Un articolo di: Alessandro Banfi

Dal 6 giugno fino al 10 voteranno 359 milioni di europei in 27 diversi Paesi. Ma qual è la posta in gioco? Le proposte di schieramenti e candidati spesso non sono veramente alternative, almeno su ciò che conta. L'opzione Economist delle "Tre Grazie" e il candidato nell'armadio pensato da Emmanuel Macron.

Nel confronto tra i capolista a Bruxelles non emergono grandi differenze sulla politica estera e su quella economica

Recentemente un intellettuale italiano, il filosofo Massimo Cacciari, ha notato che per gli italiani queste elezioni europee sono tutt’altro che facili da interpretare. Le due leader, che la stampa e gli schieramenti destra/sinistra vorrebbero contrapposte, e cioè la premier Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, e la segretaria dei Democratici Elly Schlein, su due punti che appaiono fondamentali, il nuovo Patto economico di stabilità e la politica estera, sono sostanzialmente dello stesso parere. Non a caso Meloni non esclude, dopo il voto del 6-10 giugno, un nuovo accordo con la commissaria uscente Ursula von der Leyen, la stessa von der Leyen che i democratici hanno sostenuto negli ultimi cinque anni. E purtroppo l’Italia non è un’anomalia. Se ci fermiamo ai cosiddetti Spitzenkandidat (i candidati capolista) e ai loro programmi, il sapore di una scelta che non segna vere alternative diventa continentale. Nel dibattito televisivo ufficiale organizzato a Bruxelles si sono infatti fronteggiati: la candidata del Partito Popolare Europeo appunto Ursula von der Leyen, che cerca la conferma, l’italiano Sandro Gozi per Renew, la formazione francese che fa capo a Emmanuel Macron, l’austriaco Walter Baier della Sinistra europea, Terry Reintke, tedesca, candidata dei Verdi europei e Nicolas Schmit, dal Lussemburgo, candidato dei Socialisti europei.

Non hanno presentato candidati prima del voto i due raggruppamenti uscenti dal Parlamento di Strasburgo che rappresentano la destra: i Conservatori europei che, sotto la sigla Ecr, uniscono i partiti di Orbàn, Meloni e i conservatori polacchi. E il gruppo di Identità e democrazia, che tiene insieme la Lega italiana di Matteo Salvini con Marine Le Pen. Da questa ultima formazione sono stati recentemente espulsi, dopo una dichiarazione sul nazismo di un loro esponente, i tedeschi di Alternative für Deutschland, la Afd. E tuttavia, ed anche questa è un’anomalia, sono proprio questi due raggruppamenti di destra che rischiano di pesare di più sui futuri equilibri. Il vento dell’elettorato mondiale soffia da quelle parti e tutti lo sanno. In primis Ursula von der Leyen e il gruppo dei Popolari europei, il cui presidente è Manfred Weber, che neanche troppo nascostamente si stanno preparando a sostituire nelle future alleanze i socialisti uscenti con i conservatori guidati da Giorgia Meloni. È l’ultima copertina dell’Economist, datata primo giugno, a rilanciare con un disegno con i tre profili, quelli di Ursula, Giorgia e Marine, le Tre Grazie della nuova Europa. Questa è la soluzione presentata come il cambiamento necessario all’Europa. O meglio come una metabolizzazione del sovranismo, che nelle urne lascerà il segno: le élite economiche e finanziarie sanno che il popolo voterà in quel modo e si preparano ad utilizzare quel consenso per realizzare le stesse politiche di altre fasi. Sull’immigrazione il Ppe si è dichiarato ufficialmente a favore di richieste d’asilo fuori dai confini Ue. È quello che gli esperti chiamano “esternalizzazione” del problema migranti. Socialisti e Verdi sono contrari, ma Renew è possibilista. In questa ottica vanno interpretati i viaggi in Nord Africa della coppia Von der Leyen-Meloni. È il Modello Ruanda, che fallito con il premier inglese Rishi Sunak si ripropone in Albania, Algeria, Libia, Tunisia…

Sulla politica estera e sull’allargamento ad Est dell’Unione Europea non ci sono differenze apprezzabili nei vari schieramenti

Del resto, tornando al dibattito fra gli Spitzenkandidat, le differenze dei vari gruppi (e dei vari candidati) nei programmi non è molto identificabile. Sulla politica estera c’è un consenso tutto sommato unanime sulla linea di duro confronto con la Russia, di alleanza con l’Ucraina e di sanzioni economiche contro Mosca. Con sfumature diverse, se non opposizioni, proprio dei raggruppamenti di destra (che però non hanno sostenuto il confronto tv). Emmanuel Macron, con Renew, vorrebbe addirittura aumentare il peso della politica estera, creando un nuovo super ministero europeo degli Esteri. Anche in tema di allargamento della Ue c’è convergenza quasi unanime.

Emmanuel Macron

La sinistra, tradizionalmente pacifista, ha dimenticato questa sua vocazione, con l’eccezione dei socialisti spagnoli guidati da Pedro Sánchez

Sul riarmo si è aperta una fortissima discussione. Su questo tema, in certo senso, le parti politiche si invertono: la sinistra, che ha sempre avuto una tradizione pacifista e anti-guerra come dimostrano ancora i socialisti spagnoli di Pedro Sánchez, è fortemente condizionata da Renew, dai laburisti inglesi, dai Verdi tedeschi che hanno scelto invece di mettersi l’elmetto e di fare dell’Unione Europea una semplice emanazione continentale della Nato. La destra è più prudente sul tema, anche solo per un riflesso sovranista-isolazionista.

