Un articolo di: Andrea Beltratti

Il capitale ambientale è uno di quelli che hanno patito maggiormente il nostro sviluppo economico. Per preservalo dobbiamo adottare buone pratiche di circolarità che rappresentano uno dei modi più concreti di raggiungere la sostenibilità ambientale e sociale. Una buona percentuale di aziende sta implementando queste azioni ma i margini sono ancora molto ampi

Il capitale ambientale è uno di quelli che hanno patito maggiormente il nostro sviluppo economico

La sostenibilità richiede l’aumento, nel corso del tempo, del valore degli stock di capitale che possono recare vantaggio alla produzione o al benessere. Il capitale fisico è solo il più noto, e anche quello che consideriamo in termini di variazione (investimento) nei conti economici nazionali, ma ce ne sono altri, tra cui il capitale naturale, il capitale ambientale, il capitale che misura la salute della popolazione, il capitale umano. Tra questi, il capitale ambientale è uno di quelli che hanno patito maggiormente il nostro sviluppo economico, come mostrato da Managi e Kumar nel 2018 (Inclusive wealth report, New York, Routledge) che hanno misurato una riduzione complessiva del 40% a livello mondiale tra il 1992 e il 2013. Possiamo certamente sperare che il progresso tecnologico ci consenta di ridurre il depauperamento di capitale naturale e ambientale anche in presenza di futuri aumenti della produzione, e auspicare che il consumo degli individui si diriga sempre di più verso servizi con basso contenuto di input materiali. Dobbiamo però essere realistici e ricordare che un pianeta abitato da 8 miliardi di persone deve trovare altri modi per risolvere i problemi. Vorrei discutere in questo contributo il ruolo dell’economia circolare, partendo dalla sua definizione, per descrivere poi alcuni elementi concettuali sulla sua quantificazione, proseguendo con alcuni dati esistenti in merito alla situazione italiana e una misurazione del grado di circolarità delle large corporate nell’economia internazionale effettuato in uno studio che si trova qui , congiuntamente svolto con Corrado Gaudenzi e Giliola Frey presso Eurizon Capital, la società di asset management del Gruppo Intesa Sanpaolo, per concludere con alcune implicazioni dei risultati.

 

Il concetto di economia circolare fu introdotto da Boulding che in un paper del 1996 contrappose l’economia del Far West a quella di una nave spaziale

Cos’è l’economia circolare: l’economia circolare si contrappone all’economia lineare. Nella seconda la risorse naturali e ambientali vengono usate come input dei processi produttivi, che forniscono come output simultaneamente prodotti e servizi e scarti che vengono abbandonati nell’ambiente. L’economia circolare vuole modificare questo paradigma facendo riferimento ad attività come riutilizzo e riciclo. Il concetto di economia circolare fu introdotto da Boulding che, in un paper del 1996 intitolato all’economia della futura navicella spaziale Terra, contrappose l’economia del Far West a quella di una nave spaziale. Se vogliamo usare i film per comprendere intuitivamente il significato, pensiamo a Clint Eastwood nei panni del cowboy nei western all’italiana di Sergio Leone e al capolavoro di Kubrick 2001 Odissea nello Spazio. Nel Far West i protagonisti non si pongono problemi di utilizzo di risorse in quanto cavalcano in spazi verdi infiniti. Nello spazio ogni singola goccia deve essere utilizzata con parsimonia data la scarsità di risorse che accompagna l’esplorazione umana negli spazi blu infiniti.

