Per decenni l’economia mondiale si è espansa, generando enorme ricchezza. Dopo il 2008, la globalizzazione ha cominciato a rallentare per poi fermarsi con la guerra, mentre l’inflazione è schizzata.
Le previsioni hanno sottostimato di gran lunga questa possibilità e le misure di Bce e Federal reserve si sono rivelate sostanzialmente fallimentari.
Dagli infarti economici dei lockdown, passando per le graduali riaperture post Covid, fino a giungere allo shock della guerra in Ucraina, una parola è tornata a ripopolare le home page dei giornali con toni allarmati: inflazione. Anche i più ostinati a non seguire l’attualità e il dibattito pubblico, hanno tirato fuori la testa dalla sabbia accorgendosi degli aumenti del caffè al bar e dei biglietti dei mezzi pubblici.
Effettivamente, i tassi di inflazione sono saliti di percentuali preoccupanti. Prendendo il singolo caso italiano, l’inflazione ha toccato l’11,6% a dicembre 2022 e a gennaio 2023 il 10,1%; un livello di cinquanta volte superiore a quello che l’Istat registrava lo stesso mese di due anni prima, quando l’inflazione su base annua era solamente dello 0,2%.
Le previsioni hanno sottostimato di gran lunga questa possibilità e le misure di Bce e Federal reserve si sono rivelate sostanzialmente fallimentari.
Il galoppare dell’inflazione non è ascrivibile però solo a previsioni errate e misure infelici, ma a cause strutturali. E una di queste è la brusca frenata, per gli ottimisti, o la fine, per i pessimisti, della globalizzazione.
Tra il 1995 e il 2010, il ritmo di crescita del commercio mondiale è stato doppio rispetto a quello della crescita del PIL mondiale
Per decenni l’economia mondiale si è espansa attraverso la riduzione di barriere al commercio e la possibilità di utilizzare capitale e lavoro da tutto il globo. La produzione dei beni si è spostata dove più conveniente, perciò i consumatori hanno goduto di prezzi più bassi. La stessa Christine Lagarde, presidente della BCE, in un discorso sulla globalizzazione dopo la pandemia nel 2021, all’incontro annuale di IMF, ha spiegato come il commercio mondiale sia stato beneficiato dall’abbattimento delle barriere. L’economia strutturata su catene globali, ha combinato i vantaggi di ogni paese mondiale. Il risultato? “Tra il 1995 e il 2010, il ritmo di crescita del commercio mondiale è stato doppio rispetto a quello della crescita del PIL mondiale e la natura del commercio è stata trasformata dall’espansione delle catene globali del valore, una rete di interconnessioni che si è sviluppata con la disaggregazione della produzione attraverso i confini”. In Europa, tra il 2010 e il 2017, grazie alla globalizzazione sono nati 36 miliioni di posti di lavoro proprio grazie all’esportazione nel resto del pianeta.
Il continente europeo è stato molto sfrontato in questo processo aprendosi più degli americani, che hanno visto crescere il Pil solo dal 23% al 26% fra il 1999 e il 2019, tasso che in Europa è cresciuto dal 31% al 54% nello stesso ventennio. Dall’apertura al commercio globale deriva anche la fragilità per gli shock esterni, più deleteri per l’Europa. Commenta così Stefano Feltri nel suo recente saggio Inflazione: “l’Unione Europea ha scoperto durante la pandemia quanto può essere delicato il fatto che il 45% dei componenti attivi dell’industria farmaceutica sia di importazione cinese, così come il 98 per cento dei materiali prodotti dalle cosiddette “terre rare” che sono fondamentali per la transizione ecologica”.
La guerra in Ucraina ha però affossato le prospettive di crescita
Ma la frenata della globalizzazione non è arrivata all’improvviso per la combo Covid e guerra in Ucraina. La Lagarde spiega che “dopo il 2008, il ritmo della globalizzazione è rallentato e la crescita del commercio mondiale non ha più superato quella del PIL mondiale. Di fatto, nel 2019 la crescita del commercio mondiale si era più che dimezzata rispetto all’anno precedente. Ciò ha contribuito alla recessione manifatturiera nell’area dell’euro alla vigilia della pandemia”.
Il virus però non ha distrutto completamente le supply chain globali, tanto che l’economia in tempi brevi è stata capace di riprendersi, riuscendo a ottenere già nel terzo trimestre del 2020 il tasso del commercio globale sopra i livelli stimati in assenza di Covid.
La guerra in Ucraina ha però affossato le prospettive di crescita: il Fondo monetario internazionale afferma che la crescita mondiale sarà ancora debole nel 2023, in un calo che parte dal 6% del 2029, passa al 3,2% del 2022 arrivando al 2,7% del 2023.
Il rallentamento della crescita avviene in contemporanea a un aumento dell’inflazione
“La cosa interessante, e preoccupante,”fa notare Feltri“ è che il rallentamento della crescita avviene in contemporanea a un aumento dell’inflazione, che a livello globale passa dal 4,7 per cento del 2021 all’8,8 per cento del 2022 ed è attesa in lieve calo nel 2023 al 6,5 per cento. La combinazione tra bassa crescita e inflazione alta sembra rafforzare la tesi che la globalizzazione ha favorito lo sviluppo attraverso una riduzione dei prezzi”.
Un mondo diverso da quello che conoscevamo
Ma se la globalizzazione frena, i prezzi cominciano a correre, perché meno concorrenza internazionale permette alle aziende di tenere prezzi più alti senza avere ritorsioni, e nel momento in cui lo scenario geopolitico è incerto le produzioni si avvicinano per dare stabilità e autosufficienza ai propri paesi, rinunciando però ai prezzi stracciati della globalizzazione.
Una serie di fattori, calcolando anche gli aumenti dei tassi di interesse per tenere a bada l’inflazione, che costruiranno un mondo diverso da quello con cui siamo abituati a rapportarci da quarant’anni a questa parte.