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Il blitzkrieg della transizione energetica, la drastica riduzione degli idrocarburi nel mix energetico tedesco, la chiusura delle centrali nucleari e il rifiuto politicamente motivato del gas russo a basso costo. Così il Paese è sprofondato in una grave crisi economica e una ripresa è improbabile
È ormai innegabile che la Germania stia vivendo una vera e propria deindustrializzazione. A settembre del 2024 ha avuto enorme risonanza la notizia che il gruppo automobilistico Volkswagen (VW) stesse valutando la chiusura di due stabilimenti in Germania. Davanti all’assemblea dei lavoratori dello stabilimento di assemblaggio di Wolfsburg, sede principale di VW, Arno Antlitz, CFO di Volkswagen, ha definito la decisione dell’azienda una misura necessaria per aumentare la produttività, tagliare i costi di produzione e per risollevare i margini operativi, assottigliatisi a causa della sempre più spietata concorrenza delle auto elettriche cinesi e, più in generale, dalla mancata ripresa del mercato automobilistico. La notizia ha suscitato molto stupore, poiché rappresenterebbe la prima chiusura di uno stabilimento di VW in 90 anni di attività e potrebbe segnare l’inizio di un enorme cambiamento non solo per la Germania, ma anche per tutta l’Europa.
Nel 2023 il giornalista economico Gabor Steingart aveva dichiarato che “se l’industria automobilistica crollerà, la Germania crollerà. Ovvero la Germania che conosciamo oggi cesserà di esistere”. Una dichiarazione molto forte, ma di certo non priva di fondamento dal momento che l’industria dell’auto sul territorio tedesco oggi impiega circa 780 mila persone. Il suo peso sul prodotto interno lordo del Paese nel 2023 era del 5%, quasi il doppio rispetto al circa 3% della fine degli anni ’90. I ricavi generati delle case automobilistiche tedesche, nonostante la flessione del 2020, hanno raggiunto a fine 2023 i 564 miliardi di dollari, di cui 393 miliardi di dollari generati dall’export, ovvero il 24% circa del totale degli 1,6 trilioni di dollari di beni esportati dal sistema Germania nello stesso anno.
Il settore dell’auto è solo uno degli esempi che possono illustrare in maniera molto chiara quanto le sorti dell’intera economia europea siano legate e dipendenti a quella della Germania.
Gli effetti negativi del mercato dell’auto ricadono, ovviamente, anche sulle aziende, grandi e piccole, dell’indotto. Già nel luglio del 2023 il produttore di pneumatici Continental aveva approvato un piano per la chiusura, entro il 2027, del sito produttivo di Gifhorn, non molto lontano proprio da Wolfsburg. A settembre del 2024, in seguito al mancato accordo sulla cessione dell’attività aziendale, il gruppo WKW, fornitore di parti per automobili, ha dichiarato lo stato di insolvenza, mettendo a rischio licenziamento 2000 posti di lavoro in Germania e altri 1800 nel mondo.
Il settore dell’auto è solo uno degli esempi che possono illustrare in maniera molto chiara quanto le sorti dell’intera economia europea siano legate e dipendenti a quella della Germania. Ad oggi nei Paesi dell’Unione Europea vi sono 213 stabilimenti di produzione di vetture, che impiegano, direttamente e indirettamente, circa 13 milioni di persone in tutta Europa. La sola VW possiede 32 siti di assemblaggio in Europa e un altra quindicina di stabilimenti per la produzione di componenti.
