Un articolo di: Andrea Beltratti

Storia dello sviluppo, delle distorsioni e delle prospettive dell'economia cinese che in meno di quattro decenni è passata dalla centralizzazione, al mercato fino allo status di potenza globale

Solo 35 anni fa la Cina era un’economia statalizzata, senza mercato finanziario e con banche guidate da obiettivi pubblici

Dal punto di vista economico, la Cina compie 35 anni. È facile dimenticarcene, ma le riforme del grande timoniere Deng Xiaoping risalgono all’inizio degli anni Novanta. La mancanza di prospettiva storica rischia di farci valutare la situazione cinese odierna in maniera avulsa dalla realtà, come se i dati provenissero dall’economia statunitense o europea. Ma non dobbiamo dimenticare che 35 anni fa la Cina era un’economia statalizzata, senza mercato finanziario e con banche guidate da obiettivi pubblici e non dal desiderio di perseguire la miglior allocazione del capitale. La storia della Cina in questi 35 anni rappresenta il più grande esperimento su cosa vuol dire il passaggio dall’economia centralizzata a quella decentralizzata. Cerchiamo di capire il perché.

La storia della Borsa cinese: per capire la Cina di oggi e immaginare quella di domani, è utile partire dalla storia del suo mercato azionario. Dalla fine degli anni Ottanta l’economia cinese è stata dominata in modo schiacciante dalle imprese statali. Ma sotto la guida del Presidente Deng Xiaoping, passi significativi sono stati compiuti con l’istituzione di due importanti Borse valori nel 1990 e nel 1991 e con la prima ondata di IPO per la raccolta di capitali, che inizialmente hanno diluito la proprietà governativa delle aziende cinesi. Tuttavia, il controllo aziendale è rimasto saldamente nelle mani dello Stato, in gran parte a causa della particolare struttura delle società quotate: all’inizio del 2005, circa i due terzi del mercato azionario cinese erano costituiti da azioni non negoziabili (NTS), una classe speciale di azioni che dava diritto ai possessori di avere esattamente gli stessi diritti dei possessori di azioni ordinarie, ad eccezione della negoziazione pubblica. Tipicamente, queste azioni appartenevano allo Stato o a istituzioni finanziarie nazionali di proprietà in ultima analisi di governi centrali o locali. C’era un contratto implicito tra gli investitori e lo Stato che gli NTS non sarebbero mai stati scambiati nel mercato azionario.
Nel 2005, le autorità cinesi hanno annunciato una riforma volta a eliminare le NTS. La riforma obbligava i possessori di NTS a compensare i possessori di azioni negoziabili (TS) per la possibilità di vendere le loro azioni in futuro. A parte la compensazione, la riforma ha avuto un impatto diretto immediato molto limitato sulla struttura del mercato azionario cinese nel breve periodo, ma ha posto basi per l’aumento della capitalizzazione grazie a una struttura proprietaria più diffusa, a un avanzamento del processo di privatizzazione e a un miglioramento della governance societaria, al miglioramento della liquidità.

L’andamento della Borsa cinese: la figura illustra l’andamento nel corso del tempo dell’indice Shanghai Composite (fonte: Investing.com). Dal valore iniziale di 130 nel 1991 è diventato pari a 3.391,88 a inizio dicembre del 2024, con un rendimento (geometrico) medio annuo del 10%. Dedotta un’inflazione media del 4% (fonte: World Bank) si ottiene un rendimento reale di circa il 6% medio annuo, in linea con quello di lungo periodo del mercato statunitense ma inferiore sia al rendimento della Borsa USA nel periodo 1991-2024 sia ai rischi associati all’investimento in un’economia in forte crescita ma caratterizzata da elementi di rischio superiori a quelli di altri Paesi. Da quasi un decennio il valore del mercato non presenta spunti significativi all’infuori di un range piuttosto contenuto.

