Mentre il mondo si avvicina ogni giorno di più al baratro, dovremmo discutere se noi, come individui, possiamo fare qualcosa al riguardo. Ma prima dobbiamo analizzare come siamo arrivati a questo punto e chi ha tradito le nostre speranze per un futuro pacifico dopo la fine della Guerra Fredda alla fine degli Anni Ottanta.
In quanto partecipante alla diplomazia Track II (la cosiddetta “diplomazia della seconda via”, è la pratica di “contatti e azioni non governative, informali e non ufficiali tra privati cittadini o gruppi di individui, a volte chiamati attori non statali”, N.d.R.) in tutti questi anni, voglio parlare di come i nostri sforzi per trovare un programma positivo nelle relazioni russo-americane siano stati costantemente sabotati da coloro che erano interessati a farsi nemici piuttosto che amici.
L’eminente diplomatico americano George Kennan disse nel 1987, cioè quattro anni prima del crollo dell’URSS: “Se domani l’Unione Sovietica dovesse affogare nell’oceano, il complesso militare-industriale americano dovrebbe continuare ad esistere, praticamente immutato, finché non verrà inventato qualche altro avversario. Qualsiasi altra opzione rappresenterebbe uno shock inaccettabile per l’economia americana”.
Kennan aveva ragione, ma quando l’Unione Sovietica scomparve, altre potenti forze oltre al complesso militare-industriale si opposero immediatamente ai nostri sforzi di pace. Proclamavano l’avvento di un’era di egemonia americana globale, in cui la nuova Russia avrebbe dovuto dimenticare i partenariati basati su garanzie di sicurezza reciproche e sarebbe stata obbligata a subordinare i propri interessi a quelli dettati dagli Stati Uniti.
Nel 1998 Bill Clinton lanciò una crociata anti-russa
Anche quando la Russia era disposta a svolgere un ruolo del genere sotto il presidente Boris Eltsin, che Bill Clinton definì il suo migliore amico e che aiutò a vincere le elezioni del 1996, fu Clinton a tradirlo lanciando una crociata anti-russa nel 1998 attraverso l’espansione della NATO a est, nonostante la promessa dell’Occidente al precedente presidente, Michail Gorbachev, di non spingere la NATO “di un solo centimetro verso Est”.
George Bush: “Putin è un grande leader russo con il quale l’America sarebbe stata pronta a costruire un futuro radioso.”
Quando Vladimir Putin divenne presidente della Federazione Russa e “sfidò” gli Stati Uniti a esigere che anche gli interessi della Russia fossero presi in considerazione, Washington fu molto scontenta, anche se alla fine del 2001 apparvero alcuni barlumi di speranza, quando il presidente George W. Bush elogiò Putin per il suo aiuto nell’operazione afghana dopo gli attacchi dell’11 settembre. Bush aveva rivolto parole calorose al presidente russo non solo a Washington, ma anche nel suo Stato natale, il Texas, dove, parlando agli studenti della Crawford High School, aveva definito Putin un “grande leader russo” con il quale l’America sarebbe stata pronta a costruire un futuro radioso.
Putin gli ha creduto e, a sua volta, durante un successivo ricevimento presso l’ambasciata russa, ha affermato che la Russia è pronta al riavvicinamento russo-americano quanto lo sono gli Stati Uniti. Dopo la parte ufficiale, il deputato repubblicano Curt Weldon e io ci siamo avvicinati a Putin e gli abbiamo presentato un piano di lavoro per un simile riavvicinamento chiamato “Partenariato tra gl USA e la Russia: Tempi nuovi, Iniziative nuove” (nell’allegato in PDF in inglese).
Questo piano prevedeva la cooperazione nel campo dello spazio, dell’ecologia, dell’agricoltura, dell’energia, della salute e della medicina, nonché la lotta contro le malattie infettive, il lavoro congiunto di scienziati nel campo delle scienze della terra, dell’informatica, della cultura, dell’istruzione e la più ampia gamma di fondamentali discipline scientifiche.
Il piano comprendeva un elenco di organizzazioni e individui governativi e privati responsabili dell’attuazione delle proposte e una lettera al presidente Bush firmata da più di 100 membri del Congresso che approvavano il documento.
Durante i nostri forum annuali USA-Russia a Capitol Hill, dove discutevamo tali proposte, molti membri del Congresso avevano convenuto che finalmente avevamo “il nostro uomo al Cremlino”.
