Gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti, la consapevolezza tra le popolazioni cresce ma non l'impegno dei grandi della Terra. Potremmo cominciare ad investire nel modo giusto, innanzitutto assicurando il globo
Si moltiplicano i segni di aumento della temperatura media sul pianeta. Uno dei più eclatanti è l’aumento della temperatura degli oceani
La temperatura sale, l’impegno delle grandi corporation a ridurre le emissioni di CO2 scende, ed è stabilmente basso lo sforzo concretamente messo in atto dalle grandi Nazioni contro il cambiamento climatico. Il risultato: la temperatura media sale, i sistemi naturali sono sotto stress, la produttività economica scende. Il punto sulla situazione e la rilevanza di meccanismi assicurativi mondiali svolti nell’ottica dei progetti misti di natura pubblica e privata.
I dati più recenti sul climate change: si moltiplicano i segni di aumento della temperatura media sul pianeta. Uno dei più eclatanti è relativo all’aumento della temperatura media negli oceani che da oltre un anno registrano livelli record nella temperatura media di superficie. Le conseguenze più visibili riguardano il rischio di estinzione dei coralli e l’estensione della stagione degli uragani nell’Oceano Atlantico. Un altro è sintetizzato dal forte aumento di piovosità nel Regno Unito che ha raggiunto il record da quando sono disponibili rilevazioni nel 1836. Secondo gli scienziati sono fenomeni collegati all’aumento della temperatura: nel 2023 il mondo ha oltrepassato la soglia critica di aumento della temperatura di 1,5 gradi centigradi oltre ai livelli pre-industriali, che l’Accordo di Parigi poneva come soglia da non oltrepassare per prevenire gli effetti peggiori del cambiamento climatico.
La razionalità suggerirebbe di muoversi in modo da evitare gli scenari peggiori
Le reazioni razionali ai dati: gli scienziati non interpretano però in modo univoco l’evidenza. Alcuni sostengono che non esistono trend di lungo periodo di aumento di eventi climatici estremi. Non esiste totale univocità neanche nell’opinione pubblica anche se, almeno negli Stati Uniti, secondo il report sul Climate change in the American mind. Beliefs & attitudes, autunno 2023 pubblicato periodicamente da Yale, le persone che credono nel cambiamento climatico sono 5 volte di più di quelle che pensano che il cambiamento climatico non esista, e il 58% degli americani ritiene che il cambiamento climatico sia indotto dall’umanità. L’opinione degli esperti conta più di quella della collettività? Non secondo analisi che mostrano come la saggezza convenzionale possa superare gli esperti anche nella soluzione dei problemi più complessi. Ma se anche ammettessimo la mancanza di unanimità, e se quindi, tecnicamente parlando, fossimo in condizioni di incertezza invece che di rischio, la razionalità suggerirebbe di muoversi in modo da evitare gli scenari peggiori, con un atteggiamento molto conservativo in termini di emissioni di gas-serra. Ma esiste un altro modo ancora per rispondere in modo razionale, vale a dire mettere in atto strategie di adattamento oltre che di prevenzione. I costi di adattamento potrebbero tra l’altro non essere molto inferiori a quelli di prevenzione, basta pensare all’infrastruttura che i vari Paesi del mondo, sulla scorta di uno sviluppo millenario, hanno sviluppato proprio lungo le coste e sui fiumi.
