Un articolo di: Dušan Proroković

E ancora, dov’è adesso Laura Codruța Kövesi? La signora, che per lungo tempo ha costruito la sua carriera presso la Procura di Stato della Romania e presso la Direzione nazionale anticorruzione di questo Paese, per poi passare alla Procura generale dell’UE, dove lavora ancora oggi, viene spesso citata come una combattente intransigente per la protezione dello stato di diritto. I recenti avvenimenti in Romania indicano esattamente il contrario: non solo non esiste più lo stato di diritto, ma si sta creando un pericoloso precedente che potrebbe costare caro all’intera Europa. Per tutto questo tempo Laura Kövesi, ovviamente, rimane in silenzio. La decisione della Corte costituzionale rumena di annullare i risultati delle elezioni presidenziali è un tale “scandalo” che è difficile scegliere da che parte iniziare a criticare questo incidente.

Călin Georgescu

Ricordiamo che Călin Georgescu (che ha ottenuto circa il 23% al primo turno) ed Elena Lasconi (19,18%) sono entrati nel secondo turno delle elezioni presidenziali (il primo turno si è svolto il 24 novembre). Al terzo posto l’attuale primo ministro Marcel Ciolacu con il 19,15%, appena 3mila voti in meno di Lasconi. Per questo, subito dopo il primo turno, è stato annunciato che un nuovo spoglio dei voti sarebbe stato effettuato “attraverso i tribunali”. Tuttavia, il quartier generale della campagna elettorale del primo ministro Ciolacu ha abbandonato questa idea, probabilmente di fronte a una “minaccia chiamata Georgescu”. I Partiti “mainstream” non avevano bisogno di polemiche e dibattiti, indipendentemente dal fatto che fossero al potere o all’opposizione, ma al contrario – di omogeneizzazione contro un candidato alternativo. Georgescu, essendo un candidato alternativo al “mainstream” nella politica rumena, ha sorpreso tutti, compreso probabilmente se stesso. E’ entrato nella corsa elettorale come un outsider assoluto e, proprio all’inizio della campagna, i sondaggi d’opinione pubblica misuravano la sua valutazione a un modesto 2-4%. Nel corso della campagna, però, tutto è andato sottosopra, compreso il completo fallimento di Mircea Geoană, che in estate era stato dichiarato il favorito assoluto e ha finito per ricevere un modesto 6,3%. Invece di un nuovo conteggio dei voti contro Georgescu, è seguito uno “tsunami politico-mediatico”, orchestrato secondo modelli e algoritmi ben noti. L’etichetta di estrema destra è una delle più morbide che si possano sentire. I peccati di Georgescu includevano la sua ardente opposizione alla guerra in Ucraina, così come le sue critiche al Forum economico mondiale. Considerato il suo background professionale, decenni di lavoro sul tema dello sviluppo sostenibile e la collaborazione con varie organizzazioni internazionali (non)governative, ciò che dice sui processi e sulle tendenze globali sembra quasi una “visione da insider”.

Elena Lasconi

Lasconi ha avuto il sostegno di Maia Sandu e Salome Zourabichvili, rappresentanti di quasi tutti i Partiti “principali”, di quasi tutto il settore non governativo, e il patriarca ha anche dichiarato il suo “forte impegno per l’adesione della Romania all’UE”, che, può però essere interpretato come un “distanziamento” parziale e indiretto da Georgescu. Perché nello “tsunami politico-mediatico” tutto è stato interpretato in modo nuovo, compresa l’adesione della Romania all’UE. In altre parole, gli elettori sono stati portati a credere che se Georgescu avesse vinto, l’adesione del Paese all’UE sarebbe stata in dubbio. Tuttavia, nulla potrebbe confondere gli elettori. I sondaggi effettuati quattro giorni prima del secondo turno delle elezioni presidenziali mostravano che Georgescu avrebbe vinto convintamente, con il 62-67% dei voti.

E poi sulla vicenda è intervenuta la Corte Costituzionale. Per proteggere “la correttezza e la legalità del processo elettorale”, questa autorità, dopo aver studiato l’intelligence dei servizi di sicurezza rumeni, ha annullato le elezioni perché sospettava che un “attore non statale” avesse interferito nel processo elettorale. La formulazione precisa è che esisteva un “rapporto con le attività operative di un ente statale”. La decisione pubblicata e la spiegazione che l’accompagna non affermano da nessuna parte che questo “attore statale” sia la Russia, ma non c’era bisogno di sottolinearlo specificamente. I media e i politici “mainstream” hanno fatto di nuovo la loro opera, accusando Georgescu di aver vinto il primo turno grazie all’aiuto russo e alla manipolazione del social network TikTok.

Ma è davvero possibile influenzare un elettorato di 18 milioni di persone attraverso 25.000 account di TikTok?

