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Il mondo visto dagli Emirati Arabi permette di essere più ottimisti. Qui il dialogo, la tolleranza e la cooperazione economica coinvolgono ogni soggetto. Non per niente la Fratelli tutti è nata da una dichiarazione firmata ad Abu Dhabi
Il mondo visto da qui, anche da Ras Al Khaimah, appare un mondo plurale e più vitale di quello che conosciamo nel Nord occidentalizzato
Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton ha scritto un ritratto atipico di san Francesco d’Assisi che è centrato su un’idea particolare. La sua tesi è che il figlio di Pietro da Bernardone abbia compiuto le sue opere perché da saltimbanco di Dio aveva saputo guardare il mondo capovolto. Da sotto in sù. Da quel particolare punto di vista il mondo con le sue ricchezze, ma anche la Chiesa, restavano come appese, quasi per miracolo, rilevando una grande fragilità. Tutti gli uomini, e il creato stesso, guadagnavano così una prospettiva diversa e meritavano una comprensione fino allora sconosciuta. La rivoluzione francescana sarebbe iniziata da quello sguardo rovesciato, dal basso.
Ora l’immagine chestertoniana mi è tornata alla mente in questi giorni in cui il Forum economico euroasiatico di Verona si è trasferito per la sua diciassettesima edizione a Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti. Il Forum per 15 anni si è svolto nel palazzo della Gran Guardia a Verona, ma con la guerra in Ucraina ha trovato nuove sedi: nel 2022 a Baku in Azerbaijan, l’anno scorso a Samarcanda in Uzbekistan. La scelta degli Emirati, fatta quest’anno, è molto interessante. La Federazione degli Emirati Arabi Uniti, che ha festeggiato proprio il 2 dicembre la sua unità nazionale, è una realtà relativamente giovane ma che resta molto interessante. Come ha scritto il Vicario Apostolico dell’Arabia meridionale Paolo Martinelli in un messaggio augurale qualche giorno fa: “È una nazione che promuove la tolleranza, l’ospitalità e la prosperità”. Il mondo visto da qui, anche da Ras Al Khaimah, appare un mondo plurale e più vitale di quello che conosciamo nel Nord occidentalizzato. Metterci a testa in giù non solo relativizza la prosopopea occidentalista, ma apre la prospettiva per sperare in un mondo migliore, guardare al futuro, parlare con tutti.
La diplomazia economica, può far ripartire il dialogo. Perché guerre e divisioni sono business vantaggioso solo per pochi e solo nel breve-medio termine
Da “papista” mi colpisce che proprio qui ad Abu Dhabi, papa Francesco nel febbraio del 2019, sia venuto a firmare la Dichiarazione congiunta con Ahmad Al -Tayyeb, 44esimo grande imam di Al-Azhar. L’appello contro corrente della Fratelli tutti: l’appello di pace, di convivenza, di tolleranza, di cooperazione risuona nel mondo, e non a caso, dagli Emirati Arabi Uniti. I lavori del Forum economico euroasiatico di Verona confermano il ruolo chiave di questo luogo in un mondo percorso da divisioni, guerre, scontri e che sta riproponendo una forte tensione Est-Ovest, che qualcuno ha chiamato la nuova Guerra Fredda.
L’economia, la diplomazia economica, può far ripartire il dialogo. Perché guerre e divisioni sono business vantaggioso solo per pochi e solo nel breve-medio termine. La storia dimostra che le civiltà si comunicano e si contaminano, e quindi si sviluppano, non quando sono chiuse nelle loro roccaforti e nelle loro ideologie ma quando si incontrano, si parlano e si mettono in discussione. La scienza genetica, del resto, ce lo insegna: un semplice esame del Dna oggi dimostrerebbe che metà delle convinzioni politiche oggi tanto diffuse, sulla razza, sulle civiltà, sulle differenze fra popoli, non hanno fondamento. Sono costruzioni ideologiche. Il patrimonio genetico davvero ci dice che siamo Fratelli tutti. E non solo spiritualmente.
Concludo con una storia. Sigmund Freud amava Roma. E alla vigilia della Prima guerra mondiale ebbe proprio una sbandata: passò per quasi un mese tutti i giorni, diverse ore nella chiesa di San Pietro in Vincoli. La sua attenzione fu rapita da un’opera d’arte: il Mosè di Michelangelo. Come il fondatore della psicanalisi poi scrisse: “Tutti i giorni durante tre solitarie settimane del settembre 1913 sono stato in chiesa davanti alla statua, l’ho studiata, misurata, disegnata”. Da quell’esperienza immersiva scaturì l’unico saggio che Freud dedicò ad un’opera d’arte figurativa. Saggio che all’inizio fu pubblicato sotto pseudonimo, ma che si può trovare ancora. Che cosa impressionò lo scienziato della mente al punto tale da sconvolgergli la vita? Fra i tanti messaggi “oscuri e ambigui” che la statua michelangiolesca veicola c’è sicuramente la presenza dell’autorità e della legge di fronte al suo popolo. Mosè è un leader. E un leader adirato col suo popolo che ha seguito gli idoli. Come scrive ancora Freud: “Quante volte ho salito la rapida scalinata che porta dall’infelice via Cavour alla solitaria piazza dove sorge la chiesa abbandonata! E sempre ho cercato di tener testa allo sguardo corrucciato e sprezzante dell’eroe, e mi è capitato qualche volta di svignarmela poi quatto quatto dalla penombra di quell’interno, come se anch’io appartenessi alla marmaglia sulla quale è puntato il suo dito, una marmaglia che non vuole tenere fede a nessuna convinzione, che non vuole aspettare né credere, ed esulta quando torna ad impossessarsi dei suoi idoli illusori”.
“Idoli illusori” di chi non vuole aspettare, né credere in un mondo migliore.