Un articolo di: Luciano Larivera

Papa Francesco prega (e fa pregare), implora, ammonisce gli Stati coinvolti nella guerra in Ucraina: negoziate, aiutate a negoziare, astenetevi dal fomentare la violenza che mina i negoziati. Come negli scacchi, il cavallo si muove in tre caselle, così è ternario il discorso del Papa. Cerca di superare gli ostacoli, senza prenderli di petto con autoritarismo.

Ma sul “principio negoziale”, anche se curvilineo nel suo adattarlo, il Santo Padre non deroga né per sé né per nessuno. Non è l’alternativa vincere e perdere che conta, ma negoziare e non negoziare. O tutti si vince o tutti si perde se non si negozia. Non è negoziabile il negoziato. È inderogabile, non è rimandabile, è autoevidente e autogiustificato, non è mezzo funzionale ai fini bellici, non è dialogo per il dialogo. Il negoziare è pragmatico nei risultati progressivi di de-escalation. Tutti e assieme sono mobilitati ad alzare “bandiera bianca”, ad arrendersi all’ineluttabilità del negoziato subito e in permanenza.

Non è negoziare dove si ha mero armistizio e resa. Non è negoziato quando una parte è eliminata, e neppure se nessuno concede qualcosa all’altro. Oppure se ognuno non considera gli interessi della controparte e li integra nei suoi, trovandone un vantaggio reale per la propria posizione. Questo è negoziare per l’Ucraina, cioè in buona fede, altrimenti è guerra infinita e peggio, in una dinamica infernale fuori controllo che tutti divora.

“Nessuno Stato è escludibile dal negoziare, perché può agevolarlo o meno”

Ecco quindi la “terna papale” per negoziare sull’Ucraina, da subito e in permanenza: il cessate il fuoco immediato; il cessate il fuoco a tempo indeterminato; le condizioni multilaterali per fare regredire l’allargamento internazionale della guerra (mondiale a pezzi).

Il negoziato per l’Ucraina è processo locale, perché riguarda la politica interna di Ucraina e Russia; è bilaterale tra Kyiv e Mosca; multipolare tra blocchi e tra potenze. Nessuno Stato è escludibile dal negoziare, perché può agevolarlo o meno, e per lo meno per gli effetti ingiusti subiti da una guerra altrui.

Ecco la catastrofe bilaterale di questa guerra: la vita umana dei propri cittadini uccisa, mutilata, traumatizzata in permanenza; la nemesi dell’identità nazionale dei contendenti perché sempre più “egotica”, svuotata, incapace di andare oltre le “scuse” per non negoziare (invece delle “ragioni” per farlo), quasi senz’anima, perché posseduta dal demone dell’etno-nazionalismo.

“Il negoziare è sempre strategico, è un modo di essere, è fine a sé stesso, è il dinamismo di vita delle relazioni internazionali”

Non basta. Questa guerra si collega ad altri fronti e altri ne può incendiare. Se Kyiv e Mosca non temono la guerra nucleare locale, ma perseguono (con i loro partner) solo quella “convenzionale” tra di loro: non è questo che rasserena il resto del mondo, perché la miccia accesa lì può far detonare le atomiche altrove.

Di tutto questo parla e scrive Papa Francesco. Il negoziare è sempre strategico, è un modo di essere, è fine a sé stesso, è il dinamismo di vita delle relazioni internazionali (e nazionali), permette al flusso della storia di procedere, e assicurare un futuro alla natura umana, cioè a una vita umana che sia umana e non artificiale o disabilitata.

Strategico è il negoziato per l’Africa che includa i suoi abitanti (o li si vuole migranti?). Non è che ci prepariamo a una guerra mondiale in Africa? quando tutti i “pezzi” delle guerre locali si uniranno a livello continentale e multipolare? A che cosa prelude la corsa per le risorse in Africa?  è la formazione di avamposti militari, di una frontiera allargata per meglio proteggere i confini e gli interessi etno-nazionali altrove.

Il negoziare strategico permanente riguarda però, sempre e comunque, i nuovi equilibri della deterrenza nucleare: per il crescere in qualità e quantità  (non simmetricamente) dei sistemi d’arma “convenzionali”; per la fine della cooperazione strategica tra i blocchi (sul bando dei test, sulla riduzione delle testate concordate per tutti, sui controlli congiunti…); per l’introduzione progressiva di nuove tecnologie (intelligenza artificiale; ingegneria quantistica per disabilitare ciberneticamente la deterrenza nucleare altri; la capacità di volo ipersonico, extraatmosferico, spaziali…).

Chi opera per negoziare (in buona fede) cerca la vera gloria. Quella di chi vuole essere riconosciuto figlio da Dio. Solo di Dio è la Gloria, ma la condivide con noi, che al massimo potremo ricevere fama e onori da semplici uomini e donne, anche se fossero i posteri.

La posizione di Papa Francesco include tutto e tutti, passato-presente-futuro. Per questo è “iperrealista”

Si avvicina la Pasqua dei cristiani. E il Trafitto con la sua verità denuda e inchioda il principe di questo mondo, con le sue ingloriose corone di vittoria, ne denuncia la sconfitta, perché è perdente davanti a Dio e alla sua grazia. E noi? Di chi ci facciamo discepoli ed angeli? A quale verità strategica crediamo? Cerchiamo la vera gloria?

Per quanto il Papa, con un approccio asimmetricamente compassione e supplicante, implori i contendenti locali e internazionali a negoziare, di fatto il Santo Padre domanda obbedienza convinta e cordiale al principio non negoziabile del negoziare per essere umani. Altrimenti la nostra specie si estingue o evolve in altro demoniaco.

La sua posizione non è idealista ma “iperrealista”, perché include tutto e tutti, passato-presente-futuro, pure Dio e la necessità della sua grazia, della sua visione, del suo perdono, della sua misericordia.

Papa Francesco invoca Dio come per un “esorcismo”, che permetta di parlarsi e negoziare tra chi è oppresso dal demone del mutismo (lo è tale anche la declamazione di propaganda, insulti, minacce) e la cui lingua non si scioglie nei negoziati.

Obbedire al Papa a negoziare (subito, concordi e con sapienza) è obbedire alla voce della coscienza informata, ragionevole e libera? Certo. È obbedire a un’autorità religiosa? perché no, soprattutto se è la propria. Ma forse è anche obbedire, per chi trova sensato e ancora fondante questo mito, a Roma.

Il vescovo di Roma è l’unico che conserva un residuo formale dell’autorità imperiale (non per il Diritto canonico che articola in altro modo la suprema potestà del Romano Pontefice). Il “Pontefice Massimo” era una magistratura civile benché religiosa a vita, che Cesare esercitava e così gli imperatori, finché non la lasciarono in uso al Vescovo di Roma.

Dalla West Coast agli Urali. Gli uomini e gli Stati che si ritengono eredi e successori dei cittadini romani e dell’imperium di Roma, obbediscano al “Santo Padre”. Questo infatti era l’appellativo dell’imperatore chiamato a proteggere la comune res publica romana dalla barbarie, e sapeva negoziare con i popoli avversi per integrarsi insieme in una nuova civiltà e cittadinanza. Noblesse oblige.

Membro dell’Ordine dei Gesuiti, economista

Luciano Larivera