Multilateralismo e pace. Il mondo multipolare in cui già viviamo è la migliore garanzia per la pace globale: le priorità della stragrande maggioranza delle nazioni sono salute, istruzione, sviluppo, infrastrutture. Gli Stati Uniti sono più deboli e i dati globali relativi a terrorismo e omicidi, in diminuzione, sembrano non soffrire il minor controllo di Washington: i Paesi cercano sviluppo e prosperità, non sanno cosa farsene di 800 basi militari statunitensi collocate nei quattro angoli della terra.
Due megatrend operano al servizio della pace mondiale: la crescita di un mondo multipolare e il declino secolare della violenza nei rapporti umani
Il segno del futuro ordine mondiale non è affatto catastrofico nonostante due grandi industrie, quella mediatica e quella degli armamenti, siano impegnate a promuovere il caos e le guerre, assieme alla visione di un pianeta sull’orlo dell’Apocalisse. A ciò occorre aggiungere il rischio di un tramonto dell’impero americano in mezzo a conflitti provocati, ingranditi, inventati, fomentati dalla sua macchina bellica. Cionostante, non vivremo in un pianeta più instabile e violento perché sono in campo due potenti forze del progresso, due megatrend strettamente correlati che operano al servizio della pace mondiale: la crescita di un mondo multipolare nella sfera delle relazioni internazionali, e il declino secolare della violenza nei rapporti umani frutto del processo di civilizzazione.
Studio questi fenomeni da un paio di decenni, e sono contento di poter apprezzare che le mie analisi camminino su gambe sempre più solide. Anche quella che può apparire a prima vista come una smentita delle mie previsioni, come una controtendenza nel cammino delle forze della pace – la guerra in Ucraina tra NATO e Russia – sta accelerando in realtà l’emersione di un mondo multipolare che rifiuta di schierarsi a favore dell’opzione militare come strumento di risoluzione dei conflitti e come innesco di una nuova conflagrazione globale.
La pace globale non è a rischio perché le priorità della stragrande maggioranza delle nazioni sono: salute, istruzione, sviluppo, infrastrutture
Dopo aver condannato senza esitazione la violazione della sovranità dell’Ucraina in sede ONU, quasi il 90% degli Stati membri hanno rifiutato di schierarsi con la NATO in una crociata antirussa. Al di fuori dei soci NATO e dei tradizionali partner americani in Asia orientale, nessun paese ha accettato di inviare aiuti militari all’Ucraina, o di imporre sanzioni alla Russia. Parlo delle nazioni dell’Africa, del Centro e del Sudamerica, del Centro e del Sud dell’Asia. Come notano sconfortati Gfoeller e Rundell su Newsweek, “l’87% della popolazione del mondo ha declinato di seguirci” (15-9-22).
La guerra in corso è rimasta una questione limitata a tre attori: l’Occidente atlantico, la Russia e l’Ucraina. Il resto del pianeta, è rimasto a guardare, e perfino i governi satelliti degli USA hanno respinto le pressioni di Biden verso la punizione della Russia.
Quando quasi tutti i principali Stati extra-europei – dal Messico, all’ Indonesia, al Pakistan, all’ India, al Brasile, al Sudafrica, e perfino a Israele e all’Arabia saudita – si dissociano dallo Zio Sam significa che qualcosa di profondo è cambiato nelle relazioni internazionali. E che non ci sarà alcuna nuova guerra fredda né terza guerra mondiale per assenza di materia prima.
Lo scontro tra NATO e Russia non si allargherà perché la lettura del conflitto che prevale nel pianeta è quella di una questione sub-regionale come le altre, da affrontare tramite i soliti strumenti del cessate il fuoco, del negoziato e dell’accordo di pace. Questa guerra non sta dando luogo, perciò, ad alcuna corsa generalizzata verso gli armamenti. La maggioranza dei Paesi – secondo il Global Peace Index 2023 – sta continuando a ridurre il personale militare e la spesa per armamenti rispetto al loro PIL. La pace globale non è a rischio perché le priorità della stragrande maggioranza delle nazioni restano quelle di sempre: salute, istruzione, sviluppo, infrastrutture.
Queste priorità sono ormai consolidate, e sono un prodotto del processo di civilizzazione che erode la credibilità e l’efficacia dello strumento militare in favore della solidarietà e della cooperazione.
