Kamala Harris deve ricevere l'investitura dei delegati democratici. Ma soprattutto deve distinguersi da Joe Biden su almeno tre temi: l'economia, la politica estera e la comunicazione con i media. Solo così potrà sfruttare il "momentum" creato dal ritiro del presidente. L'ombra di Barack Obama e dei suoi consiglieri
La vera partita della Convention di Chicago si gioca sulla discontinuità con l’amministrazione Biden. A cominciare dall’economia
La convention del Partito democratico americano di Chicago (19-22 di agosto) ha ben pochi precedenti storici: i delegati infatti sono stati designati come elettori di Joe Biden e ora dovranno approvare un nuovo ticket, come si dice, una nuova coppia di candidati per la Casa Bianca. Che saranno Kamala Harris, vicepresidente uscente e l’attuale governatore della Pennsylvania Tim Walz. Ma sei i candidati sono già decisi e non ci saranno primarie per sceglierli, la linea politica dovrà essere compresa molto meglio. I cittadini americani conosceranno finalmente la sostanza di due leader che finora sono stati considerati di secondo piano. È infatti Kamala Harris che dovrà in questi giorni far capire davvero le sue intenzioni e le sue qualità. Intenzioni e qualità, fino a poche settimane fa, non molto considerate anche dai suoi stessi compagni di partito. Per non parlare dei commentatori e dei politologi americani.
Il primo tema su cui si giocheranno i destini dei democratici (e degli USA) è la discontinuità col passato sull’economia americana. Si vota sempre col portafoglio, specialmente negli USA. Harris deve distinguersi da Biden, cercare di presentarsi in modo diverso e non solo per quanto riguarda la lucidità mentale (aiutata dalla sua giovinezza) o la sua origine afroamericana. Ci sono almeno due temi su cui questa discontinuità sta emergendo in modo sempre più significativo: l’approccio ai dilemmi economici e la politica in Medio Oriente. Paradossalmente su questi due temi la nuova candidata alla Casa Bianca corre non tanto contro Donald Trump quanto contro il suo stesso passato.
“Ora è il momento di tracciare una nuova strada da seguire”, ha detto Harris in un comizio proprio alla vigilia della Convention. “Dobbiamo costruire un’America in cui il lavoro di tutti venga premiato e i talenti vengano valorizzati, in cui si possa lavorare con manodopera e aziende per rafforzare l’economia americana e in cui tutti abbiano l’opportunità non solo di cavarsela, ma di andare avanti”. Chi le cura la campagna elettorale ha chiamato tutto ciò “l’economia delle opportunità”. E come ha notato il sito Politico si tratta di una clamorosa presa di distanza dalla cosiddetta “Biden economics”. Harris ha anche citato i super profitti delle grandi imprese alludendo alla loro responsabilità sul tema dolente dell’inflazione. Altre due parole d’ordine che sembrano voler segnare la sua discontinuità sono: mettere mano al tema degli alloggi più accessibili per tutti e ridurre al cittadino i costi dell’assistenza sanitaria.
I consigli e i consiglieri di Barack Obama sembrano essere diventati importanti nella campagna elettorale di Kamala. In economia e non solo
Ovviamente non si tratta solo di proporre qualcosa di più deciso o diverso rispetto agli anni di Joe Biden. C’è anche l’intenzione di aggredire quello spazio economico-sociale che l’America di Biden ha finora ignorato e in certo senso lasciato all’iniziativa politica di Donald Trump. Basti pensare al libro Elegia americana del candidato vicepresidente J. D. Vance che lo ha reso popolare proprio negli strati più poveri e dimenticati dell’America operaia e rurale. Un giornale italiano, Il Foglio, ha voluto leggere nella svolta economica di Harris più attenta agli interessi delle classi meno agiate e più critica verso i colossi del grande capitale l’influenza di Barack Obama e dei suoi consiglieri. Ha scritto Giulio Silvano sul Foglio: “Kamala sta mettendo in pratica già adesso una lezione di Obama, cioè cercare di prendersi un po’ di voto repubblicano, non alienarsi il centro, non perdere gli indecisi”.
