Alt alla deforestazione dell’Amazzonia: nei primi sei mesi del 2023 i ritmi del disboscamento sono diminuiti del 33 per cento. Al summit dei Brics di agosto 2023 il Brasile presenterà un maxi piano di transizione energetica, volto a salvare i “polmoni verdi” della Terra. Nel Paese saranno favorite la generazione eolica offshore e la produzione di idrogeno “verde”.
La transizione energetica, il potenziamento delle fonti rinnovabili di energia e come conseguenza la drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica, la protezione dell’ambiente naturale. Saranno questi alcuni dei temi centrali del vertice del gruppo Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che si riunirà a Johannesburg il 22-24 di agosto.
Al summit in Sudafrica il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, presenterà un maxi piano “verde”, articolato in oltre un centinaio di punti, che prevede un rapido aumento della produzione di energia pulita, la riduzione delle emissioni di CO2 e il salvataggio delle foreste amazzoniche, note come “polmoni verdi” del mondo intero. La realizzazione del programma, destinato a trasformare il Brasile in un Paese-modello per tutte le altre economie in via di sviluppo e non soltanto, richiederà investimenti di “molte centinaia di miliardi di dollari” e ci si aspetta che i partner del gruppo Brics di certo non ne rimarranno in disparte.
Tra i leader dell’America Latina il presidente Lula è considerato uno degli alleati più stretti della Russia. Mentre l’India ha accantonato la proposta di Mosca di lanciare il più presto possibile una valuta interna dei Brisc e mentre l’Argentina si è fatta indietro di fronte alle pressioni occidentali “mettendo nel cassetto” la propria richiesta di adesione al gruppo “dei Cinque”, il presidente brasiliano ha definito il “processo di de-dollarizzazione” come base per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare senza più l’egemonia degli Stati Uniti, né del dollaro.
Il 13 aprile scorso alla cerimonia della nomina di Dilma Rousseff, politica, economista brasiliana e già predecessore di Da Silva dal 2011 al 2016, alla presidenza di New development bank (l’istituto di credito dei Brics, Ndb), il presidente brasiliano ha auspicato il lancio di una moneta dei Brics, che dovrà rappresentare una valida alternativa al dollaro. “Ogni sera mi domando perché tutti i Paesi devono basare il loro commercio sul dollaro. Chi è che ha deciso che le nostre monete nazionali sono deboli e che non hanno alcun valore in altri Paesi? Chi è che ha deciso che la destinazione del dollaro è quella di diventare la principale valuta internazionale dopo la scomparsa del gold standard?”, ha citato Lula il quotidiano Financial Times.
Per Lula, 77 anni e al suo terzo mandato presidenziale, la transizione verso un’economia circolare rappresenta una delle pietre angolari delle strategie statali, destinate ad accelerare lo sviluppo economico e sociale del Brasile. Tra i punti chiave del programma “verde” dell’amministrazione di Lula ci sono dunque il varo di un pacchetto di leggi per dare una spinta allo sviluppo dei parchi eolici offshore e alla produzione di idrogeno “verde”, la protezione delle foreste amazzoniche e anche – com’era già stato fatto dall’Unione europea con il suo Sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading System – Eu Ets), dalla Cina e dall’India – la creazione in Brasile di un moderno mercato delle emissioni di CO2.
Lo scorso giugno, il ministro dell’Energia del Brasile, Alexandre Silveira, ha presentato il primo pacchetto di leggi che regolamenteranno la produzione di energia elettrica presso i moderni parchi eolici offshore e anche la produzione di idrogeno “pulito”. A questo proposito il Governo brasiliano studia la possibilità di ridistribuire i finanziamenti dei fondi pubblici a favore della ricerca e lo sviluppo delle tecnologie “verdi” e in generale della moderna economia circolare. Dopo la nomina il 26 gennaio scorso di Jean Paul Prates – considerato uno dei più stretti alleati del presidente Lula – a capo di Petrobras, questa compagnia petrolifera di Stato ha annunciato “gli investimenti sostanziali in eolico e idrogeno”.
Come tutti i Paesi del gruppo Brisc, anche il Brasile ha preannunciato una drastica riduzione di anidride carbonica per il 2050. Ma a differenza della Russia, che nella migliore delle ipotesi riuscirà a far scendere le emissioni di CO2 nei prossimi 27 anni del 48%, mentre il target reale annunciato dal Cremlino parla del 36% in meno rispetto ai livelli di inquinamento registrati nell’ormai lontano 1990, il Brasile si è posto l’obiettivo di “azzerare” le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050.
Attualmente il Brasile si trova al 12° posto nel mondo per le emissioni di CO2 e produce appena l’1,3% dell’anidride carbonica liberata in atmosfera ogni anno. Già adesso il Paese ottiene oltre il 90% dell’elettricità da fonti non inquinanti: l’idroelettrico si attesta attorno al 55% del totale di energia elettrica generata. Invece l’unica centrale nucleare brasiliana Central Nuclear Almirante Álvaro Alberto (Cnaaa) che dispone di soli due reattori produce il 3% dell’energia totale.
La classifica dei cinque Paesi-inquinatori, che scaricano nell’atmosfera più gas a effetto serra sono la Cina (31,1% del totale), gli Usa (13,9%), l’India (7,5%), la Russia (4,7%) e il Giappone (3,1%).
Un’attenzione particolare dell’agenda climatica brasiliana sarà dedicata alla tutela delle foreste amazzoniche: secondo i movimenti ambientalisti i “polmoni verdi della Terra” stanno assorbendo sempre meno anidride carbonica mettendo a rischio il clima del pianeta e accelerando il processo di riscaldamento globale. A differenza dell’amministrazione precedente, guidata da Jair Bolsonaro, la cui priorità politica è stata quella di “aumentare le attività agricole nella foresta per ridurre la povertà della regione, spesso a scapito dell’ambiente”, l’amministrazione presidenziale di Lula lotta per frenare la deforestazione dell’Amazzonia, vicina al punto di non ritorno. Dopo l’insediamento a presidente il 1° gennaio 2023, Lula ha promesso di “azzerarne la distruzione netta” entro il 2030.
I primi risultati più che positivi delle iniziative del presidente Lula sono stati presentati lo scorso giugno a Rio de Janeiro: secondo i dati satellitari, nei primi sei mesi del terzo mandato presidenziale di Lula, la deforestazione dell’Amazzonia è diminuita del 33% rispetto alla situazione, registrata nella prima metà del 2022. Ma per porre fine allo sfruttamento illegale delle foreste, una vera piaga delle povere regioni del Brasile, il Governo dovrà trovare un sistema per investire in opportunità economiche alternative. Sarà molto più semplice se le iniziative economico-climatiche di Lula saranno affiancate ma soprattutto appoggiate con finanze e tecnologie dai partner del Brasile del gruppo Brics.