Un corridoio commerciale, che bypassa il Canale di Suez e costituisce un'alternativa alla "Via del cotone" promossa da Israele e Stati Uniti, è il progetto portato avanti dal presidente Recep Tayyip Erdogan. La pacificazione del Medio Oriente determinerà anche l'esito della disputa sui corridoi commerciali, che sono la chiave del rapporto con l'Est
Erdogan: Se si vuole collegare il Golfo Persico con l’Europa, la Turchia rimane la via più logica
Diceva la verità Erdogan, molto irritato di fronte al varo dell’ “Imec – Via del Cotone” durante il G20 del settembre 2023: “L’ho detto chiaramente e lo ripeto: senza la Turchia non si fa nessun corridoio. Se si vuole collegare il Golfo Persico con l’Europa, la Turchia rimane la via più logica. Siamo prontissimi con i nostri partner a realizzare il corridoio tra il Golfo Persico e la Turchia attraverso l’Iraq: nessuno ha intenzione di perdere altro tempo”.
Infatti il governo di Bagdad, che ha messo sul piatto del progetto i primi 17 miliardi, ha annunciato che il prossimo gennaio verrà scelto il vincitore della gara per la gestione del Grand Faw Port presso Bassora sul Golfo Persico. Un’infrastruttura che entro il 2028 potrà movimentare tre milioni e mezzo di container e rappresenterà un’alternativa, forse anche più economica, al Canale di Suez e alla rotta del Mar Rosso che è bloccata ormai da un anno, senza che le missioni delle marine militari occidentali siano riuscite a ripristinarne la navigabilità.
Nella short list dei partecipanti alla gara per il nuovo porto, appena svelata dal governo iracheno, ci sono i player che rappresentano gli interessi di Cina, India, Francia ed Emirati Arabi.
Ovviamente nella lista non sono presenti gli Stati Uniti che caldeggiano il progetto antagonista chiamato “Imec – Via del Cotone ” che appare in stallo per la grave situazione in Medio Oriente e il conseguente congelamento degli “Accordi di Abramo” tra Arabia Saudita e Israele, oltreché per motivi tecnici di realizzabilità.
La scelta sarà tra i big mondiali Cosco, China Merchants Port Group, MSC (che è molto presente a Trieste), Evergreen, Cma Cgm, Adani, Ictsi, Abm Global Shipping.
A costruire materialmente le banchine è il colosso coreano Daewoo Engineering che ha già consegnato cinque moli.
La progettazione e direzione dei lavori della costruzione del Grand Faw Port sul Golfo Persico, compresa la parte ferroviaria, sono affidati alla Technital il cui presidente è Zeno D’Agostino, stimato ex presidente dell’ Autorità Portuale di Trieste, che ha schierato 60 tecnici sul progetto e si muove sull’intera area centrasiatica anche su altre iniziative, incluso il Cop29 a Baku sui cambiamenti climatici.
La Development Road mira a collegare il confine tra Iraq e Turchia alle coste del Golfo Persico entro il 2030
Le aspettative dei governi di Iraq e Turchia nei confronti del progetto sono alte. Esso consiste nella creazione di una rete stradale, chiamata “Development Road” che si estende per 1.200 chilometri attraverso l’Iraq e che mira a collegare il confine tra Iraq e Turchia alle coste del Golfo Persico a sud dell’Iraq entro il 2030.
Il progetto prevede anche la realizzazione di una rete ferroviaria che collega il porto meridionale di Grand Faw in Iraq con il porto di Mersin in Turchia. Uno dei fini principali del progetto è quello di contribuire a trasformare il sud dell’Iraq, ricco di petrolio, in un centro di transito commerciale. Ma soprattutto quello di creare un corridoio commerciale alternativo o affiancato a Suez per le merci provenienti dall’Oriente del continente eurasiatico e destinate all’ Europa e viceversa.
Dai porti turchi situati sul Mediterraneo la merce potrà poi partire soprattutto verso Trieste con la collaudata Autostrada del Mare, nata con le “guerre jugoslave” degli anni ’90 del secolo scorso che avevano reso impercorribili i Balcani, e che attualmente convoglia già il 70% delle esportazioni turche.