Sfortunatamente, non c’è voluto molto prima che Washington tradisse Putin, lanciando una nuova crociata “per la democrazia” attraverso rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, organizzando la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina, cancellando il Trattato sulla difesa antimissilistica e, in modo più distruttivo, proponendo l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella NATO.
Il presidente Barack Obama aveva iniziato il suo mandato con un tanto pubblicizzato “reset” che ha segnato l’inizio di un dialogo globale con la Russia, coerente con la nostra proposta sopra menzionata. Purtroppo anche questa iniziativa è fallita molto rapidamente, sia simbolicamente che nella realtà. Quando il segretario di Stato americano Hillary Clinton consegnò come regalo al ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov, un pulsante rosso, a simboleggiare l’intenzione di migliorare le relazioni, la parola accanto al pulsante fu tradotta erroneamente in russo dagli americani e invece di “riavvio” (come nella versione inglese “reset”) venne scritto “sovraccarico” (che in inglese sarebbe stato “overcharge”). Che è stato? Un’offerta di collaborazione o un allarme rosso?
E in effetti, le cose sono peggiorate dopo che Obama ha consegnato il portafoglio dell’Ucraina al suo vicepresidente Joe Biden, il quale, secondo l’ex segretario alla Difesa Bob Gates, ha “sbagliato su quasi tutte le principali questioni di politica estera e sicurezza nazionale”.
Non sappiamo se Obama sia stato sincero nel suo tentativo di migliorare le relazioni russo-americane, ma, consapevolmente o meno, ha anche tradito la causa della pace affidando a Biden la politica statunitense nei confronti dell’Ucraina, poiché, secondo molti osservatori, Biden è uno dei diretti responsabili della crisi attuale.
Joe Biden è uno dei diretti responsabili della crisi attuale
In primo luogo Biden ha coordinato il colpo di Stato in Ucraina nel febbraio 2014, che ha instaurato un regime filo-NATO e anti-russo a Kiev, poi ha saccheggiato quello sfortunato Paese per fare soldi attraverso suo figlio Hunter, quindi ha rifiutato l’offerta della Russia di avviare negoziati sulle mutue garanzie di sicurezza nel dicembre 2021 e poi, insieme al primo ministro britannico Boris Johnson, ha interrotto l’accordo russo-ucraino che era pronto per essere firmato per porre fine alla guerra. Invece, Biden sta ora usando i suoi poteri presidenziali per prolungare la guerra a spese dei contribuenti americani.
Altri tradimenti possono essere menzionati, ad esempio, l’insediamento dei collaboratori nazisti ucraini negli Stati Uniti dopo la fine della seconda guerra mondiale con l’intenzione di usarli in futuro contro il loro ex alleato, l’URSS.
L’ex capo di stato maggiore congiunto, generale Mark Milley, mentre era ancora in carica, riuscì a tradire sia i veterani russi che quelli americani quando parlò dei soldati ucraini “risoluti” che combattono oggi come “figli e nipoti del popolo che ha combattuto contro Stalin e Zhukov dal 1945 al 1955.”
Un lume di speranza per un nuovo détente dopo le presidenziali in Russia e in USA
Quindi dove andiamo a finire? La vittoria elettorale di Putin e le imminenti elezioni americane di novembre potrebbero offrire un’occasione per un compromesso tra Washington e Mosca. Un candidato almeno promette di farlo, mentre l’altro continua a parlare della necessità di infliggere una sconfitta strategica alla Russia. Ebbene, secondo la dottrina militare russa, se una tale sconfitta fosse inevitabile, Putin utilizzerà armi nucleari.
Essendo stato coinvolto nella diplomazia della “seconda via” in quest’area per più di 35 anni, posso testimoniare che, a partire da Gorbačëv, tutti i leader russi e la stragrande maggioranza del popolo russo attendono con ansia una nuova era di amicizia con l’America. Sono sicuro che molti americani, oltre a coloro che volevano preservare a tutti i costi l’egemonia degli Stati Uniti negli affari mondiali, che non esiste più, vogliono la stessa cosa. Certamente nessuno vuole morire in una guerra nucleare.
Gli europei oggi si trovano di fronte alla stessa scelta e, fortunatamente, oltre all’attuale leadership dell’Unione europea, che tradisce gli interessi dei popoli europei, ci sono altri politici che comprendono la critica situazione politica attuale.
Naturalmente, le possibilità che il cosiddetto “Occidente collettivo” trovi una via d’uscita da questa crisi attraverso la diplomazia e il compromesso non sono molto alte, ma almeno non sono pari a zero. Questo ci dà motivo di sperare ancora, anche se la speranza è debole.