Un articolo di: Nello Del Gatto

Le elezioni statunitense si avvicinano e i mediatori a stelle e strisce spingono per una tregua in Medio Oriente. Nel frattempo Gerusalemme tiene in scacco il potenziale bellico di Teheran che deve decidere se e come rispondere ai recenti attacchi

L’attacco israeliano ha ma bloccato la capacità bellica Iraniana

Lo stallo seguito alla risposta israeliana della settimana scorsa all’attacco missilistico iraniano che, il primo ottobre, vide arrivare nel Paese ebraico circa 200 missili balistici coincide con due importanti fasi del conflitto. Da un lato c’è la scadenza elettorale americana, dall’altra si stanno facendo i conti sui risultati di quello che l’esercito israeliano ha definito, un “attacco mirato” contro le infrastrutture difensive e offensive iraniane.
Quando il primo ottobre Teheran lanciò i missili contro Israele, alcuni impattarono anche contro case, una scuola ed esercizi commerciali oltre a creare minimi danni a due basi militari. Sabato 26 Gerusalemme ha deciso per una scelta diversa: colpire il cuore della produzione missilistica e della difesa iraniana. Dopo settimane di speculazioni sugli obiettivi, con un tira e molla con l’alleato americano sulle possibilità di colpire le infrastrutture nucleari, le raffinerie, con conseguente minaccia iraniana di attaccare a sua volta quelle dei Paesi del Golfo, si è deciso per un obiettivo diverso, anche su pressione americana. Decisione che ha sortito due effetti sia immediati sia strategici: da un lato è stata bloccata la capacità bellica missilistica iraniana che, per tornare a dove era prima dell’attacco, dovrà impiegare circa un anno; dall’altro fornisce a Teheran la possibilità di evitare di rispondere, considerando la ridotta capacità bellica che può essere mascherata con l’intenzione di non agire per abbassare le tensioni, nonostante i proclami diversi.

I mediatori statunitensi sono in Medio Oriente per assicurare quanto meno un cessate il fuoco tra Israele e i proxy dell’Iran

L’avvicinarsi della scadenza elettorale americana spinge da un lato l’Iran a minacciare in tempi brevi una risposta, ancora prima del voto statunitense, dice la CNN; dall’altro lato i mediatori a stelle e strisce sono piombati in forze in medio oriente per assicurare quanto meno un cessate il fuoco tra Israele e i proxy dell’Iran (Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza) che poi si traduce anche in un fermo delle ostilità con Teheran.
Lo stallo sta dando la possibilità di studiare le immagini satellitari per capire i danni che ha recato l’attacco israeliano ai siti colpiti. Uno dovrebbe essere una fabbrica nell’area industriale di Shamshabad, nella provincia di Teheran, dove si costruirebbero parti di droni. Un altro obiettivo, dovrebbe essere una base a sud di Teheran dove ci sono batterie di missili Hawk per la difesa aerea, oltre alle batterie di S300, il sistema anti aereo di fabbricazione russa.
I raid israeliani si sono rivolti contro i siti di fabbricazione e lancio dei droni, gli stessi usati da Hezbollah per lanciare attacchi contro il paese ebraico (non ultimo quello che ha colpito l’altra settimana la casa del premier Netanyahu a Cesarea) e di produzione e lancio dei missili balistici. In particolare sarebbe stata colpita una fabbrica di droni, a 300 km a est di Teheran, dove con ogni probabilità vengono costruiti anche i velivoli senza pilota che i russi usano nella guerra in Ucraina.
La distruzione di quattro batterie antiaeree S300 è un risultato importante per Israele. Non sarà facile per Teheran rimettere in azione il sistema che è fondamentale in caso di attacco aereo. Per sostituirle, l’Iran dovrebbe approvvigionarsi dalla Russia, in un momento difficile per Mosca. Altrimenti si dovrebbe rivolgere alla Cina che, partendo dal sistema di difesa russo S300, ne ha creato uno proprio. I cui risultati non sono conosciuti, ma che potrebbero anche arrivare in tempi brevi in Iran. Che può contare sull’aiuto militare anche di Pakistan e di Corea del Nord. Quest’ultima, già impegnata in Ucraina con la Russia, non ha sistemi efficienti di difesa aerea, ma molti armamenti.
A Khojir e Parchin, Israele ha colpito magazzini ed edifici di miscelazione di carburante e propellente usato dai motori dei missili balistici e delle basi di lancio. Un tipo di sostanze chimiche di difficile reperimento sul mercato, soprattutto considerando le sanzioni ancora in corso verso Teheran.
Israele, colpendo i gangli dell’industria missilistica iraniana ha sia rallentato (non cancellato del tutto) la possibilità di un attacco incisivo a breve (che Israele potrebbe anche vanificare con un attacco preventivo), ma ha anche raccolto nuove informazioni sui siti iraniani (utili in un’ulteriore risposta) e ha dimostrato di avere informazioni d’intelligence sui luoghi strategici del regime degli Ayatollah. L’esercito del paese ebraico ha sottoscritto un’assicurazione sul futuro, facendo capire a Teheran di avere tutte le informazioni necessarie per poter sferrare un attacco su siti importanti. Oltre al fatto che, se l’Iran dovesse attaccare ora, rispondendo al raid israeliano di sabato, non avrebbe le difese necessarie a reprimere una eventuale risposta.

Dal punto di vista mediatico, l’establishment iraniano non può lasciare passare sotto silenzio l’attacco israeliano

E’ ovvio che anche dal punto di vista mediatico, l’establishment iraniano non può lasciare passare sotto silenzio l’attacco israeliano. Da qui le dichiarazioni e le minacce di risposta, da parte di tutti i vertici politici e militari. L’Ayatollah Khamenei ha affermato che l’attacco israeliano “non dovrebbe essere esagerato né minimizzato”, sebbene si sia fermato prima di chiedere rappresaglie. Tutto suggerisce che l’Iran stia valutando attentamente la sua risposta all’attacco e trovare una via d’uscita. L’esercito iraniano ha già affermato che un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza o in Libano supera qualsiasi attacco di rappresaglia contro Israele, sebbene anche i funzionari iraniani abbiano ribadito di riservarsi il diritto di rispondere.
E’ chiaro che stiamo parlando di attacchi diretti da suolo iraniano, senza considerare quelli che i cosiddetti proxy, i gruppi satelliti di Teheran (Hamas da Gaza, Hezbollah dal Libano, sciiti iracheni e siriani, gruppi dai Territori Palestinesi, Houthi dallo Yemen), continuano a sferrare verso Israele. La necessità di un cessate il fuoco a Gaza, vista la ripresa dei colloqui, sembra l’unica soluzione al conflitto nell’area.

Giornalista, corrispondente estero

Nello Del Gatto