Un articolo di: Mauro Primavera

La scomparsa del presidente iraniano Ebrahim Raisi è stata un'occasione per evidenziare la rete di relazioni internazionali di Teheran. Per uscire dallo choc emotivo l'Iran ha deciso di agire in maniera tempestiva scegliendo un successore che introduca una nuova tappa nell'evoluzione del Paese

La morte di Raisi è avvenuta in un momento delicato per l’Iran, ma il Sud del mondo si è mostrato al fianco di Teheran

La morte del Presidente della Repubblica Islamica iraniana Ebrahim Raisi (e del presidente degli affari esteri Hossein Amirabdollahian) avviene in un momento delicato per l’Iran che, impegnato a consolidare la propria influenza geopolitica in Medio Oriente, si appresta a preparare il periodo di transizione.
Prima di esaminare le conseguenze politiche della scomparsa di Raisi, è necessario soffermarsi sulla dinamica di quanto accaduto domenica 19 maggio. Sembra ormai confermato, per ammissione dello stesso establishment iraniano, che l’elicottero su cui viaggiava il presidente è precipitato a causa di un guasto tecnico e per le condizioni meteorologiche avverse. L’incidente mette in mostra una falla nel protocollo di sicurezza. Le sanzioni occidentali hanno sensibilmente ridotto le capacità dell’Iran di acquistare nuovi velivoli o di riparare quelli obsoleti come il Bell 212, utilizzato dagli esponenti di governo per la visita ufficiale in Azerbaijan.

Negli ultimi anni sono scomparse alcune delle menti più brillanti dell’Iran come Qassem Soleimani, Mohsen Fakhrizadeh e Mohammad Reza Zahedi

Non bisogna poi sottovalutare il danno di immagine e politico. La Repubblica Islamica, che da tempo si propone come potenza regionale e di guida dell’Asse della Resistenza in funzione antiisraeliana, continua a perdere figure apicali, indispensabili per la realizzazione dei suoi progetti egemonici. Negli ultimi quattro anni sono stati infatti assassinati dai servizi segreti israeliani e dall’esercito statunitense il generale Qassem Soleimani, comandante delle forze Quds e architetto dell’Asse; Mohsen Fakhrizadeh, fisico a capo del programma nucleare; Mohammad Reza Zahedi, membro di spicco dei Guardiani Rivoluzionari in Siria. La scomparsa delle menti più “brillanti” rappresenta un vulnus per la Repubblica Islamica, la cui capacità di rimpiazzare gli uomini del sistema e di “coltivare talenti” in ambito scientifico e militare è fortemente limitata dall’isolamento internazionale e dalla crisi socioeconomica che sta interessando il Paese.
Data la delicata situazione interna e regionale, il regime gestirà con estrema cautela il periodo di transizione che, dopo la breve reggenza ad interim di Mokhber, porterà a fine giugno alla nomina del successore a seguito del voto popolare, come previsto dall’articolo 131 della Costituzione. Anche se al momento è ancora prematuro parlare di candidati alla presidenza, in questi giorni sono circolati i nomi di Mohammad Javad Zarif, ex ministro degli affari esteri, Mohammad Bagher Ghalibaf, attuale speaker del parlamento, e Alireza Zakani, sindaco di Teheran. In ogni caso, la rosa delle personalità eleggibili sarà sottoposta all’attento scrutinio del Consiglio dei Guardiani della Costituzione – organo composto da dodici membri, metà dei quali nominati direttamente dalla Guida Suprema – che potrà escludere dalla corsa presidenziale i profili ritenuti non idonei. In tal senso, è probabile che il Consiglio punterà su figure di compromesso tra l’area moderata e quella più radicale, al fine di garantire il più possibile continuità con l’operato di Raisi ed evitare lotte interne che possano minare la stabilità della Repubblica.
Il regime potrebbe anche orientarsi su un candidato dotato di un solido consenso popolare. L’appuntamento elettorale potrebbe dunque rappresentare un’occasione per conferire alla competizione anche la legittimazione popolare, rinsaldando i rapporti tra Stato e società. Raisi, in effetti, non ha mai goduto di un ampio consenso, per una serie di ragioni: ritenuto poco carismatico e percepito come uomo dell’apparato, egli è sempre stato associato alla “commissione speciale”, accusata di aver processato e condannato, alla fine degli anni Ottanta, migliaia di prigionieri politici. I funerali di Raisi hanno rappresentato non solo un momento di raccoglimento e unità nazionale, ma anche l’occasione per riunire in Iran rappresentanti di Paesi alleati o partner strategici, tra cui spiccano Russia, Cina, India, Iraq, Siria, più esponenti dell’Asse della Resistenza come Hamas e Hezbollah.

E’ improbabile che il nuovo presidente produca un significativo mutamento della politica estera iraniana

L’elezione del nuovo presidente potrebbe spostare (parzialmente) gli equilibri di potere interni del sistema e modificare le relazioni tra Stato ed elettorato, ma è improbabile che la nomina di un esponente, anche se proveniente dall’ala “moderata”, produrrà un significativo mutamento della politica estera iraniana. In primo luogo, il presidente della repubblica non agisce in autonomia, ma partecipa al processo decisionale con i membri del Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale – organo competente in ambito di sicurezza, intelligence e difesa – con i Guardiani della Rivoluzione e con la Guida Suprema. In secondo luogo, la creazione dell’Asse della Resistenza e il sostegno all’operazione “Diluvio di al-Aqsa” di Hamas sono progetti politici di medio e lungo termine e, di conseguenza, non possono essere revocati o interrotti ex abrupto.
L’ultimo aspetto da analizzare riguarda la questione della successione alla Guida Suprema, in considerazione dell’età avanzata e delle precarie condizioni di salute di Ali Khamenei. Raisi, noto per la sua ferrea lealtà all’ayatollah e per la totale condivisione della sua agenda politica, era considerato uno dei favoriti. La sua scomparsa complica certamente il passaggio di consegne della carica più alta dello Stato, ma al momento è difficile, se non impossibile, identificare dei veri e propri candidati. Uno dei nomi che viene ripetuto più frequentemente è quello di Mojtaba, il figlio di Khamenei, che però non gode di molta popolarità. Soprattutto, la sua nomina verrebbe interpretata dall’establishment come una operazione dinastica, procedura estranea al funzionamento della Repubblica Islamica e che rievoca il passato monarchico.
Per uscire dallo shock emotivo provocato dalla morte di Raisi, Teheran dovrà quindi agire in maniera tempestiva, in modo da nominare un successore che sia condiviso dall’establishment e non inviso alle masse. Senza una adeguata concordia interna, qualsiasi aspirazione egemonica nello scenario mediorientale rischia di rimanere confinata nel piano astratto della retorica.

Analista Fondazione Oasis

Mauro Primavera