L’obiettivo di crescere il più rapidamente possibile, ha portato a uno sviluppo del 10% annuo e alla creazione di numerosi squilibri come città fantasma e infrastrutture poco utili

L’economia cinese e l’eccesso di investimento: la Cina ha sofferto per anni di un eccesso di investimento. Molti investimenti sono stati di elevata qualità e importante rendimento. Il miglior esempio è il distretto finanziario di Pudong, a Shangai, che risale all’inizio degli anni Novanta. Ho avuto la fortuna di vedere con i miei occhi il grande cantiere in cui si costruiva una città nella città ma ancora più istruttive erano state le conversazioni che avevano avuto luogo con gli esperti del governo cinese quando discutevamo il Masterplan del distretto. La conversazione era stata particolarmente interessante quando diedi i miei commenti sulla loro proposta iniziale che comprendeva la possibilità di dedicare un’area agricola in mezzo a Pudong per produrre il cibo di cui aveva bisogno la città. Gli esperti locali furono sopresi quando gli dissi che in un regime di scambio poteva avere maggior senso economico importare il cibo dall’esterno al fine di dedicare interamente il territorio alle attività finanziarie (un’osservazione su cui oggi si potrebbe riflettere a lungo alla luce dei problemi emersi in tutto il mondo da un modello di sviluppo segmentato e concentrato, che per certi versi appare inferiore a una organizzazione territoriale diversificata che comprende un mix di attività e può rendere lo sviluppo maggiormente sostenibile). Ciò che è rilevante ai fini della discussione corrente era però l’obiettivo di crescere il più rapidamente e intensamente possibile, una vocazione che ha portato la Cina a uno sviluppo del 10% annuo e alla creazione di numerosi squilibri, ad esempio la costruzione di città fantasma e infrastrutture poco utili, che oggi rappresentano una scomoda eredità da gestire e sono alla base dei problemi di instabilità del Real Estate locale.

L’economia cinese e l’eccesso di esportazioni: un secondo problema attanaglia la Cina dal punto di vista economico, vale a dire l’eccesso di esportazioni. Secondo Goldman Sachs Research, le esportazioni hanno contribuito al 70% della crescita economica del 2024. Dato ancora più evocativo della reale situazione, secondo la Banca Mondiale, le esportazioni rappresentano il 20% del Prodotto Interno Lordo pari a circa 18 triliardi di dollari. La Cina quindi contribuisce a creazione di prodotti che vengono consumati in altri Paesi per 3,6 triliardi di dollari, pari a circa il 3% del PIL mondiale. Un ruolo ingombrante per aree del mondo, come Europa e Stati Uniti, in cui il problema primario non è quello di consumare, ma di produrre per consentire alla popolazione di essere attiva e di risparmiare risorse per una vita sempre più lunga.

 

Il problema dell’economia cinese è molto semplice: trovare le fonti di domanda aggregata che possano spingere le imprese a produrre

La manovra economica del 2024: è in tale contesto che dobbiamo valutare il recente annuncio su una manovra che vuole riportare la crescita oltre la soglia del 5% che è già stata mancata nel 2024 e che, secondo le previsioni di consensus di fine novembre sarebbe stata del 4,5% nel 2025, con una ulteriore riduzione causata dalla prospettiva dei dazi che la futura amministrazione Trump dichiara di voler imporre al resto del mondo. Il mercato azionario ha reagito in maniera positiva all’annuncio ma l’entusiasmo è svanito presto, soprattutto a causa della mancanza di dettagli. Il problema dell’economia cinese è molto semplice: trovare le fonti di domanda aggregata che possano spingere le imprese a produrre, e introdurre innovazioni di processo e prodotto che consentano alle aziende di essere sempre più efficienti.

Conclusioni: l’attenzione per la sostenibilità è, correttamente, un elemento rilevante per la Cina ma può essere più utile al miglioramento della qualità della vita nel lungo periodo che a rilanciare l’economia nel breve periodo. La priorità economica deve essere il continuo assorbimento degli squilibri di infrastrutture e Real Estate, ancora presenti come evidenziati dall’andamento dei prezzi delle proprietà immobiliari, e manovre di incentivazione ai consumi interni, che non sono però facili da implementare in un Paese con 1,4 miliardi di persone, molte delle quali abitano ancora in zone interne. Come spesso accade, l’Europa potrebbe essere perdente in questo scenario geopolitico: dove andranno le merci che verranno fermate al porto di New York?

Economista, Academic Director EMF - Executive Master in Finance

Andrea Beltratti