Passando ad un riarmo sempre più evidente, l'Europa finisce per tradire la sua migliore tradizione: quella nel segno della pace nata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fatta di quella trama ideale tessuta dalle teorie greche dell’amicizia e del giusto mezzo, dal diritto romano, dalla fraternità cristiana, dal buonsenso erasmiano, che intrecciandosi hanno prodotto uno straordinario ripensamento della convivenza umana.
In un volume che ha nel titolo tutto un programma, Von Athen bis Auschwitz, Da Atene ad Auschwitz, l’insigne storico tedesco Christian Meier riporta, nel 2002, una frase di Peter Esterhàzy: “Abbassare lo sguardo, questo significa oggi essere europei”.
Auschwitz non è un problema tedesco, ma dell’Occidente, perché in Germania ci fu molta opposizione al nazismo, da Dietrich Bonhoeffer a Willy Brandt, e in Occidente ci fu molta simpatia per il nazismo, soprattutto nel mondo anglofono, da Lord Londonderry a Edoardo VIII, da Henry Ford a Charles Lindbergh. I nazisti erano ammiratori del sistema di segregazione razziale allora esistente negli Stati Uniti.
Da Adorno a Bauman, Auschwitz appare una tappa coerente del percorso occidentale nella storia universale. Eppure, esiste, a parere di Meier, uno spartiacque di carattere epocale, indotto dalla Seconda guerra mondiale; dopo Auschwitz nasce una nuova Europa, molto diversa dall’Europa colonialista, razzista, militarista, bellicista, fascista e nazista del passato.
Si è detto che l’esperienza di Auschwitz, per quanto sia unica, va comunque considerata insieme a Hiroshima o ai Gulag e ad altre cose che si pretende siano dello stesso genere. In premessa, sarebbe sbagliato considerare i Gulag o Hiroshima come esperienze non-europee: il comunismo e la bomba atomica sono stati una continuazione, in differenti contesti geografici, di idee nate in Europa. L’ordigno di Hiroshima è stato costruito in America, ma il suo architetto, Enrico Fermi, non era americano. C’è voluto Christopher Nolan per fare rinascere in Occidente un minimo di dibattito pubblico su un possibile uso di armi nucleari; mentre i Gulag sono stati in patria ripensati ampiamente e criticamente come una vergogna nazionale. Nel centro di Mosca, quella che una volta si chiamava la Grande Via Comunista è oggi ri-denominata Via Aleksandr Solzhenitsyn.
Il percorso della razionalizzazione è avvenuto in tanti settori, inclusa la morale pubblica
Ogni sottolineatura unilaterale dei trionfi o dei fallimenti dell’Occidente sarebbe al fondo menzognera. La cancel culture è una farsa, ma sarebbe farsesco anche il suo contrario. Complicato ma necessario è invece distinguere esperienze negative e positive: ci sono cose da accettare e ci sono cose da rifiutare.
Da Archimede a Newton, da Galilei ad Einstein, conosciamo la storia gloriosa del razionalismo europeo, nella scienza in particolare. Per le fognature e per le strade, esiste un orgoglio antico e altero. Plinio dice che gli acquedotti hanno molto più valore delle “inutili piramidi”. Di fatto, le testimonianze delle applicazioni del razionalismo scientifico sono imponenti e sfidano i secoli, come l’acquedotto di Segovia. Questo razionalismo pacifico e costruttivo si esprime in tanti settori della vita, a cominciare dalla quotidianità. A proposito del vino, è stato scritto da H. R. Trevor-Roper: “I nostri vigneti sono un monumento romano, uno dei monumenti romani meglio conservati”.
Un affidabile razionalismo occidentale si riscontra anche in ambiti politici essenziali. In Europa è visibile una trama ideale tessuta dalle teorie greche dell’amicizia e del giusto mezzo, dal diritto romano, dalla fraternità cristiana, dal buonsenso erasmiano, che intrecciandosi hanno prodotto uno straordinario ripensamento della convivenza umana. Verdun e Auschwitz hanno lasciato il segno. Il percorso della razionalizzazione è avvenuto in tanti settori, inclusa la morale pubblica, attraverso la specificazione di un’etica della responsabilità – che sia davanti a Dio o davanti al cielo stellato.
Dal 1945 al 2022 c’è stata una riedizione di quel sistema di equilibrio che l’Europa aveva trovato dal 1815 al 1914 e che Karl Polanyi definì “la pace dei cento anni”. Allora, la travolgente rivoluzione industriale si coniugò con il mercato e con un equilibrio dei poteri: un meccanismo di regolazione e pacificazione sociale che vide grandi successi politici, dall’alto e dal basso, come il welfare bismarchiano e le cooperative inglesi. Dal 1945 l’Europa colbertiana è rinata attraverso il recupero della sua migliore tradizione di razionalismo, di collaborazione e di pacificazione.
C’è responsabilità nel sopravvivere all’orrore
Oggi, tuttavia, l’Europa non costruisce meccanismi di riconciliazione e sottolinea enfaticamente il suo passaggio da un’economia di pace ad un’economia di guerra. Per quello che soltanto in questa terra abbiamo vissuto, è un vile tradimento.
In una consistente letteratura, si sottolinea che ci si vergogna davanti agli altri. Mentre il senso di colpa è un’esperienza personale, connessa al tribunale interiore della coscienza. Dunque, sarebbe possibile sentirsi in colpa per azioni che hanno l’approvazione degli altri e vergognarsi pur pensando di essere nel giusto. Si può provare insieme sia la vergogna sia la colpa. Del peggiore delinquente si dice che è “senza vergogna” e del peggiore psicopatico che non ha “senso di colpa”.
Sempre, comunque, si tratta di un doloroso esame di coscienza. In Die Schuldfrage: ein Beitrag zur deutschen Frage, (La questione della colpa: un contributo alla questione tedesca) Karl Jaspers portò a conclusione la meditazione sulla responsabilità di chi (anche soltanto come spettatore) è partecipe di un misfatto.
Non c’è soltanto la responsabilità di quelli che uccidono. C’è la responsabilità anche di quelli che disapprovano e lo dicono apertamente. C’è responsabilità nel sopravvivere all’orrore.
In questo senso, più di un europeo sente la vergogna di non avere fatto tutto il possibile contro la ripetizione dell’orrore nel cuore e ai confini dell’Europa. Assistiamo ad uno sfrontato, insopportabile, impunito tradimento degli europei e dell’umanità.
In questo senso, più si è innocenti, come in Dostoevskij, più è possibile sentirsi in colpa – la vergogna di essere europeo.