Il forte affaticamento, che l’economia tedesca ha sofferto nell’ultimo biennio, dovrebbe quindi destare preoccupazione per tutto il sistema. Il 2023 ha visto una contrazione del PIL tedesco dello 0,3% e per il 2024 le previsioni sono state riviste in negativo dal ministero tedesco dell’economia e dell’azione climatica, volgendo da un +0,3% ad addirittura un -0,2%. Dopo un periodo di assottigliamento, iniziato nel 2020, oggi si assiste ad una nuova espansione del saldo della bilancia commerciale, che, tuttavia, è principalmente legata alla contrazione dei volumi dell’import, motivati da una diminuzione dei consumi. Il settore automobilistico non è il solo a soffrire e la VW non è la prima azienda a dichiarare di voler tagliare la sua produzione in Germania. A maggio del 2022 la società Vallourec, secondo produttore mondiale di tubi in acciaio, dichiarò che, in seguito ai falliti tentativi di vendita dei suoi asset in Germania, i siti produttivi tedeschi sarebbero stati dismessi, lasciando senza lavoro 2400 operai. Nel settembre dello stesso anno ArcelorMittal fu costretta a spegnere una delle fornaci dell’impianto di Brema. A marzo del 2023 la società tedesca produttrice di alluminio, Speira, dichiarò di voler chiudere il suo sito produttivo di Rheinwerk, con una capacità produttiva di 140 mila tonnellate di alluminio liquido all’anno. A metà sempre del 2023 la più antica fonderia europea, Eisenwerk Erla, che da 600 anni operava in Sassonia, dichiarò lo stato d’insolvenza e iniziò il processo di amministrazione controllata. Ad aprile del 2024 il colosso dell’acciaio Thyssenkrupp annunciò tagli della produzione nel suo impianto di Duisburg con il conseguente taglio di una parte, non ancora quantificata, dei suoi 13.000 posti di lavoro.
A settembre del 2024, poi, il colosso mondiale della chimica BASF ha dichiarato che, dopo le sospensioni e i tagli di produzione già effettuati nel 2023, nel 2025 verranno chiuse definitivamente tre linee di produzione a Ludwigshafen am Rhein, principale sito produttivo della società tedesca e dove sono impiegate circa 36 mila persone. Il problema riguarda anche le altre multinazionali che operano sul territorio tedesco. A inizio di ottobre 2024 Coca-Cola ha annunciato che entro il 2025 chiuderà cinque siti produttivi e logistici tra Colonia, Neumünster, Berlino, Bielefeld e Memmingen, con la perdita del 10% dei circa 6500 posti di lavoro.
In generale è tutta la produzione industriale tedesca ad aver registrato un biennio di contrazione: -0,2% nel 2022 e -1,2% nel 2023. Con un già consolidato -9% rispetto ai massimi del 2018, le previsioni di Deutsche Bank per il 2024 parlano di un ulteriore potenziale calo del -2,5%. Secondo le statistiche ufficiali, in Germania nel solo 2023 hanno cessato la loro attività 176 mila aziende di varie dimensioni, circa il 2,3% in più rispetto all’anno prima. L’11% delle società che hanno chiuso versava in condizioni di insolvenza, in aumento rispetto al 2022 del 12%. Nel primo semestre del 2024 il numero delle società insolventi è aumentato addirittura del 41% e circa 162 di queste avevano un fatturato annuale superiore ai 10 milioni di dollari. Nei primi sei mesi del 2024 sono già oltre 10 mila le aziende, che hanno dichiarato bancarotta, in aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2023, il doppio di quanto era stato precedentemente stimato e il dato più alto registrato a partire dalla crisi finanziaria del 2008.
La realizzazione dell’agenda “verde” ha compromesso molto seriamente la sicurezza energetica della Germania.
Il declino dell’economia tedesca è principalmente da ricollegare a scelte politiche che, per perseguire a qualunque costo l’Energiewende, ovvero la transizione energetica, hanno messo in discussione la sicurezza energetica del Paese e la competitività delle sue aziende. La Germania, come molti altre Nazioni, si è imposta obiettivi in materia ecologica molto ambiziosi tanto per il 2030, 80% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili, quanto per il 2050, emissioni nette zero ed eliminazione del carbone dal proprio mix energetico. I volumi di elettricità generata da fonti rinnovabili, circa il 50% del totale, sono una magra consolazione per il settore industriale tedesco, che ha dovuto fare i conti con la rapida e forzata adozione delle fonti alternative e il repentino abbandono degli idrocarburi, legato anche al severissimo regime sanzionatorio imposto contro la Russia.
Nonostante l’aumento dell’efficienza energetica, i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) mostrano come, tra il 2000 e il 2023 in Germania l’intensità energetica sia calata del 43%. Il dato non sorprende vista la chiusura dei siti produttivi delle industrie maggiormente energivore, ovvero metallurgica, meccanica e chimica. La volontà politica di eliminare le fonti energetiche più affidabili e a buon mercato per imporre le fonti non inquinanti” (ndr in termini di emissioni durante il processo di produzione di energia) ha creato enormi problemi nella pianificazione della strategia energetica del Paese.
