionale, anche perché si verificano in un delicatissimo momento di transizione. Il ritorno di Donald Trump genera delle incognite sulla proiezione statunitense in Asia orientale. Le tensioni con Pyongyang sono in netto aumento, in particolare dopo che Kim Jong-un e Vladimir Putin hanno siglato il trattato di mutua difesa che ha consentito l’invio di truppe di Pyongyang a combattere in Russia. Osserva con interesse anche la Cina, che in caso di cambio della guardia può aspirare a un “nuovo inizio” nei rapporti con Seul. Un’eventuale presidenza Lee potrebbe inoltre favorire gli sforzi di Trump nel riaprire il dialogo con Pyongyang. Prima, però, bisogna aspettare i giudici della Corte costituzionale della Corea del Sud, un Paese che in larga parte esulta per il pericolo sin qui scampato grazie a un virtuoso intreccio tra memoria storica dei più anziani e coraggio dei più giovani.