 

I tre irrinunciabili: eliminazione di rifiuti e inquinamento, mantenimento in uso di prodotti e materiali, e la rigenerazione dei sistemi naturali

Misurare l’economia circolare: la Ellen Mac Arthur Foundation definisce più propriamente l’economia circolare come un sistema basato su tre principi irrinunciabili: l’eliminazione di rifiuti e inquinamento, il mantenimento in uso di prodotti e materiali, e la rigenerazione dei sistemi naturali. Come evidenziato nello studio svolto da Eurizon Capital, un modo per comprendere quanto sia circolare un sistema economico o almeno un’azienda consiste nell’esaminare dati relativi alla circolarità del processo produttivo, al coinvolgimento degli stakeholder in pratiche di economia circolare, alla qualità delle iniziative prese. Ogni elemento di questa lista comprende numerosi aspetti, ad esempio le iniziative sugli imballaggi, la progettazione dei prodotti dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse naturali, la gestione dei rifiuti, il tentativo di lavorare assieme a clienti, fornitori e dipendenti promuovendo una cultura generale di circolarità.

 

Il sistema economico italiano è tra i più virtuosi

L’Italia: l’evidenza relativa all’Italia non è ancora molto sviluppata. Secondo il Circular Economy Report a cura dell’Osservatorio Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2022 il 57% delle aziende ha adottato almeno una pratica di economia circolare in aumento dal 44% dell’anno precedente. La pratica più diffusa è il riciclo di prodotti e componenti seguita dal 61% del campione, mentre il 32% ha privilegiato operazioni di riprogettazione dei prodotti per favorirne il riutilizzo, la riparazione e la riduzione dei rifiuti. Questi dati possono sembrare insoddisfacenti, ma i confronti internazionali ci dicono che nel complesso il sistema economico italiano è tra i più virtuosi, almeno in Europa, dal punto di vista dell’economia circolare.

 

Su un campione di 470 aziende l’86% ha riportato nel 2021 almeno una iniziativa di economia circolare ma ci sono ampi margini di miglioramento

L’economia internazionale: assieme a Gaudenzi e Frey abbiamo applicato un modello proprietario di Eurizon Capital per misurare l’attitudine alla circolarità delle più grandi aziende al mondo quotate sui mercati azionari partendo da tutte le informazioni pubblicamente disponibili dai loro documenti contabili e informativi. In un campione di 470 aziende, i risultati del rating di circolarità mostrano che l’86% ha riportato nel 2021 almeno una iniziativa di economia circolare seppur nell’ambito di una forte eterogeneità intersettoriale. Peraltro, la stima del grado di circolarità ottenuta dal modello è bassa e mostra l’esistenza di ampi margini di miglioramento. Le aziende hanno sino a questo punto prediletto interventi riguardanti cambiamenti negli input, gestione dei rifiuti e degli imballaggi, con una scarsa attenzione dedicata al coinvolgimento attivo degli stakeholder tra cui soprattutto i clienti e i fornitori.

 

Fare bene facendo del bene

Le implicazioni: la cattiva notizia? Le economie di tutto il mondo sono largamente lineari. La buona notizia? Le economie di tutto il mondo sono largamente lineari. Non è un errore di battitura, ma un ricordare a tutti che le grandi sfide possono rappresentare opportunità, particolarmente per un paese trasformatore come l’Italia. Il nostro punto di svantaggio è storicamente stato quello di non disporre di risorse naturali. La nuova attenzione per la circolarità può darci un incentivo ad essere più attenti, a dover comprare meno input dall’estero, e a ridurre l’utilizzo del nostro capitale ambientale e naturale. È importante che lo sforzo venga svolto dal sistema nel suo complesso e non solo da alcune aziende. Tutti devono essere coinvolti per poter raggiungere rapidamente risultati di rilievo, in grado di consentirci di “fare bene facendo del bene”. In questo contesto, sono utili anche gli sforzi di misurazione e di monitoraggio pubblico da parte di una pluralità di attori tra cui il sistema pubblico, le banche, gli asset manager, le agenzie indipendenti. Sappiamo ormai da tempo che nel mondo moderno un fenomeno non misurato è un fenomeno inesistente: per questo dobbiamo fare squadra e collaborare per diffondere buone pratiche di circolarità che rappresentano uno dei modi più concreti di raggiungere la sostenibilità ambientale e sociale.

Economista, Academic Director EMF - Executive Master in Finance

Andrea Beltratti