Perché questo è uno “scandalo” per la Corte Costituzionale? In primo luogo, la spiegazione della Corte non indica affatto l’intervento di “attori statali”, non indica nemmeno che sia avvenuta una “manipolazione” insolita. Dalla spiegazione è chiaro che si tratta del classico marketing digitale e delle campagne attraverso i social network. La campagna si basa su una rete di 25mila account (sulle reti TikTok e Telegram), sulla trasmissione coordinata di materiale elettorale (discorsi, messaggi, citazioni) e su “opinion leader” retribuiti che hanno sostenuto Georgescu. Questo tipo di marketing digitale viene utilizzato da tutte le aziende serie che decidono di pubblicizzarsi o promuoversi attraverso i social network, e si potrebbe addirittura dire che questi 25mila account online dedicati a tale scopo non siano un numero impressionante. La distribuzione digitale del materiale elettorale è stata pagata dagli 80 ai 1.000 euro, che sono normali prezzi di mercato in questa parte d’Europa. Si presume inoltre che alcuni conti siano stati registrati in passato, ad esempio nel 2016, per poi diventare inattivi ed essere riattivati solo ora, il che fa sorgere sospetti. Anche questa è una vecchia costruzione, avanzata nel 2016 contro Donald Trump, secondo cui i “servizi speciali russi” registrano in massa account sui social network, che vengono poi utilizzati nelle campagne elettorali. Questa situazione con (dis)attivazione degli account è già stata spiegata in altri esempi, poiché è chiaro che le persone interessate alla politica, i gruppi politici, le organizzazioni e i Partiti si mobilitano immediatamente prima delle elezioni. Da qui l’intenso scambio di messaggi e video da parte di alcuni account ogni quattro anni o poco prima delle elezioni. Quindi, nel complesso, la spiegazione della corte semplicemente non ha senso.

In secondo luogo, questo chiarimento non mostra né prova da nessuna parte la connessione tra una campagna sui social media e l’aumento della popolarità. Georgescu ha avuto apparizioni mediatiche convincenti (i suoi dibattiti hanno avuto il pubblico più vasto indipendentemente da chi stava parlando, il che è un indicatore significativo), e ha avuto altre forme di campagna, quindi perché solo i messaggi di TikTok dovrebbero influenzare le decisioni degli elettori? Come si può anche solo dire una cosa del genere? In terzo luogo, se è possibile esercitare un’influenza decisiva sull’elettorato attraverso 25mila account collegati su due social network con un numero totale di elettori di 18 milioni di persone, allora sorge la domanda: cosa sta succedendo a questa società? Qual è la situazione tra i romeni? Oppure la domanda è: che tipo di legittimità hanno i “Partiti d’élite” appartenenti al “mainstream”? In quarto luogo, se ci fosse davvero una “ingerenza russa” nel processo elettorale e l’esito del primo turno elettorale fosse predeterminato da questa interferenza, sorgerebbe la domanda: qual è lo stato delle istituzioni rumene oggi? In termini di teorie sulla sicurezza e di dati disponibili, la Romania è un membro della NATO con strutture di sicurezza rispettabili, un enorme budget per la sicurezza ed è un fattore importante per la sicurezza regionale nell’Europa sudorientale.

La Corte Costituzionale della Romania ha preso una decisione politica sotto la pressione esterna e ha causato un danno irreparabile al Paese.

Consciamente o inconsciamente, è stata la Corte Costituzionale a chiarire che nessuna di queste conclusioni era corretta e che il Paese non era “gestito da servizi russi” capaci persino di “eleggere” il presidente. Paradossalmente, il primo ministro rumeno ha accolto con favore la decisione della Corte costituzionale, aggiungendo che “il risultato è stato distorto a causa dell’ingerenza russa”. Non c’è nessuna parola sulla sua responsabilità. Se si è verificata un’ingerenza e non è stata rilevata e impedita durante la campagna o anche prima che iniziasse, la responsabilità di tale mancanza di sicurezza ricade anche sul Primo Ministro, che dovrebbe almeno chiedere di essere dimissionato. Non c’è nemmeno bisogno di sprecare parole sui vertici delle istituzioni direttamente responsabili del monitoraggio, dell’analisi e della prevenzione delle interferenze; avrebbero dovuto andare in pensione o essere sostituiti molto tempo fa.

E’ chiaro che la Corte Costituzionale ha preso una decisione politica sotto la pressione esterna e ha causato un danno irreparabile alla Romania. In poche parole, il mondo, e soprattutto la sua parte non occidentale, ora guarderà alla politica rumena con occhi diversi. Ciò che è particolarmente importante dopo questo incidente per tutti gli altri vicini della Romania, e ancora di più per l’Europa, è il pericolo di introdurre una pratica completamente nuova nell’organizzazione dei processi elettorali. E’ sufficiente che le agenzie di intelligence “scarabocchino” su carta analisi più o meno convincenti basate sulla manipolazione di dati affidabili, trovino una base legale per l’uso (illegale) di tali analisi e gestiscano i processi elettorali su questa base. Utilizzando questa metodologia è possibile escludere letteralmente ogni “candidato indesiderato” dal processo elettorale, cioè determinare in anticipo l’esito del processo elettorale. Ciò che è accaduto in Romania rappresenta una grande sfida per la democrazia europea, i diritti umani e le libertà di tutti gli europei. Si sta creando un precedente che può essere applicato ovunque, in qualsiasi momento e contro chiunque.

Professore, Dottore in scienze politiche

Dušan Proroković