Un articolo di: Redazione

Le organizzazioni internazionali dai BRICS all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai insistono sul passaggio accelerato a un sistema multipolare. Molti Paesi del Sud Globale si smarcano dall’influenza occidentale e non aderiscono alle politiche sanzionatorie anti russe, che intanto colpiscono duramente le economie europee, ma anche del Giappone.

A Yangon, conosciuta anche come Rangoon, l’ex capitale del Myanmar (Birmania) e il più importante centro economico e culturale di questo Stato del sud-est asiatico, lunedì 7 novembre il comandante in capo della Marina militare russa, l’ammiraglio Nikolaj Jemenov, ha inaugurato una esercitazione congiunta delle forze navali di Russia e Myanmar. Saranno le “prime esercitazioni combinate in assoluto tra le forze armate dei due Paesi”. Le manovre nel Mar delle Andamane proseguiranno fino a giovedì e coinvolgeranno numerose navi da guerra, aerei ed elicotteri da combattimento.

Come ha dichiarato al quotidiano locale “Global New Light of Myanmar” un rappresentante del comando militare congiunto “il programma prevede la prevenzione dei pericoli aerei, di superficie e sottomarini e misure di sicurezza marittima”. Prima delle esercitazioni il generale Min Aung Hlaing, leader del Myanmar, ha visitato il super cacciasommergibili russo “Admiral Tributs” della flotta del Pacifico.

Mosca, colpita dalle sanzioni occidentali, sta sviluppando attivamente le relazioni economiche e commerciali con i Paesi asiatici, in questo momento uno dei principali mercati per l’export russo. Parallelamente vengono potenziati anche gli scambi tecnico-militari. A settembre le forze armate della Russia e di altri Stati dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) hanno preso parte ad una esercitazione antiterrorismo nell’Estremo Oriente russo.

La Russia guarda all’Oriente

È una delle dimostrazione del fatto che Stati Uniti e Unione europea, due poli “potenti e influenti”, in un mondo che sta diventando sempre più multipolare, non riescono a controllare né a dominare le politiche di alcune aree del mondo, specie del Sud Globale.

Come ha scritto il quotidiano statunitense Wall Street Journal il tetto al prezzo del petrolio russo, deciso dall’Unione europea non ha mai funzionato. Da una parte Mosca ha trovato velocemente delle soluzioni logistiche, mettendo in funzione una flotta “ombra” di navi petroliere, e ha indirizzato i flussi commerciali verso l’Asia, in particolare verso Cina e India, ma anche verso alcuni Paesi dell’America Latina. Nei mesi estivi il petrolio russo del marchio Urals è stato quotato in media a 77,03 dollari al barile, mentre nel periodo settembre-ottobre 2023 il prezzo è schizzato a quota 83,35 dollari/barile, ovvero molto al di sopra del “tetto del prezzo” fissato da Bruxelles a 60.

Secondo le statistiche dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nel solo mese di settembre 2023 la Russia ha incassato dall’export petrolifero 18,8 miliardi di dollari.

Non per caso il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto che il nuovo 12° pacchetto di sanzioni contro a Russia “conterrà delle azioni per inasprire il tetto al prezzo del petrolio e misure più severe nei confronti delle società di Paesi terzi che eludono le sanzioni”.

Per aumentare i propri introiti Mosca lavora in sintonia con l’Arabia Saudita, Paese leader dell’OPEC+: i tagli alla produzione, sottoscritti da Mosca, hanno contribuito a spingere i prezzi del greggio russo sopra il tetto massimo. Il greggio russo, ha scritto The Wall Street Journal “ha ricevuto un’ulteriore spinta dall’elevata domanda in Asia, dove i produttori russi stanno facendo a gomitate con il petrolio saudita”.