L’impegno dei principali paesi è molto limitato rispetto alla complessità delle sfide
Gli impegni nazionali: i principali Paesi del mondo stanno mettendo in campo un impegno molto limitato rispetto alla complessità della sfida, forse proprio a causa delle difficoltà. Gli economisti avevano coniato il termine “scoraggiamento” per indicare le persone che non cercano attivamente un lavoro data la percezione di una bassissima probabilità di trovarlo. L’equivalente moderno sembra essere quello del “policy-maker scoraggiato” di fronte alla sfida della riduzione di CO2. Temi di redistribuzione del reddito mondiale si sovrappongono a quelli di un reale cambiamento nella struttura economica, e il risultato finale è che molti si aspettano un “miracolo tecnologico” per risolvere il problema. Un miracolo che non si è ancora visto. Del resto, se l’opinione pubblica non è sensibile alla minaccia, perché i politici dovrebbero impegnarsi? Quanti di noi, pur temendo il cambiamento climatico, sono disposti a stare al freddo in casa o ad andare a piedi per ridurre le emissioni di CO2? Quanti di noi hanno letto con entusiasmo la prima proposta europea sulle “case verdi” pensando ai costi necessari per rendere il nostro stock immobiliare (che secondo i dati ISTAT, per un quarto è costituito da edifici costruiti prima del 1946 e per il 15% prima del 1919) più efficiente dal punto di vista energetico?
Perseguire utili e impegnarsi dal punto di vista ambientale, è più difficile di quanto inizialmente sperato
Corporate e financial institution: anche corporate e financial institution sembrano essere scoraggiate, particolarmente alla luce di recenti evidenze secondo cui “fare bene facendo bene”, vale a dire perseguire utili e impegnarsi dal punto di vista ambientale e sociale, è più difficile di quanto inizialmente sperato. Questo giudizio apparentemente severo è legato ai roboanti annunci fatti dopo il COP26 del 2021 a Glasgow, in cui Mark Carney aveva affermato che il settore privato avrebbe utilizzato 130 trilioni di dollari (1,3 volte il valore del prodotto interno lordo mondiale) nell’ambito della cosiddetta Glasgow Financial Alliance for Net Zero. Sempre secondo il Financial Times, un quarto delle aziende che avevano aderito alla campagna “Business ambition for 1.5C” non hanno mai presentato programmi credibili di impegno per raggiungere il Net Zero.
Una possibile riforma: creare un mercato assicurativo mondiale consentire di attenuare i danni locali
Le conseguenze economiche: come accade a un corpo lanciato nello spazio (dove nessuno può sentirti urlare come suggeriva un famoso film) il trend prosegue in assenza di attrito. In assenza di azioni, negli Stati Uniti i premi assicurativi per i danni legati al clima continuano a salire ad esempio per quanto riguarda le proprietà immobiliari localizzate sulle coste in cui le previsioni di aumento del livello medio dell’acqua sono più rilevanti. Non è sorprendente infatti che nelle zone in cui la collettività crede al cambiamento climatico i prezzi degli immobili siano, a parità di condizioni, di circa il 10% più bassi. Secondo il Financial Times (The uninsurable world: what climate change is costing homeowners, Ian Smith e Attracta Mooney e Aime Williams, 13 febbraio 2024) i dieci più grandi disastri ambientali nel mondo legati a situazioni di eventi estremi dal 1970 hanno comportato danni quantificati in un range compreso tra i 53,9 miliardi di dollari (ai prezzi del 2022) per le inondazioni in Cina e gli oltre 187 dell’uragano Katrina con un valore medio di 80 miliardi di dollari. Una Terra non più assicurabile davvero?
Conclusioni: il fatto che il valore medio del disastro più terribile sia pari allo 0,08% del PIL mondiale forse spiega l’assenza di reali provvedimenti dal punto di vista economico. Il PIL pro-capite in Italia è pari a meno di 40.000 euro. Siamo disposti a cambiare il nostro stile di vita per un danno potenziale di 32 euro? Le conseguenze sono al momento facilmente gestibili a livello aggregato, anche se possono essere devastanti a livello locale, particolarmente nei Paesi a basso reddito e in assenza di un reale meccanismo assicurativo internazionale. Forse è questa la riforma da perseguire: creare un mercato assicurativo mondiale di natura pubblica e privata per il trasferimento di risorse e consentire di attenuare i danni locali. Anche questo non sarà facile: per assicurare occorre prima pagare, e per essere disponibili bisogna avere una chiara percezione del rischio, elemento che al momento non sembra essere presente. Non è un problema se nello spazio nessuno può sentirci urlare, dal momento che la maggioranza di noi non sta affatto urlando.