Nonostante tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 sia cominciata a circolare l’idea di un “rinascimento” del nucleare, in Germania nell’aprile del 2023 sono stati chiusi gli ultimi tre reattori funzionanti, in linea con il piano approvato dopo la tragedia di Fukushima del 2011, e il governo ha anche ribadito che non ci sono intenzioni di effettuare nuovi investimenti in questo settore, escludendo il nucleare dal mix energetico futuro del Paese. Alla chiusura delle centrali nucleari, tuttavia, non ha fatto seguito una sostituzione affidabile della capacità produttiva venuta a mancare, così che il totale di energia elettrica prodotta è diminuito del 10% tra 2021 e 2023, comportando un aumento dei prezzi, passati dai 50 euro/MWh di metà 2021 ai 75 euro/MWh di ottobre 2024.
La Germania ha anche dovuto fare i conti con l’aumento dei costi di approvvigionamento degli idrocarburi, che, nonostante siano inferiori rispetto ai massimi toccati nel 2022, rimangono ancora di un 26% superiori rispetto a quelli dell’ultimo decennio. Il mix energetico tedesco alla fine del 2023 vedeva ancora il ruolo predominante del petrolio, 34%, del gas naturale, 26%. Il drastico taglio delle forniture di idrocarburi dalla Russia, che prima dell’inizio dell’operazione speciale nel Donbass copriva circa il 55% del fabbisogno tedesco di gas naturale e circa il 34% di quello di petrolio, ha esercitato un ulteriore grave pressione sulla Germania. L’embargo europeo contro il settore energetico russo è costato al governo tedesco, nel solo 2022, 465 miliardi di dollari, ovvero circa il 12% del prodotto interno lordo, spesi al fine di evitare il collasso del sistema energetico nazionale. La situazione più critica è legata al mercato del gas naturale, che dopo aver perso la quasi totalità delle forniture attraverso i gasdotti, circa l’80% del totale, ha dovuto, per differenziare le fonti di approvvigionamento, investire molto sul gas naturale liquefatto (LNG). Nonostante il raddoppio della capacità di stoccaggio di LNG, gli operatori di mercato prevedono che, sebbene rimanga la possibilità di un sua correzione al ribasso, il “premium”, che la Germania sarà costretta a pagare per far fronte al proprio fabbisogno di gas, si protrarrà per tutto il breve termine. Il prezzo di ingresso del gas in Germania, alla fine di agosto del 2024, era di 10,24 dollari/MMBtu, quasi il 5% inferiore al prezzo del 2023, ma ancora di circa due volte superiore al prezzo dell’inizio del 2020.
L’aumento dei costi degli idrocarburi e l’incertezza e la mancanza di affidabilità delle fonti energetiche alternative sono la vera causa della deindustrializzazione in Germania, dove le aziende, vista la perdita di competitività e profittabilità, sono costrette a chiudere e a trasferirsi all’estero. Un’indagine della Camera del commercio e dell’industria tedesca su un campione di 3300 aziende ha mostrato come il 37% degli interessati stesse considerando lo spostamento della propria capacità produttiva. La percentuale toccava addirittura il 45% per le società con processi produttivi ad alta intensità energetica. Le statistiche, quindi, sulla diminuzione dei consumi di gas nel 2023, -5% rispetto all’anno precedente, sono fondamentalmente riconducibili alla contrazione della produzione industriale, che rappresenta il 60% dei consumi di gas in Germania. Rispetto al triennio 2018-2021 la flessione dei consumi medi di gas è del 17,5%, ma il calo dei consumi del settore industriale si attesta intorno al 20%.
Non devono sorprendere, quindi, le dichiarazione rilasciate nell’aprile del 2024 da Markus Krebber, direttore generale di RWE, multinazionale elettrica tedesca, secondo il quale la Germania non riuscirà più a riprendersi e a tornare ai livelli industriali del 2021, perché la politica energetica nazionale fino ad oggi promossa non tiene conto degli effettivi bisogni energetici del Paese stesso. Queste parole avevano fatto eco a quelle del direttore esecutivo dell’IEA, Fatih Birol, che nel gennaio del 2024 aveva definito le scelte della Germania in materia di strategia energetica “un errore storico”, che molto probabilmente non solo sarà di ostacolo alla ripresa e al futuro sviluppo dell’economia tedesca, ma anche di quella europea, dove “la locomotiva potrebbe diventare il fanalino di coda” oppure potrebbe mettere in crisi tutto il resto dell’Europa.