La Development Road si raccorda con il corridoio mediano della Nuova Via della seta
Il progetto prevede l’inserimento nel territorio iracheno di treni ad alta velocità, lo sviluppo di centri industriali ed energetici locali, compresi oleodotti e gasdotti, e la costruzione di oltre 1.200 chilometri di ferrovie e superstrade, che collegheranno l’Iraq con i paesi vicini. Il progetto infrastrutturerà l’area densamente abitata dell’antica Mesopotamia portando sviluppo dopo decenni di guerre e turbolenze. Turchia e Iraq hanno concordato la convocazione di riunioni mensili per contribuire ad accelerare i processi di costruzione.
E’ importante notare che nel suo percorso da sud a nord la “Development Road” si raccorda con il corridoio mediano della Nuova Via della seta che dalla Cina raggiunge la Turchia passando per il Mar Caspio e che sta avendo notevole sviluppo anche per l’ impegno di Ankara. Prosegue pertanto l’interconnessione dell’ Eurasia, nonostante i tentativi occidentali di tenerla divisa e in conflitto.
Ancor prima di abbandonare le nuove vie della seta, Roma aveva annunciato la sua adesione al progetto IMEC Via del Cotone, promosso da Washington al fine di tagliare fuori Cina e Russia dalle filiere produttive mondiali. Infatti immagina un percorso ferroviario da un porto dell’Arabia Saudita fino a Haifa in Israele attraversando oltre 2.500 km di deserto.
Ad essere tagliata fuori sarebbe anche la Turchia, il principale partner del Porto Franco di Trieste. Ovviamente la Turchia ha reagito pesantemente non solo a parole ma soprattutto accelerando la realizzazione del corridoio della “Development Road”.
Con l’ adesione italiana al progetto IMEC, inconsistente e attualmente “congelato”, è stato fatto un pesante sgarbo a partner commerciali strategici come Turchia e Cina senza trarne alcun vantaggio concreto se non la “benevolenza” americana verso il governo Meloni.
Negli Stati Uniti si dibatte su riviste importanti come Atlantic Council e National Interest su come coinvolgere l’Italia e in particolare Trieste (qualche anno fa potenziale snodo portuale della Bri) in tale progetto sul piano economico e strategico. E si evidenzia il comune interesse americano e italiano per il controllo strategico del Mediterraneo allargato all’ Indo–Pacifico, vero scopo dell’ Imec.
Washington ha promosso durante la prima amministrazione Trump il gruppo I2U2: un raggruppamento di Israele , Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e India che è stato fatto proprio dall’ amministrazione Biden.
Uno dei progetti dell’ I2U2 è proprio l’ “Imec- via del cotone” in contrapposizione alla Via della Seta e alla Development Road turco-irachena ben vista da Cina e Russia.
Non è un caso che Kaush Arha, che ha seguito fin dall’ inizio per conto dell’amministrazione americana il gruppo I2U2, sia venuto più volte a Trieste per creare consenso degli operatori al coinvolgimento del porto triestino nella “Via del Cotone” che a sua volta sarebbe vertice del “Trimarium”, con finalità prevalentemente strategiche vista l’ inconsistenza commerciale ed economica del progetto e l’assenza di interessi commerciali americani in quest’area.
Si è creata dunque una sorta di “guerra dei corridoi commerciali” che si è riflessa anche nel discorso all’ ONU di Nethanyahu dove ha presentato due piantine che illustrano i due corridoi definiti rispettivamente come “Benedizione” e “Maledizione”.
Ma la “Development Road” è decollata e avanza velocemente mentre la “Via del Cotone” resta nel mondo delle fantasie improbabili. Se e quando prenderà piede (il requisito minimo è la difficile pacificazione dell’area mediorientale), l’Italia potrebbe essere chiamata concretamente a scegliere tra seta e cotone.
Meglio avere le idee chiare sul da farsi. Se non altro per non subire passivamente la probabile prossima dura fase negoziale delle relazioni sino-statunitensi innescata dall’imminente secondo mandato presidenziale di Donald Trump. Anche se bisognerà vedere quali effetti avrà sulla politica estera l’affiancamento al presidente eletto di Elon Musk che ha forti interessi in Cina dove la fabbrica Tesla di Shanghai copre la metà della produzione mondiale del marchio di auto elettriche. Musk ha consuetudine non solo con gli apparati e i politici cinesi ma anche con quelli russi soprattutto in relazione alla sicurezza della sua flotta di satelliti Starlink. Una situazione segnata dall’imprevedibilità.