Guida ai problemi dell’economia internazionale

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Un articolo di: Riccardo Fallico

Le navi dei Paesi alleati o satelliti di Stati Uniti e Israele sono ancora costrette a circumnavigare il Capo di Buona Speranza temendo le incursioni degli houti, una situazione che sta portando importanti ripercussioni in particolare per i Paesi europei

La potente flotta statunitense ha dovuto levare le ancore e salpare dal Mar Rosso, non essendo riuscita a tenere testa alle incursioni armate degli houti. L’intervento della marina degli Stati Uniti, mirato a proteggere il passaggio delle navi commerciali per lo Stretto di Aden, era stata accolto con così grande speranza, che la società danese A.P. Moller-Maersk (MM), una delle maggiori compagnie di trasporto marittime al mondo, a fine dicembre del 2023 aveva dichiarato di voler riaprire la rotta attraverso il Mar Rosso, solo due settimane dopo aver programmato di volerla abbandonare visti i problemi di sicurezza. La realtà dei fatti, tuttavia, è ben diversa, poiché le navi battenti bandiere di Paesi alleati o satelliti di Stati Uniti e Israele sono ancora costrette a circumnavigare il Capo di Buona Speranza per evitare di essere colpite o saccheggiate dalle forze yemenite.

MM a settembre del 2024, ha reso noto che le sue spedizioni attraverso il Mar Rosso sono diminuite, rispetto al 2023, del 66%. La circumnavigazione del Capo di Buona Speranza ha portato ad un allungamento dei tempi di consegna e all’innalzamento delle tariffe di trasporto. I tempi medi per raggiungere i porti europei da quelli asiatici sono quasi raddoppiati, passando da 19 giorni a 34 giorni di navigazione. Non vi è, invece, una sostanziale differenza per i trasporti dall’Asia alla costa statunitense del Golfo, passati da 44 a 48 giorni di navigazione. Per quanto riguarda le tariffe, invece, i rialzi registrati nel gennaio del 2024 sono stati del 174% per la rotta Asia – costa orientale degli Stati Uniti, del 333% per la rotta Asia – Europa del nord e addirittura del 495% per la rotta Asia – Mediterraneo. Il picco è stato raggiunto nell’estate del 2024, quando il Drewry’s World Container Index, l’indice delle tariffe delle otto maggiori rotte mondiali, nel luglio del 2024 aveva quasi toccato i 6 mila dollari/feu (acronimo di forty-foot equivalent unit), per poi calare fino ai circa 3 mila dollari/feu di fine ottobre, sempre circa tre volte superiore al prezzo dell’ottobre del 2023.

Attraverso il Mar Rosso transitava, infatti, circa il 5% del traffico mondiale di petrolio, il 9% del traffico mondiale di prodotti petroliferi e un 8% del traffico mondiale di gas liquefatto

Il Mar Rosso, dopo lo Stretto di Malacca e quello di Singapore, è il terzo hub commerciale mondiale, con circa il 12% del traffico totale e circa il 30% dei carichi container per un valore di beni di 1 trilione di dollari. Nonostante le difficoltà degli ultimi due mesi dell’anno, nel 2023 sono transitate oltre 26 mila navi, un 10% in più rispetto al precedente massimo storico. Circa 8 mila di queste navi erano petroliere, con volumi di circa 8 milioni di barili di petrolio al giorno, in aumento del 28% rispetto all’anno precedente. Attraverso il Mar Rosso transitava, infatti, circa il 5% del traffico mondiale di petrolio, il 9% del traffico mondiale di prodotti petroliferi e un 8% del traffico mondiale di gas liquefatto (LNG), oltre ad un altro 8% del traffico mondiale di prodotti cerealicoli.

La società che gestisce il traffico del Canale di Suez ha registrato, per l’anno fiscale 2022-2023, introiti per 9,4 miliardi di dollari, tuttavia, le difficoltà e le restrizioni alla navigazione non hanno tardato a mostrare i loro effetti. Nei primi mesi del 2024 il governo egiziano ha reso noto che, a seguito di una diminuzione di almeno il 30% del traffico marino, i ricavi del Canale di Suez sono diminuiti, su base annua, del 64%, passando dai 648 milioni del maggio 2023 ai 337 milioni di dollari nel 2024. Nemmeno l’estensione degli sconti sulle tariffe di transito, che arrivano anche fino al 75% nel caso proprio delle navi cisterna per il trasporto di petrolio e prodotti petroliferi, sono stati sufficienti ad invogliare gli operatori marittimi ad assumersi il rischio della perdita del carico.

Le ricadute del blocco del Mar Rosso sono state sottostimate, soprattutto dagli analisti europei. Le tariffe del 2024, nonostante il brusco rialzo, erano del 69% inferiori ai massimi toccati nel settembre del 2021, quando si erano raggiunti i 10.322 dollari/feu. Il dato, tuttavia, più rilevante, e spesso, omesso è che il prezzo medio annuale dell’indice delle tariffe da Shangai ai porti europei (Rotterdam e Genova) o statunitensi (New York e Los Angels) è di oltre 1.000 dollari/feu superiore alla media degli ultimi 10 anni, essa stessa inflazionata dai picchi registrati durante il 2020-2021. Vi è inoltre da considerare come le rotte con partenza Shangai hanno registrato un rialzo minimo del 100% da un anno all’altro.