Il PIL dei BRICS supera ormai quello dei G7. La cui popolazione è solo il 6% di quella mondiale, contro il 41% dei BRICS
Il mondo è multipolare da più di trent’anni. Nel 1989 non è caduto solo il comunismo sovietico. Il tentativo di dividerlo nuovamente in due campi –liberaldemocrazie pro-USA contro tirannie pro–Cina e pro-Russia- è una operazione politica votata alla sconfitta. Anche perché si sono capovolti i rapporti di forza: Gli USA detengono solo il 4,2% della popolazione e solo il 16% del PIL globale, contro il 50% del 1950. Il PIL dei BRICS (Cina, Brasile, Russia, India e Sudafrica) supera ormai quello dei G7. La cui popolazione è solo il 6% di quella mondiale, contro il 41% dei BRICS. Secondo i dati 2022 del Fondo monetario internazionale, i Paesi “emergenti e in via di sviluppo” producono ormai il 58% del PIL planetario misurato in termini di potere di acquisto, contro il 30% dei G7.
L’avanzata della multipolarità e il tramonto degli Stati Uniti non stanno generando instabilità, violenza ed aumento dei conflitti, ma una loro riduzione generalizzata. I dati più recenti sul terrorismo e sulla violenza letale lo dimostrano. Il terrorismo interno e internazionale è in declino netto e costante.
Dopo la fiammata in Francia e Belgio del 2015, il terrore di matrice islamica è di fatto scomparso dall’ Europa – 2 attentati nel 2022- ed è in crollo nel resto del mondo. Secondo il Global Terrorism Index 2023 gli attacchi suicidi hanno prodotto 1.947 vittime nel 2016 contro 8 nel 2022.
La regione di più intenso regresso del terrorismo è il Medioriente. Dal declino della guerra civile in Siria cominciato nel 2015, all’inizio del ritiro, sotto Trump, delle truppe USA in Iraq e Afghanistan concluso da Biden nell’ agosto 2021 – i dati mostrano una riduzione tra il 70 e il 90% degli attentati terroristici nella regione. Nonché una enorme contrazione del numero delle vittime di ogni tipo di conflitto: l’esatto contrario del disastro previsto da chi credeva in un Medioriente tenuto insieme dalla Pax americana.
Il Global Terrorism Index ci informa che in Afghanistan, un anno dopo la presa del potere da parte dei Talebani, gli attentati si sono ridotti del 75%. Solo il 12% degli attentati terroristici mondiali si verificano oggi nel Nord Africa e in Medioriente, contro il 57% nel 2016.
L’epicentro del terrorismo si è spostato dal Medioriente al Sahel, dove la crescita degli attentati e dei colpi di Stato è legata anche al risentimento contro le politiche neo-coloniali praticate in loco dalla Francia.
Anche la violenza al minuto, quella degli omicidi e delle stragi, continua a diminuire. Dal 2008 al 2023 il tasso mondiale di omicidi è sceso del 17,1%, dal 7,6 al 6,3 per 100mila abitanti. 104 Paesi hanno visto declinare nel 2023 il numero degli omicidi contro 42 che hanno sofferto una crescita. Ma per i media sono esistiti solo questi ultimi, come se il pianeta consistesse solo del Messico o dell’Ecuador.
Un pianeta multipolare non ha bisogno di un guardiano globale della sicurezza
Il regresso del terrorismo e dei conflitti nelle zone più turbolente del mondo, la riduzione della violenza interpersonale e la crescita della multipolarità sono ignorati dalla narrativa mediatica dominante perché rischiano di offuscare l’evidenza assai imbarazzante che il maggiore pericolo per la sicurezza mondiale proviene oggi dagli Stati Uniti e dal loro imponente apparato militare. Gli USA non si rassegnano all’idea di aver perso l’egemonia sul pianeta, di rappresentare solo uno dei 6-7 poli che strutturano il mondo attuale, e dove le relazioni multiple sono ormai la regola. Si può essere amici sia della Cina che degli Stati Uniti, della Russia e del Brasile senza essere costretti a unioni indissolubili e monogame.
Un pianeta multipolare non ha bisogno di un guardiano globale della sicurezza. La maggior parte degli Stati sono impegnati in una corsa per lo sviluppo e la prosperità e non sanno più cosa farne di 800 basi militari statunitensi collocate nei quattro angoli della terra. L’ultima cosa a cui il 90% dei cittadini della terra sta pensando è di essere invischiati in un’alleanza militare che li costringa a combattere contro il nemico di qualcun altro, situato magari a migliaia di chilometri di distanza dalle loro vite.