L'Agenzia internazionale dell’energia: “I Governi, le aziende e gli investitori devono sostenere le transizioni verso l'energia pulita anziché ostacolarle”
L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) ha pubblicato le proprie previsioni riguardo ai consumi di greggio nel mondo che, secondo l’OPEC, “per il 2045 cresceranno del 16,5% rispetto ai risultati registrati nel 2022”.
Nel suo rapporto annuale del titolo “World Oil Outlook 2023” gli esperti dell’OPEC hanno scritto che la domanda globale di petrolio aumenterà da 99,6 milioni di barili, consumati al giorno nel 2022, a 116 milioni di barili al giorno nel 2045.
Secondo l’OPEC l’aumento della domanda globale sarà garantito in primo luogo dall’industrializzazione dei cosiddetti Paesi del Sud Globale, tra cui l’India, la Cina, l’Africa e il Medio Oriente. Il segretario generale dell’OPEC, Haitham Al Ghais, ha dichiarato inoltre che la “nuova stima sui consumi supera quella precedente di circa 6 milioni di barili al giorno e potrà essere rivista ancora al rialzo”.
Le stime dei produttori sono entrate in rotta di collisione con le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) che ha appena pubblicato a Parigi il nuovo “World Energy Outlook 2023”. Il rapporto, secondo il quale “le fonti fossili non sono sicure per il futuro” è stato subito interpretato dagli osservatori internazionali come “nuova frecciata contro l’OPEC dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas e la recente escalation delle tensioni in Medio Oriente”.
Per l’AIE già nel 2030 le “rinnovabili saranno oltre la metà del mix energetico elettrico e le auto elettriche saranno dieci volte quelle attuali”. La transizione energetica basata sulle energie rinnovabili è “inarrestabile”, ma il processo dell’“addio” ai combustibili fossili, necessario per far fronte alla crisi climatica in corso, “sta avvenendo troppo lentamente”.
Come ha scritto in un suo post, pubblicato sul social X (ex Twitter), Fatih Birol, direttore generale dell’IEA, “se i Governi del Pianeta applicheranno le attuali politiche decise per il futuro, nel 2030 le energie rinnovabili rappresenteranno l’80% della nuova potenza elettrica e le energie rinnovabili forniranno metà dell’elettricità mondiale”. Inoltre, come aveva già più volte affermato Birol, scontrandosi con i vertici dell’OPEC, la “domanda di fonti fossili raggiungerà il suo picco nel 2030, per poi scendere”.
Ma tra le righe di questa visione positiva per la salute climatica della Terra si legge anche un chiaro avvertimento: attualmente, e sempre “a causa dei combustibili fossili”, le emissioni sono ancora troppo elevate per impedire che le temperature superino la soglia chiave di +1,5 gradi centigradi. Ed ecco la pugnalata alla schiena dell’OPEC: secondo l’IEA gli “investimenti nel fossile vanno dimezzati”.
È scontro frontale tra l’IEA e l’OPEC, che invece parla della “necessità di aumentare notevolmente” gli investimenti nella produzione di petrolio. “I governi, le aziende e gli investitori devono sostenere le transizioni verso l’energia pulita anziché ostacolarle”, ha ricordato ancora Birol, per il quale “le affermazioni secondo cui petrolio e gas rappresentano scelte sicure per il futuro energetico e climatico del mondo sembrano più deboli che mai”.
Purtroppo in alcuni settori lo sviluppo delle tecnologie avanzate, volte a frenare il deterioramento del clima, sta segnando il passo. In questi giorni lo ha dimostrato molto chiaramente la svendita negli Stati Uniti dell’impianto “rivoluzionario” per la cattura dell’anidride carbonica, il principale gas a effetto serra.
L’azienda petrolifera statunitense Occidental Petroleum (Oxy) ha svenduto uno dei più grandi impianti per la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica al mondo, a causa dei “costi esageratamente alti di gestione” e soprattutto della “bassa resa del sistema”.
Il progetto era stato avviato più di dieci anni fa e secondo un’analisi dell’agenzia Bloomberg ha dimostrato “quanto sia ancora difficile sviluppare iniziative sostenibili per ridurre l’immissione nell’atmosfera di ‘nuova’ anidride carbonica” (CO2), il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale.
Non di rado le tecnologie di questo tipo vengono promosse dalle stesse compagnie petrolifere per limitare l’inquinamento prodotto dai loro impianti di estrazione e di raffinazione degli idrocarburi liquidi, ma ci sono ancora dubbi sulla sostenibilità economica di alcune di queste soluzioni tecnologiche.
Secondo il rapporto di Bloomberg “l’impianto non portò mai ai risultati previsti da Occidental Petroleum: tra il 2018 e il 2022, il sistema rese possibile la sottrazione dall’atmosfera di meno di 800.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno, ovvero meno del 10% di quanto era stato inizialmente prospettato da Oxy”.
Sempre secondo l’inchiesta di Bloomberg, “l’impianto non ha mai funzionato a pieno regime a fronte di costi molto alti per la gestione” che hanno indotto Oxy a “svenderlo ancora nel gennaio del 2022 con un ricavo intorno ai 200 milioni di dollari, a fronte dei circa 800 milioni di dollari spesi solo per la sua costruzione”. Per evitare le critiche degli ambientalisti e più in generale dell’opinione pubblica degli Stati Uniti la clamorosa cessione “non era mai stata annunciata ed è emersa solo nella documentazione fiscale della società”.
Oxy è stata tra le prime grandi compagnie petrolifere globali che si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, e ora ci si chiede come riuscirà a ridurre le proprie emissioni nei prossimi anni.
Ciononostante per il direttore generale dell’IEA, Fatih Birol, si tratta di un processo impossibile da frenare: “La transizione verso l’energia pulita sta avvenendo in tutto il mondo ed è inarrestabile. Non è una questione di ‘se’, è solo una questione di ‘quando’ o ‘quanto presto’. E prima è, meglio è per tutti noi”, ha ribadito Birol.