In una sola settimana sono praticamente fallite una dopo l'altra le tre emissioni di Treasury Bond con scadenze a 3, 10 e 30 anni. Di fronte alla situazione disastrosa del debito di Stato americano il presidente, Joe Biden, cerca di attenuare le tensioni con la Cina nel tentativo di migliorare la performance dell’economia americana.
Moody’s mantiene per gli USA il rating a tripla “A”, ma declassa l’outlook da “stabile” a “negativo”
La “sberla” dell’agenzia di rating internazionale Moody’s, che ha tagliato l’outlook del debito federale USA da “stabile” a “negativo” è arrivata il 10 di novembre. La scelta della data non è stata casuale. Gli analisti di Moody’s, l’unica rimasta delle tre maggiori agenzie di rating internazionali ad attribuire ancora al debito federale degli Stati Uniti il prestigioso giudizio a “tripla A”, hanno aspettato fino all’ultimo per vedere i risultati di una nuova emissione di Treasury 30-ennali (la scadenza massima) da 24 miliardi di dollari, che era stata programmata per il 9 di novembre, il giorno precedente alla decisione drastica di Moody’s.
E i risultati di questo nuovo tentativo del Governo federale di rastrellare i fondi per garantire la tenuta e i ripagamenti del debito statunitense, che in novembre ha varcato la quota sensazionale 33.000 miliardi di dollari, sono stati un disastro vero e proprio.
L’emissione del 9 novembre è stata la terza della settimana finanziaria del 6-10 novembre e ha seguito le due recedenti, con scadenze a 3 e 10 anni, anch’esse andate rispettivamente “male” e “molto male”. La scarsa richiesta di nuovo debito americano sia da parte degli investitori “domestici” degli Stati Uniti, che di quegli internazionali, ha fatto schizzare alle stelle i tassi di rendimento dei Titoli di Stato a 5,022% (3 anni) e a 4,629% (10 anni).
Gli investitori globali hanno snobbato ben tre emissioni di T-Bond
Secondo gli analisti finanziari di una delle maggiori banche europee, che hanno parlato con Pluralia a titolo anonimo “l’emissione di bond a 30 anni è stata ancor più disastrosa delle precedenti dal momento che molti investitori strategici hanno snobbato l’offerta americana e non avanzato alcuna offerta di acquisto”. In particolare Washington è stato molto deluso dalla posizione del Giappone, che si è astenuto completamente. Nelle ultime settimane le tensioni tra il Governo di Tokio, che sta lottando contro la preoccupante svalutazione dello yen rispetto al dollaro, e Washington, sono saliti di grado. Il Governo di Fumio Kishida, la cui popolarità è ai minimi storici, ha criticato le nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti alla realizzazione – con un’attiva partecipazione giapponese – del progetto russo per la produzione di gas naturale liquefatto “Arctic LNG 2”. La stangata americana ha lasciato il Giappone senza una preziosa fonte di energia a portata di mano, senza danneggiare gli interessi della Russia, che continua a esportare LNG in Europa, in Cina e nei Paesi del sud-est asiatico.
In assenza della domanda per la terza emissione consecutiva dei T-Bond, il Governo federale di Washington ha praticamente messo le banche americane con le “spalle contro il muro”, costringendo gli istituti di credito USA ad “assorbirne 4 miliardi di dollari, ovvero il 25% dell’intera emissione”, mentre in media in precedenza gli investimenti non avevano mai superato il 13% del totale. Dopo il “bastone” è arrivato anche il momento della “carota”: il tasso di interesse è stato fissato a 4,769%, il più alto mai registrato in precedenza sin dal 2016.
In forse la capacità di Washington di gestire il debito sovrano USA
L’insieme di queste informazioni, più la notizia secondo la quale “solo gli interessi per il rimborso del debito di Stato americano hanno sorpassato mille miliardi di dollari l’anno”, ha messo i mercati globali in stato di fibrillazione, suscitando l’allarme e l’incertezza sull’affidabilità di tenuta e sulla capacità del Governo federale di rispettare gli obblighi finanziari sul debito USA.
Per il momento Moody’s è rimasta l’unica delle tre grandi agenzie di rating che, nonostante l’outlook “negativo”, ha deciso di mantenere gli Stati Uniti al livello della tripla “A”. Ancora in agosto Fitch aveva annunciato di “aver declassato” il rating degli Stati Uniti da “AAA” a doppia “AA+”, mentre Standard&Poor’s (AA+ e l’outlook “negativo”) si era mossa addirittura nel 2013.
Tutto ruota attorno al disavanzo pubblico degli Stati Uniti che nell’ultimo anno è salito molto. Come hanno spiegato gli analisti di Moody’s la revisione dell’outlook a “negativo” è stata legata “all’aumento dei rischi al ribasso per la solidità di bilancio americano. In un contesto di più alti tassi di interesse e senza efficaci misure di politica di bilancio per ridurre la spesa pubblica o aumentare le entrate, Moody’s si attende che il deficit di bilancio resterà molto alto, indebolendo in modo significativo la sostenibilità del debito”, ha scritto l’agenzia in una nota.
