Un articolo di: Francesco Sidoti

Dopo il ritiro di Biden, James David Vance rappresenta un nuovo modo ( e insieme antico) di concepire gli Stati Uniti. Un San Paolo del trumpismo che sembra uscito da un film di Clint Eastwood e che rappresenta sia l'American dream sia la provincia aliena e sconfitta

Nella Convention repubblicana di Milwaukee, il candidato vicepresidente in ticket con Trump, senatore James David Vance, ha raccontato che alla scomparsa della nonna nel 2005, furono trovate in casa 19 pistole cariche, nascoste in vari punti della casa: sotto il letto, nell’armadio, nel cassetto delle posate. Per proteggersi da altri americani.
Improvvisamente al centro della stampa internazionale (invece Pluralia ne aveva tessuto le lodi in tempi non sospetti), a 39 anni il senatore James David Vance sembra scaturito dalle pagine di Cormac McCarthy – o forse dalle pellicole di Clint Eastwood. La sua America non è semplice e il senatore la incorpora in molti aspetti complicati. Sembra un parente stretto di Ed Tom Bell, lo sceriffo buono di No Country for Old Men; ha le stesse cicatrici dello sparring partner di Million Dollar Baby. È un americano che conosce il rischio che la sua civiltà possa scivolare in The Road, eppure può avere sentimenti di comprensione per gli alieni, come il protagonista di Gran Torino.

La storia del senatore Vance può essere intesa come un tentativo della vita di imitare l’arte – tentativo molto americano; beninteso, l’America di una volta, con l’happy end dell’arte a risarcimento di tutte le infamie della vita. Il senatore Vance non è un figlioccio di Wall Street o di Big Pharma, ma del fallimento e del riscatto. Incorpora l’American Dream e al contempo i tantissimi che non ce l’hanno fatta: le vittime di overdose, di fentanyl, della povertà, dell’emarginazione e della disperazione. Veterano degli U.S. Marine Corps e dell’Iraq, dalla guerra ha tratto una lezione: bisogna impedire tragiche perdite di vite umane – anche al confine tra la Russia e l’Ucraina.

È, insomma, un simbolo, un complicato insieme di John Steinbeck e di Ernest Hemingway, di Patrick Deneen e di Peter Thiel, di Lina Khan e di Alasdair MacIntyre, di Amy Lynn Chua e di Ross Douthat, ovvero una fitta trama di biografie, narrazioni, idee che sono fortemente fuori dal comune, dove l’eroe si scontra con tragedie storiche, sociologiche, familiari. Il suo Hillbilly Elegy, epopea dei bifolchi, è il libro più memorabile su un passato che non vuole passare: quell’America che si faceva amare, che restituiva nella carta, nelle immagini, nelle ambizioni, una grandezza eroica e senza tempo dell’umanità. Un’America trasparente – anche nei suoi sogni e nelle sue follie.

Kimberley Cheatle ha promosso per la struttura che dirigeva una cura basata innanzitutto sul politicamente corretto

Tutt’altra America è quella di Thomas Matthew Crooks, di cui ancora adesso sappiamo principalmente che ha sparato a Trump. Del senatore Vance si sa ormai quasi tutto e vogliamo sapere soprattutto il suo futuro; di Thomas Matthew Crooks non sappiamo quasi niente e vorremmo conoscere soltanto il suo passato.

L’attentato a Donald Trump è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma. Gli investigatori stanno scavando nella vita di Thomas Matthew Crooks; hanno finora inutilmente setacciato il suo computer, due telefoni, la famiglia, i compagni di scuola, la camera da letto, i social, l’albero genealogico. Niente che sia congruente con quella sparatoria. Una vita al buio, tranne l’ora precedente gli spari: era stato avvistato, segnalato, fotografato, filmato, da tanti comuni cittadini, tranne che dagli ottomila addetti del Secrete Service, che ha più di tre miliardi di dollari di bilancio all’anno. Sarà prima o poi definita una verità ufficiale su quel che è accaduto, ma per ora si brancola nel buio.

Kimberley Cheatle, la capa del Secret Service, ha sbaragliato ogni concorrenza per accaparrarsi il Guinness mondiale dei primati, nella categoria delle facce di bronzo. Come se stesse parlando non di sé stessa, ma del tardo Pleistocene, ad ABC News ha detto che quanto è accaduto “è inaccettabile” – e che i suoi agenti non sono saliti sullo stesso tetto sul quale è salito Thomas Matthew Crooks, perché era un tetto spiovente e qualcuno poteva farsi male. Può dire quello che vuole, perché gode di stima guadagnata sul campo e ha un curriculum di fiduciari eccellenti. Come Dick Cheney, che ebbe spalla a spalla nel momento peggiore dell’11 settembre. Come il presidente Biden, che ha avuto spalla a spalla nei lunghi anni della vicepresidenza con Obama. Nel 2022 il presidente Biden ha detto che aveva in lei “completa fiducia”, viatico solenne. Anche dopo l’attentato a Trump, il capo dell’Homeland Security, Alejandro Nicholas Mayorkas (il quale a sua volta detiene un record: un membro del gabinetto presidenziale sottoposto a procedura di impeachment non si vedeva dall’Ottocento) ha detto di avere in lei “fiducia al 100 per 100”.

Precedentemente, il Secret Service aveva accusato qualche magagna, come la distruzione di prove che avrebbero aiutato a ricostruire meglio il controverso assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Kimberley Cheatle, per la struttura molto chiacchierata che dirigeva, aveva promosso una cura basata innanzitutto sul politicamente corretto, mettendo le minoranze in primo piano. Insomma, nella migliore delle ipotesi, dentro l’enigma ci potrebbe essere non un mistero, ma un fallimento colossale di competenza. Contro questi misteri e questi fallimenti, contro una maniera di gestire gli affari interni (e quelli esterni!), è insorta l’altra America del senatore James David Vance – che ha una visione della vita e del mondo completamente diversa rispetto a Blinken, a Sullivan, a movimenti come la cancel culture e defund the police. La differenza tra queste Americhe è profonda.

Dalla politica interna alla politica estera, dalla politica economica alla politica della sicurezza, a novembre potremmo avere al potere un’altra America – differente da quella di oggi, in punti decisivi e con numeri diversi alla Camera e al Senato. Si dice che il senatore Vance è a suo modo il San Paolo del trumpismo: un convertito che diffonde il vangelo molto più di quanto abbia fatto lo stesso fondatore. Ci sarà un aspro e lungo confronto tra le tante anime dell’America, ma nella politica estera ci sarà il confronto più immediato e più visibile.

Sociologo

Francesco Sidoti