Il tetto del prezzo petrolifero non funziona

Le sanzioni occidentali hanno cercato di usare la “dipendenza della Russia dai trasporti navali e dalle assicurazioni europee”, controllate dalla Gran Bretagna. La risposta russa non si è fatta attendere. “Il recente aumento dei prezzi del greggio russo suggerisce che la Russia è riuscita a creare una flotta alternativa di navi cisterna a cui non si applicano le sanzioni e che l’Occidente non è in grado di controllare”, ha dichiarato al Wall Street Journal Serghej Vakulenko, analista del Carnegie Russia Eurasia Center. “Si è trattato di un processo evolutivo e ora si vedono i risultati”, ha detto Vakulenko, secondo cui “le compagnie petrolifere russe si sono impegnate molto per rimanere in attività e per continuare a guadagnare, dimostrando di essere operatori capaci”.

L’Ungheria, un Paese membro della UE, ha dichiarato che “non accetterà il 12° pacchetto di sanzioni contro la Russia, se includerà le esportazioni di gas e petrolio”. Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha sottolineato che la politica delle sanzioni intrapresa dall’Unione europea non funziona: “Le sanzioni possono colpire e danneggiare la Russia, ma sicuramente causano gravi danni all’economia europea. Se queste misure causano più danni a coloro che le impongono piuttosto che al destinatario, non ha senso portarle avanti”.

Anche il Giappone comincia a lamentare le politiche sanzionatorie contro la Russia

Anche dall’altra parte del mondo, in Giappone, hanno riconosciuto il fatto che le sanzioni anti russe stanno danneggiando seriamente l’economia del Paese. In particolare le nuove sanzioni, annunciate dai dipartimenti del Commercio e di Stato USA nei confronti della Russia, avranno ricadute sulla partecipazione giapponese al progetto “Arctic LNG 2” per l’estrazione e la liquefazione di gas naturale nell’Estremo Oriente russo. Il Giappone, uno tra i maggiori importatori di idrocarburi al mondo, detiene nella joint venture con la Russia una quota del 10%, appartenente al colosso commerciale Mitsui & Co. e all’Organizzazione per la sicurezza dei metalli e dell’energia (Jogmec) di proprietà dello Stato giapponese.

Come ha dichiarato martedì 7 novembre il ministro dell’Industria giapponese, Yasutoshi Nishimura: “riteniamo che una certa ricaduta sulle attività sarà inevitabile”. Il ministro nipponico ha ammesso che il progetto è di “grande importanza per assicurare al Giappone un approvvigionamento di GNL stabile e a buon mercato”.

“Lavoreremo con i Paesi del G7 per condurre una valutazione globale e rispondere in maniera appropriata, per non compromettere la stabilità dell’approvvigionamento di energia del nostro Paese”, ha aggiunto Nishimura.

Il progetto “Arctic LNG 2”, nel mirino di sanzioni degli Stati Uniti, è gestito dalla compagnia energetica russa Novatek, che sta costruendo anche alcuni impianti ultramoderni per la liquefazione del gas naturale nel Nord della Russia, vicino alla città di Murmansk. Al recente Forum economico eurasiatico a Smarcanda (Uzbekistan), organizzato dall’Associazione “Conoscere Eurasia” il Ceo di Novatek, Leond Mikhelson ha dichiarato che nei prossimi anni la domanda globale di gas naturale liquefatto “continuerà ad aumentare velocemente, mentre soltanto tre Paesi del mondo – il Qatar, la Russia e gli Stati Uniti – saranno in grado di fornirlo”.

Secondo i dati dell’Istituto IEEFA (Institute for Energy Economics & Financial Analysis) nel 2023, nonostante gli embarghi e le sanzioni occidentali, la Russia è “diventata il secondo maggiore fornitore dopo gli Stati Uniti di gas naturale liquefatto verso l’Europa”.

“Sono problemi vostri”, sembra dire il Cremlino all’Occidente annunciando che nei primi 10 mesi del 2023 l’interscambio commerciale tra la Russia e la Cina “è aumentato ancora del 27,7% salendo a quota 196,48 miliardi di dollari”. Vale a dire che il target posto dai presidenti russo, Vladimir Putin, e cinese, Xi Jinping, di “portare il commercio bilaterale a 200 miliardi dollari l’anno per il 2024”, sarà realizzato con un anno di anticipo.

Giornalisti e Redattori di Pluralia

Redazione