 

Gli impedimenti a Suez potrebbero contribuire ad uno 0,3% di crescita dell’inflazione mondiale

Il protrarsi degli impedimenti al traffico navale attraverso il Canale di Suez non può essere sottostimato, dal momento che potrebbe contribuire ad uno 0,3% di crescita dell’inflazione mondiale e ad uno 0,7% di crescita dell’inflazione dei beni al consumo, oltre a causare una contrazione del PIL mondiale dello 0,4%. Secondo le ultime statistiche, i flussi commerciali di petrolio attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb si sono attestati intorno ai 4,0 milioni di barili al giorno nel periodo compreso tra gennaio e agosto 2024, meno della metà della media di 8,7 milioni di barili registrata nell’intero 2023. La diminuzione dei volumi di prodotti petroliferi trasportati via mare ha, inoltre, iniziato a ripercuotersi sul settore navale mondiale. Secondo le previsioni di febbraio, in tutto il 2024 si potrebbe registrare il varo di solo due supertanker, il numero più basso degli ultimi quarant’anni, acuendo così il deficit di petroliere in funzione, che già da tempo affligge il settore.

I Paesi europei risultano essere quelli maggiormente colpiti dal blocco del Canale di Suez. Storicamente, infatti, circa un quarto di tutti i prodotti importati dall’Asia transitano proprio per il Mar Rosso. I prodotti energetici rivestono l’importanza maggiore: in seguito all’abbandono delle forniture energetiche dalla Russia i volumi transitati dal Mar Rosso sono aumentati del 140%. L’India è riuscita a diventare il primo partner commerciale di prodotti petroliferi per l’Europa, con forniture per 360 mila barili al giorno, davanti anche ad Arabia Saudita e Kuwait. Proprio le forniture da questi Paesi hanno subito un forte rallentamento passando da 2,9 milioni di barili di prodotti petroliferi al giorno a fine 2023 a 2,1 milioni di barili nel 2024, registrando un calo del 31% dell’import dall’India, del 15% dall’Arabia Saudita e del 43% dal Kuwait. Tra i prodotti petroliferi di maggior importanza per il mercato europeo si collocano il diesel, il gasolio e il carburante per l’aviazione, che rappresentano rispettivamente il 32%, il 23% e il 22% del totale dei volumi dei prodotti petroliferi che transitano dal Canale di Suez. Per quanto riguarda l’LNG, a partire da febbraio del 2024 non vi sono stati, eccetto poche eccezioni, passaggi di navi-cisterne dal Mar Rosso, a loro volta dirottate verso il Capo di Buona Speranza. I volumi di LNG importati dal Medio Oriente hanno subito una contrazione e la quota di mercato che il Qatar ha perso è stata assorbita dai produttori degli Stati Uniti, che sono riusciti ad incrementare i volumi delle loro esportazioni verso l’Europa.

Per i Paesi europei le ricadute economiche sarebbero anche più gravi, comportando un aumento dell’inflazione dello 0,7% e un’erosione del PIL dello 0,9%, acuito da un peggioramento del saldo della bilancia commerciale. A dicembre del 2023 in Europa si era registrato un calo dell’import e dell’export, rispettivamente del 3,1% e del 2%. Anche la maggiore economia europea, quella tedesca, non sembra più in grado di digerire i maggiori costi energetici e delle materie prime, necessari per sostenere le proprie industrie. L’esempio più rilevante è dato dalla Germania, che, secondo le statistiche ufficiali, tra agosto e settembre del 2024 ha visto una diminuzione del proprio export verso i Paesi extra-UE dello 4,7%, circa l’1,3% rispetto al 2023.

La soluzione più logica per alleviare una situazione sempre più difficile da risolvere sarebbe quella di aprire nuove rotte commerciali con l’Asia e quindi aderire all’iniziativa cinese dell’One Belt One Road (OBOR), che invece molti Paesi europei sono contrari ad accogliere o dalla quale, dopo una prima sottoscrizione, si sono ritirati, come l’Italia. La chiusura totale dell’Europa nei confronti della Russia, inoltre, toglierà l’opportunità di sfruttare due rotte commerciali di fondamentale importanza per gli scambi commerciali con l’Asia, ovvero il corridoio marittimo del nord (North Sea Route, NSR), che dal porto di Murmansk attraversa l’Artico e raggiunge i porti cinesi, e il corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud (International North–South Transport Corridor, INSTC), che da Mosca, passando per l’Azerbaijan e l’Iran, raggiunge Mumbai. Entrambi sono già operanti, ma l’INSTC potrebbe essere quello di maggior interesse per l’Europa, poiché rappresenta la vera alternativa alla rotta marittima attraverso il Mar Rosso, più veloce del 40%, circa 19 giorni di viaggio, più economica, le tariffe sono del 30% inferiori, e più sicura rispetto alla rotta marittima attraverso il Mar Rosso.

La contrapposizione all’iniziativa cinese dell’OBOR e la guerra commerciale e finanziaria, oltre che militare, contro la Russia potrebbero far aumentare ulteriormente la dipendenza dei mercati europei da quello statunitense. Nel 2023 gli Stati Uniti sono stati il principale partner per le esportazioni di merci dell’UE (19,7 %) e il secondo partner per le importazioni di merci dell’UE (13,7 %). Nonostante il saldo commerciale con gli Stati Uniti a fine del 2023 fosse ancora positivo per l’Europa, 368 miliardi di dollari di import contro 553 miliardi di dollari di export, il tasso di crescita dell’export statunitense verso l’Europa è stato tre volte superiore a quello dell’import, aumentati rispetto al 2021, rispettivamente, del 35% e del 13%. Così come è accaduto per le forniture di gas, che hanno registrato un’impennata dell’import di LNG da oltreoceano, passando da una media di 15 milioni di tonnellate all’anno nel periodo tra il 2018 e il 2021 ad una media di 55 milioni di tonnellate nel 2022 e 2023, anche il commercio europeo di beni e servizi da e per l’Europa sarà sempre più controllato dagli Stati Uniti.

 

Economista

Riccardo Fallico