A che cosa si è ridotta la sinistra europea degli ultimi anni? Dimenticati i poveri, i lavoratori, gli ultimi, restano le battaglie sui diritti individuali

Un esempio di questa profonda divisione dell’Europa e del suo ruolo (storicamente istituzione di pace e di dialogo, la cui natura è ben diversa dalla Nato) riaffiora nei commenti e nelle uscite dei vecchi leader, protagonisti di altre stagioni. In particolare, è in Francia dove questo dibattito è più vivo. Non è un caso, perché la linea di Macron vorrebbe interpretare questa nuova fase insieme neo gollista e “di sinistra”. In che senso? Abbandonati i temi sociali di difesa dei poveri e degli ultimi e della pace, questa “sinistra” si riduce ad essere la difesa dei diritti individuali. È quella che Federico Rampini ha chiamato la sinistra di Hollywood e che anni fa il filosofo Augusto Del Noce aveva genialmente definito come “Partito radicale di massa”, che sostituiva il Pci. La riprova si ha avuto dal fatto che Macron ha voluto mettere il diritto di aborto in Costituzione, pur non essendo minacciata in alcun modo la garanzia delle donne a ricorrere a questo strumento, che è pur sempre un doloroso fallimento.

François Hollande teme una deriva in cui l’Europa sia solo un grande mercato con una moneta. Nicolas Sarkozy si chiede: “Come ripristinare una leadership europea?”

In una recente intervista al Corriere della Sera l’ex presidente francese François Hollande, che resta un leader socialista, ha detto: «Le ali estreme vogliono privare l’Europa di competenze, in modo che resti un grande mercato con una moneta e nient’altro». Molto interessante è anche ciò che ha detto a Le Figaro un altro ex presidente, Nicolas Sarkozy, pochi giorni fa. Ha detto Sarkozy: «Se per porre fine alla guerra aspettiamo che una delle parti si metta in ginocchio, dobbiamo prepararci a un’esplosione dalle conseguenze drammatiche. Il mondo sta ballando sull’orlo di un vulcano. Un errore, un’irritazione, un’ambiguità possono creare le condizioni per uno scoppio catastrofico. È ora di iniziare a parlare seriamente. Come creare le condizioni per un rapporto pacifico tra la Russia e i suoi vicini? Come ripristinare una leadership europea? Gli unici a parlare davvero sono i cinesi e gli americani. Non possiamo ragionare in termini binari. Essere forti con Putin significa assumersi il rischio di negoziare direttamente e con fermezza con lui, non invece impegnarsi in una spirale di guerra dalle conseguenze incalcolabili. Per quanto riguarda l’invio di truppe di terra, ho seri dubbi. Non posso accettare che la terra di Tolstoj e la terra di Balzac entrino in guerra. Abbiamo almeno considerato le conseguenze?».
Quanto all’allargamento della stessa Unione Europea, Sarkozy è molto critico. «Questa ossessione per l’allargamento è soprattutto americana. Perché più l’Europa si espande verso est, più indebolisce la sua autonomia rafforzando il suo orientamento americano. Inoltre, l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue o nella Nato non risolverebbe in alcun modo gli attuali problemi del Paese con la Russia. È perfettamente possibile garantire la sicurezza dell’Ucraina, attraverso garanzie e impegni internazionali molto forti, senza arrivare a integrarla nella Nato. Allo stesso modo, l’Ue può costruire un forte partenariato con l’Ucraina che non implichi l’adesione. Non commettiamo con l’Ucraina lo stesso errore che abbiamo commesso con la Turchia, promettendole un’adesione all’Ue alla quale, alla fine, nessuno ha mai creduto».

Mario Draghi

Emmanuel Macron ha un candidato nell’armadio: Mario Draghi. Pronto a scendere in campo se fallirà l’asse popolari-destre

Emmanuel Macron in realtà ha un vero candidato nell’armadio, come dicono gli americani. Non è nessuno dei tre capolista di Renew. È Mario Draghi che ha già contribuito, nell’ultima parte di legislatura, alla Commissione guidata da Von der Leyen con un lungo lavoro sulla competitività europea, che è quasi, questo sì, un manifesto di politica economica. In Italia, durante una generosa e personale campagna elettorale nella lista insieme a Emma Bonino, ne ha parlato spesso Matteo Renzi, altro ex premier italiano che si sta rilanciando a Strasburgo. Se non dovesse decollare l’asse Von der Leyen-Meloni-Le Pen per la riconferma di Ursula, sarà Mario Draghi a diventare un candidato naturale di un nuovo compromesso socialisti-popolari, con la benedizione di Macron, dei liberali e di Renzi.

Il fatto notevole è che le politiche europee, nel merito di ciò che conta, invece che essere alternative appaiono simili e convergenti sia nella versione Mario Draghi, sia in quella Von der Leyen-destre. In un certo senso, i leader e le élite economiche e finanziarie, hanno già esorcizzato il voto popolare di 359 milioni di cittadini europei che andranno alle urne nei 27 diversi Paesi dell’Unione, fra il 6 e il 10 giugno.

“L’Europa brucia”, si chiama così un recente spettacolo teatrale presentato in Italia da Angela Dematté centrato sulla figura di Alcide De Gasperi, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea: mai titolo è apparso più azzeccato nel riflettere sui dilemmi non risolti di 75 anni fa. Quale Europa abbiamo costruito se i sentimenti più diffusi sono quelli della diffidenza verso la burocrazia di Bruxelles e una nuova forma di isolazionismo?

Il disegno europeo degli anni Cinquanta era un grande slancio a superare confini, nazioni, barriere, dogane nel nome della pace e della collaborazione, culturale sociale ed economica, fra i popoli del continente. Oggi è difficile capire chi possa ancora portare avanti quella grande visione, di cui il nostro mondo sempre più multipolare avrebbe bisogno.

Giornalista, Autore tv

Alessandro Banfi