In un contesto finanziario ed economico molto complicato, con i tassi di interesse delle Banche centrali molto alti e le crescenti incertezze riguardo alla ripresa economica mondiale, frenata dalla performance insufficiente della Cina, la visione dell’anno a venire è stata offuscata dalla guerra in corso tra Israele e Hamas e il verdetto di Moody’s è stato appreso dai mercati globali come un vero e proprio campanello d’allarme.
Gli USA cercano di attenuare le tensioni con la Cina
Per fugare le preoccupazioni degli investitori, gli Stati Uniti – almeno a parole – hanno offerto alla Cina un ramoscello d’ulivo. Al summit con Xi Jinping a San Francisco, il presidente Joe Biden, ha sottolineato il desiderio di Washington di “accantonare le divergenze per favorire la cooperazione bilaterale e lo sviluppo globale”.
Per interi decenni i Treasury statunitensi, strumenti finanziari emessi dal Governo degli Stati Uniti per finanziare il debito pubblico e sostenere le spese governative, sono stati considerati uno dei titoli finanziari più sicuri del mondo. Ora il mito sarebbe ormai al tramonto.
Moody’s ha spiegato che l’impennata nel 2023 dei rendimenti dei Titoli del Tesoro “ha aumentato la pressione già preesistente sull’accessibilità del debito americano”, mentre “in assenza di un’azione politica, c’è da spettarsi che il controllo del debito degli Stati Uniti diminuirà ulteriormente, in modo costante e significativo, a livelli molto deboli rispetto ad altri Stati sovrani con rating elevato”.
Fuga di depositi dalle banche americane
Il mondo è preoccupato per il debito degli Stati Uniti, mentre la Federal Reserve suona l’allarme per la situazione del settore bancario della maggiore economia globale. I recenti dati hanno messo alla luce un “esodo” vero e proprio di depositi dagli istituti di credito USA. In sole tre settimane “è avvenuta una preoccupante riduzione di 100 miliardi di dollari da depositi custoditi nelle banche commerciali degli Stati Uniti”, ha annunciato la Fed di Jerome Powell. In termini più concreti, i depositi sono scesi da 17.380 miliardi di dollari il 27 settembre a 17.280 miliardi il 18 ottobre 2023.
Il trend molto allarmante coincide con le conclusioni tratte in un recente sondaggio d’opinione, condotto dalla stessa Federal Reserve tra esperti di mercati finanziari, strateghi di investimento e studiosi, nel corso del quale è stato analizzato lo stato di salute attuale e le prospettive di sviluppo del settore bancario americano.
Nonostante la “stabilizzazione” del settore bancario dopo i problemi di inizio anno, la maggior parte degli intervistati ha detto di credere che molte minacce continuano a persistere: “Nell’autunno del 2023 il settore bancario degli Stati Uniti si è stabilizzato dopo il periodo di stress acuto di inizio anno. Ciononostante i rischi di fuga di capitali diventano sempre più evidenti dal momento che enormi quantità di depositi rimangono non assicurati”. Le piccole e medie banche americane si trovano in una posizione particolarmente vulnerabile a “causa delle loro esposizioni verso il settore CRE (immobili non residenziali), il che potrebbe portare a condizioni di prestiti bancari molto più restrittive”.
Si teme una nuova crisi bancaria
Per non permettere che si ripeta la crisi bancaria, simile al crollo nel marzo 2023 delle Silicon Valley Bank, Signature Bank e Silvergate Bank, dall’inizio dell’anno finanziario, iniziato in ottobre, il ministero delle Finanze USA ha trasmesso alla Corporazione federale per l’assicurazione dei depositi (Federal Deposit Insurance Corporation, FDIC) 28,6 miliardi di dollari. La FDIC è un’agenzia indipendente costituita nel 1933 dal Congresso degli Stati Uniti per proteggere i consumatori nel sistema finanziario degli Stati Uniti. I versamenti miliardari hanno suscitato nuovi timori riguardo alla possibilità di una nuova crisi finanziaria, provocando ondate di fuga di depositi dagli istituti di credito.
Tassi d’interesse alti riescono a frenare l’inflazione
La Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse da quasi zero nel marzo dello scorso anno a un range compreso tra il 5,25 e il 5,5% nel tentativo di frenare l’inflazione.
Questa aggressiva campagna di inasprimento della politica monetaria ha contribuito a spingere al rialzo i rendimenti finanziari di riferimento. Nonostante le critiche, la politica di Jeremy Powel comincia a dare i primi risultati positivi. A ottobre, i prezzi al consumo negli Stati Uniti sono rimasti stabili rispetto al mese precedente, contro le attese di un rialzo dello 0,1%. Il dato annuale è sceso dal 3,7% di settembre al 3,2%, con il consensus al 3,3%. Il dato “core”, ovvero quello depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è cresciuto dello 0,2%, con le attese che erano per un rialzo dello 0,3%. Rispetto a un anno prima, il dato “core” ha registrato un rialzo del 4%, dopo il 4,1% del mese precedente, che era anche il dato atteso per ottobre. I prezzi energetici sono diminuiti del 2,5% rispetto al mese precedente, quelli dei generi alimentari sono aumentati dello 0,3%; rispetto a un anno prima, l’energetico resta in calo del 4,5%, il settore dei generi alimentari è in rialzo del 3,3 per cento.