Obama, per quanto sia stato dipinto come “di sinistra”, è sempre stato un moderato. E lo stesso vale per Harris. E così è partito il gruppo “Republican for Harris”, che cerca di prendersi i conservatori che non sopportano Trump, magari qualche ex elettore di Nikki Haley, l’ultima candidata del Gop a provare a sfidare Trump. Obama ha solo quattro anni più di Harris – e come hanno fatto notare i meme maker, Harris ha anche la stessa età del suo candidato vice, il papà del Midwest Tim Walz (che ha anche la stessa età di Brad Pitt). Le differenze tra Kamala e Barack sono molte, di carriera e di carattere, e soprattutto di fama, ma visto che l’obiettivo del Partito democratico non è tanto legato alle policy quanto a evitare altri quattro anni di Donald Trump alla Casa Bianca, per i dem vale tutto per spingere una candidata detestata o ignorata fino a pochi mesi fa, e trasformarla nella paladina dei diritti e nell’amica delle star di Hollywood. Anche a costo di renderla cool grazie agli orpelli pop. Come dicono gli americani, whatever works”. In modo meno raffinato il New York Post di Rupert Murdoch ha titolato: “Obama segretamente sta gestendo la campagna di Kamala”.
Gli elettori democratici vogliono più chiarezza sui diritti dei palestinesi e meno debolezza nei confronti di Israele. Potrebbero cambiare anche gli gnomi neo-con “tendenza Stranamore”
L’altro tema chiave della settimana di Chicago è la politica estera. Innanzitutto, per il Medio Oriente. Quasi come per l’inflazione anche qui Joe Biden ha lasciato un’eredità pesante: l’incapacità di frenare l’iniziativa del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Proteste a parole, musi lunghi, offese insieme a forniture di armi lungo i mesi che ci separano dal 7 ottobre. Kamala Harris cerca in tutti i modi di dare segnali diversi e preme con la Casa Bianca perché il cessate il fuoco a Gaza arrivi prima della fine della Convention o almeno prima possibile. È un terreno delicato perché una vasta fetta dell’elettorato democratico più militante è sensibile ai diritti dei palestinesi e non può reggere al continuo massacro dei civili nella Striscia compiuto per lo più con armi (e finanziamenti) americani.
Poi c’è la vicenda della guerra in Ucraina. Anche qui la presidenza Biden sembra aver condotto gli USA in una via obbligata che rischia di alimentare l’escalation. Kamala Harris difficilmente potrà distinguersi da questa linea ma sa benissimo che una delle grandi parole d’ordine di Donald Trump è la promessa di una pace immediata, appena arriverà alla Casa Bianca. E se i consiglieri diplomatici saranno, come quelli economici, della cerchia di Barack Obama, ci potrebbero essere delle sorprese anche su questo scacchiere. La politica estera della Casa Bianca potrebbe finalmente uscire dal controllo degli gnomi neo-con che hanno deciso tutto ai tempi di Biden, per intenderci coloro che seguono la “tendenza Stranamore” della nuova Guerra Fredda.
Kamala Harris ha un altro stile comunicativo rispetto a Joe Biden. Si capirà se è vincente il 10 settembre, quando andrà in onda il duello tv contro Donald Trump
Un’ultima annotazione: è lo stile di Kamala Harris che in questi giorni arriva in primo piano. Un modo di porsi verso i cittadini americani e la pubblica opinione mondiale molto diverso da quello di Joe Biden. Non lunghe conferenze stampa, basta con i lughi giri di parole. Harris parla in modo più moderno ed aggressivo, con frasi brevi e battute. A Washington c’è chi dice che abbia scelto Tim Walz come candidato vicepresidente per via della sua fortunata battuta su Donald Trump e J.D. Vance che sono “weird”, che sono strambi, strani, buffi, in Italia forse diremmo impresentabili.
Ha scritto il columnist del New York Times Ezra Klein: “Kamala Harris tiene la telecamera come nessun politico dai tempi di Barack Obama. … È scomparso il tono grave e stentoreo dei comunicati stampa di Biden. Le comunicazioni di Harris sono giocose, beffarde, sicure e persino cattive… La strategia di comunicazione di Biden è stata progettata per rendere Trump più grande. La strategia di Harris è renderlo più piccolo”.
Vincerà davvero la Harris la partita dei media? Dopo la Convention di Chicago ci sarà un appuntamento in cui verificare l’entusiasmo di Klein: il 10 settembre la ABC metterà in onda il primo duello tv fra Kamala Harris e Donald Trump. E lì forse si capirà come finirà il 5 novembre.