La lezione diplomatica dell'ex Segretario di stato statunitense Henry Kissinger, scomparso il 29 novembre 2023 all'età di 100 anni, servirebbe ancora oggi per vedere una luce nella crisi internazionale
La scomparsa di Henry Kissinger è stata caratterizzata da rilevanti apprezzamenti, provenienti da sponde politiche ben differenziate
Da Oriana Fallaci a Christopher Hitchens, contro Henry Kissinger ci sono stati detrattori occidentali di grandissimo rilievo, incluso il memorabile The Price of Power di Seymour Hersh, il più rispettato giornalista investigativo vivente. Tuttavia, la scomparsa di Henry Kissinger è stata caratterizzata da assai rilevanti apprezzamenti positivi, provenienti da sponde politiche ben differenziate.
Scontati i commenti di influenti osservatori americani e cinesi; singolare quello di Vladimir Putin, che, in un messaggio di condoglianze alla famiglia, ha scritto: “Un diplomatico eccezionale, un uomo di Stato saggio e lungimirante che per molti decenni ha goduto in tutto il mondo di un’autorità meritata. Il nome di Henry Kissinger è strettamente legato a una politica pragmatica che ha portato all’allentamento delle tensioni internazionali e a importanti accordi americano-sovietici che hanno contribuito al rafforzamento della sicurezza globale”.
L’elogio riporta al vertice di Vladivostok tra Leonid Brezhnev e Gerald Ford, nel novembre 1974, quando russi e americani concordarono di gestire insieme le crisi future, evitando i rischi di un confronto globale, emersi poco prima per la situazione in Medioriente. Furono gli anni della distensione, una politica poi rivista negli Stati Uniti, ma da tanti rimpianta, perché assicurava una maggiore coesistenza pacifica su scala internazionale. La ricerca di un’intesa con la Russia era rimasta una costante della successiva riflessione di Kissinger.
L’apprezzamento di Putin è rivolto al passato, ma fino a un certo punto: fa ricordare le ultime posizioni di Kissinger a proposito della Russia. In proposito, almeno quattro punti sono stati particolarmente incisivi nell’argomentazione di Kissinger: la responsabilità del conflitto in Ucraina, la possibilità di uno scontro globale, la ricerca di una soluzione, il posto della Russia nel futuro ordine internazionale.
A proposito della responsabilità del conflitto in Ucraina, Kissinger ha affermato che la responsabilità non è soltanto della Russia e che “non è stato saggio combinare l’ammissione di tutti i Paesi dell’ex blocco orientale nella Nato con un invito all’Ucraina a entrarvi”.
A proposito della possibilità di uno scontro globale, Kissinger ha scritto: “La Prima guerra mondiale fu una sorta di suicidio culturale che distrusse la supremazia dell’Europa. I leader europei arrivarono come sonnambuli – secondo la famosa espressione dello storico Christopher Clark – in un conflitto nel quale nessuno di loro avrebbe mai messo piede se solo avesse potuto prevedere come sarebbe stato il mondo alla fine della guerra nel 1918”.
A proposito della ricerca di una soluzione al conflitto, Kissinger ha scritto, riferendosi ancora al momento iniziale della Prima guerra mondiale: “la diplomazia divenne la strada meno battuta. La Grande Guerra andò avanti altri quattro anni e reclamò molti milioni di vittime in più. Oggi il mondo si trova a un punto di svolta paragonabile in Ucraina”. E aggiunge in cospicuo riferimento a quanto avviene oggi: “Se la linea di confine dell’anteguerra tra Ucraina e Russia non potesse essere guadagnata combattendo o con negoziati, si potrebbe esplorare il ricorso al principio dell’autodeterminazione. In territori controversi che hanno cambiato ripetutamente di mano nel corso dei secoli, si potrebbero organizzare referendum consultivi sull’autodeterminazione supervisionati dalla comunità internazionale”.
A proposito del posto della Russia nell’ordine internazionale in costruzione e alla luce del conflitto esistente, Kissinger ha scritto: “Il fine di un processo di pace sarebbe duplice: rafforzare la libertà dell’Ucraina e definire una nuova compagine internazionale, in particolare per l’Europa centrale e orientale. Alla fine, la Russia dovrebbe trovare una sua collocazione in questo ordine. Per alcune persone il risultato più auspicabile sarebbe quello di una Russia resa impotente dalla guerra. Non sono d’accordo. Malgrado tutta la sua propensione alla violenza, la Russia ha dato contributi decisivi agli equilibri globali e all’equilibrio di potere per oltre mezzo millennio. Il suo ruolo storico non dovrebbe essere sminuito. Le battute d’arresto militari della Russia non hanno scalfito la sua capacità nucleare globale, consentendole di minacciare un’escalation in Ucraina. Anche se questa sua capacità ne uscisse intaccata, la dissoluzione della Russia o il disfacimento delle sue capacità in fatto di strategia politica potrebbero trasformare il territorio che ricopre ben undici fusi orari in un vuoto incerto. Altri Paesi potrebbero cercare di far valere le loro pretese con il ricorso alla forza. Tutti questi pericoli sarebbero aggravati dalla presenza di migliaia di armi nucleari”.
Per decenni Kissinger è stato l’uomo più ascoltato degli Stati Uniti. Già nel 1974, un sondaggio Gallup lo classificò come l’uomo più ammirato d’America. Eppure, a mia conoscenza, nel profluvio dei commenti occidentali alla sua scomparsa, nessun ragionamento di rilievo si è adeguatamente soffermato su questa formidabile parte, “russofila” e assai challenging, della sua biografia intellettuale.
Kissinger fu uno scapolo impenitente negli anni d’oro del suo protagonismo internazionale. Dicono che a Washington DC raggiunse il massimo dell’invidia e dei nemici quando si fece fotografare spalla a spalla con Jill St. John, che era stata la prima delle Bond Girls e che ammiccava a mezzo mondo da quei poster pubblicitari delle creme solari Coppertone, che ancora oggi gli intenditori ricordano e collezionano come reliquie mozzafiato del buon tempo andato.
Tra i suoi vanti, Henry Kissinger annovera il conio di spregiudicate valutazioni su sessualità e politica, con alcune arguzie che sono diventate punti di riferimento della letteratura specializzata. La più celebre è la definizione del potere come “il più grande afrodisiaco”. Ma ce ne sono due che debbono essere tirate in mezzo, perché potrebbero risultare allusive di una verità inconfessabile, che viene fuori dall’inconscio involontariamente, di sbieco e di scarto. La prima è la definizione di sé stesso come “uno scambista segreto” e la seconda è quella sulla guerra tra i sessi, che definì “una guerra che non può essere vinta da nessuno. Perché c’è troppa tendenza a fraternizzare con il nemico”.
Filosofi, storici, psichiatri, molti si sono avventurati in acrobatiche elucubrazioni sui rapporti tra sessualità e politica. È un campo minato, tra facezie e ubbie. Niall Ferguson, il potente biografo di Kissinger, non ha insistito sul tema fino in fondo. Sta scrivendo il secondo volume della biografia di Kissinger e forse strada facendo ci farà un pensierino. A noi rimane il dubbio su quel Kissinger “scambista segreto” e reo confesso sulla “tendenza a fraternizzare con il nemico”. Sarà per via di questi dubbi che è rimasta in sordina la riflessione kissingeriana sulla Russia, anche se apparentemente si tratta di un’eredità razionale e ragionevole, non soltanto in termini metodologici e diplomatici, ma perfino in termini di elementare buon senso.