Un articolo di: Redazione

Le vittime del nuovo braccio di ferro “saranno il commercio internazionale di materiali per la transizione energetica, la lotta contro il cambiamento climatico e i progressi delle nazioni in via di sviluppo”

Una parziale de-globalizzazione, l’interruzione dei tradizionali legami commerciali non soltanto tra i singoli Paesi ma anche tra intere zone geografiche sono costate nel 2023 all’economia mondiale almeno 3.000 miliardi di dollari. A questa conclusione sono arrivati gli analisti del Fondo monetario internazionale (FMI) secondo i quali “tra le Nazioni del mondo si stanno acutizzando divergenze e si stanno allargando pericolose crepe”.

Come ha dichiarato il vice direttore del FMI, Gita Gopinath, al recente Congresso mondiale dell’Associazione economica internazionale (IEA)  tenutosi a Medellin, in Colombia, tra l’11 e il 15 dicembre:  “la Seconda guerra fredda è già alle porte”, mentre le vittime di questo nuovo braccio di ferro “saranno il commercio internazionale, la lotta contro il cambiamento climatico e i progressi delle Nazioni in via di sviluppo”.

Secondo il direttore generale del FMI, Kristalina Georgieva, per il momento gli unici a trarre dei benefici economici dall’imminente Guerra fredda sono gli USA: “Quando guardiamo alla ripresa post Covid, solo gli Stati Uniti sono tornati a livelli di crescita economica superiori e mentre queste divergenze si allargano dobbiamo temere non solo per l’economia ma anche per la sicurezza di tutto il mondo”, ha detto Georgieva in un intervento al Council on Foreign Relations.

Dopo Gorgieva il numero due del FMI ha messo i puntini sulle “i”: “Siamo a un punto di svolta. Vorrei chiedere anche questo: siamo sull’orlo della Seconda guerra fredda? Sembra proprio di sì. La conferma arriva dallo storico Niall Ferguson, secondo cui lo siamo già”, ha detto Gopinath, sottolineando che “la ragione di ciò è stata la crescente frammentazione tra le ‘superpotenze mondiali’, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, a causa delle tensioni politiche e dei numerosi episodi di guerre commerciali”.

Secondo Gopinath le perdite finanziarie che l’edizione “bis” della Guerra fredda potrebbe causare per il mondo intero sarebbero “davvero devastanti”. Se l’economia globale dovesse spaccarsi in due o più blocchi ostili e il commercio tra questi blocchi venisse ridotto “all’osso”, le perdite potrebbero essere stimate in circa il 2,5-3% del PIL globale. Per quel che riguarda lo sviluppo economico e sociale delle singole Nazioni del mondo si prospettano delle perdite particolarmente grandi per le economie in via di sviluppo a basso reddito e per intere aree caratterizzate da economie emergenti.

“Ma a seconda della capacità di aggiustamento delle economie – ha anche notato Gopinath  – le perdite potrebbero raggiungere addirittura il 7% del PIL mondiale”. Stando alle recenti stime dello stesso FMI e del Forum economico mondiale (World Economic Forum, WEF) il PIL globale del 2023 dovrebbe raggiungere quota 105.000 miliardi di dollari, mentre le eventuali perdite, preannunciate da Gopinath potrebbero arrivare così a 7.350 miliardi di dollari. Come ha precisato l’economista Katya Stead “si tratta all’incirca della stessa cifra del PIL annuale del Regno Unito e della Germania messi insieme, ovvero più del triplo del PIL annuale della Russia”.

Il processo di de-globalizzazione assume in continuazione nuove preoccupanti forme sullo sfondo della creazione di coalzioni e di blocchi. Secondo il report del titolo “Le banche occidentali in Russia si riducono ai livelli della Guerra fredda, mentre la Cina cresce” (Western Banks in Russia Shrink to Cold-War Levels as China Rises) che l’agenzia Bloomberg ha realizzato in collaborazione con il gruppo bancario Raiffeisen, la “presenza degli istituti di credito occidentali in Russia è scesa sui livelli degli anni della prima Guerra fredda”.

Se nel 2021, alla vigilia dell’inizio del conflitto armato tra la Russia e l’Ucraina, “l’esposizione delle banche occidentali in Russia ammontava a 119 miliardi dollari, nel dicembre del 2023 il dato è sceso a meno di 60 miliardi”. Ovvero molto vicino ai miseri 40 miliardi di dollari della fine degli Anni ’80 del secolo scorso. “Se si pensa – ha scritto Gianluca Zapponini di Formiche.net – che nel 2012, undici anni fa, l’interscambio tra banche estere e Russia era di quasi 240 miliardi, va da sé che gli ultimi due anni abbiano di fatto chiuso un’era”.

Gli spazi, lasciati liberi dopo il ritiro forzato delle banche occidentali dalla Russia, vengono occupati dagli istituti finanziari cinesi, che “svolgeranno un ruolo simile a quello delle banche occidentali prima del conflitto ucraino come àncora di stabilità e facilitatore del commercio estero della Russia”, hanno sottolineato gli analisti di Raiffeisen, Ruslan Gadeev e Gunter Deuber, ricordando che “nel mese di ottobre del 2023 il 50% degli scambi valutari Mosca-Pechino era regolato in yuan”.

Peggio ancora, oltre a queste divisioni e cancellazioni, la nuova Guerra fredda minaccia di ostacolare il lavoro che – come  ha dimostrato la recente conferenza sul clima delle Nazioni Unite COP28 – molti popoli ritengono essere “la massima priorità del pianeta Terra”, ovvero quello di trovare soluzioni per frenare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici.

Una recente analisi dello stesso FMI ha dimostrato che la frammentazione del commercio di minerali critici per la transizione verde – litio, rame, nichel e cobalto – renderebbe il passaggio energetico molto più lento e costoso. E questo perché le riserve di questi minerali “strategici” sono concentrate in alcune aree geografiche del mondo, dall’America Latina, alla Cina e alla Russia, e non sono “facilmente sostituibili”. “L’interruzione di questo commercio ‘verde’ – hanno scritto gli analisti dell’FMI – porterebbe a forti oscillazioni delle quotazioni sulle piazze internazionali, con una conseguente riduzione drastica degli investimenti nelle energie rinnovabili”.

Giornalisti e Redattori di Pluralia

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