Jonathan Rosenthal, un giornalista dell'Economist di origini israeliane, ha scritto un lungo e appassionato thread su X - Twitter, raccontando in prima persona i terribili giorni di Israele e Palestina. Un documento per riflettere.
Jonathan Rosenthal, giornalista dell’Economist di origini israeliane, con un lungo e appassionato thread su X – Twitter ha raccontato i suoi sentimenti e il suo punto di vista sull’attacco di Hamas e la conseguenza durissima risposta di Israele. Ecco i suoi tweet:
“Sia i palestinesi che gli ebrei hanno diritto a una patria: l’attacco di Hamas è stato disumano, la dura risposta dell’esercito israeliano non può non considerare vie di fuga per i civili. Sperando che quando la polvere si sarà posata si inizi finalmente a parlare di pace.
Fatico ad articolare le complesse emozioni che provo da sabato mattina come ebreo, liberale/progressista, convinto che palestinesi ed ebrei abbiano diritto a una patria, alla sicurezza e alla dignità. In primo luogo mi sento ancora male e sono preoccupato. Ho parenti e amici in Israele. Alcuni si trovavano in comunità vicine a quelle attaccate. Altri hanno figli, nipoti, pronipoti che sono stati chiamati a combattere nell’IDF (Forze di difesa israeliane). Ho amici e colleghi esposti al pericolo.
Molti (ma non tutti) dei miei amici e familiari in Israele sono saldamente per una politica israeliana pacifica, hanno sostenuto o fatto campagna per la fine dell’occupazione, hanno protestato contro il governo di destra di Bibi Netanyahu e hanno costruito ponti tra ebrei e palestinesi. Sono arrabbiati per la risposta confusa, che ha lasciato le persone sole per ore. Ma sono anche furiosi con Netanyahu, le cui riforme giudiziarie hanno diviso il Paese, anche quando era stato avvertito che ciò avrebbe danneggiato la sicurezza, e la cui coalizione razzista ha infiammato le tensioni con gli arabi.
Anch’io sono arrabbiato. Sabato sono rimasto sbalordito dal fatto che le difese di Israele abbiano fallito così gravemente nel proteggere i cittadini. Sono rimasto scioccato dalla barbarie di Hamas (anche se non sarei dovuto dovuto esserlo, data la sua passata barbarie, anche contro i membri di Fatah nel 2007).
Ma mi ha ferito anche la reazione di molti al di fuori di Israele, comprese alcune persone che un tempo rispettavo che, mentre venivano ancora presi ostaggi e gli ebrei venivano massacrati, incolpavano le vittime e giustificavano gli orrori. Alcuni lo fanno con il mantello dell’intellettualismo (dicendo “era inevitabile” o blaterando di Fanon e della decolonizzazione), altri con la scusa dell’imparzialità, sostenendo che non c’è distinzione morale tra Israele e Hamas (ancora prima che il primo aereo dell’aviazione israeliana colpisse). A queste persone, molte delle quali sono oneste e ben intenzionate: se le vostre prime parole in risposta a questo orrore indicibile non sono state una condanna inequivocabile, allora non avete il diritto di criticare la risposta di Israele. Secondo la vostra logica, la rappresaglia di Israele è altrettanto inevitabile.
Alcuni hanno risposto con una gioia non celata. Questa, dicono, è “resistenza”, come se ogni giovane ucciso a colpi di pistola durante un rave, ogni stupro, ogni rapimento di una madre, di un bambino, di una nonna, portasse la Palestina più vicina alla libertà. Nei vostri confronti non ho altro che odio e disprezzo. Odio non solo per la vostra bancarotta morale, la vostra disumanità e il vostro antisemitismo, ma anche perché siete ostacoli alla pace e a una Palestina libera tanto quanto lo sono gli ebrei ultranazionalisti e di destra. Siete l’uno lo specchio dell’altro. Celebrando (o addirittura scusando) i crimini di Hamas, state dicendo agli israeliani e agli ebrei di tutto il mondo, che vivono ancora con il trauma dell’Olocausto, che il mondo non dà valore alle loro vite, che non saranno mai al sicuro vivendo accanto a una Palestina libera.
E poi ci sono i miei sentimenti contrastanti riguardo alla risposta israeliana. Capisco perché Israele non può permettere ad Hamas di rimanere intatta, di pianificare e preparare nuovi e più orribili modi di uccidere gli ebrei (e altri innocenti, compresi i thailandesi, gli arabi israeliani e chiunque altro si trovi sulla loro strada). Ma sono anche inorridito dal sangue di palestinesi innocenti che verrà versato a Gaza e dalla sofferenza e dalla paura imposte ai civili del luogo. Sono molto preoccupato per i figli e le figlie dei miei amici e familiari nell’IDF che saranno in pericolo andando a Gaza. Non accetto alcun suggerimento relativo al fatto che vi sia un’equivalenza morale tra ciò che Israele deve fare ora e ciò che Hamas ha scelto di fare il 7 ottobre. Uno rispetta, per quanto possibile, il diritto internazionale e cerca di ridurre al minimo i danni. L’altro si diverte a compiere un genocidio, trasmettendolo con orgoglio in diretta.
Ma penso anche che Israele dovrebbe fare ancora di più per proteggere le vite innocenti dei palestinesi. Non può essere accettabile tagliare il cibo e l’acqua a 2 milioni di persone e bombardare una striscia chiusa senza offrire ai non combattenti un passaggio per mettersi in salvo, sia in Egitto che in Cisgiordania. Alcuni sostengono che ritenere Israele a un livello più alto è di per sé antisemita. Ma sicuramente questo standard più elevato è quello a cui Israele stesso aspirava quando la sua dichiarazione di indipendenza ha stabilito uno Stato “basato sui precetti di libertà, giustizia e pace insegnati dai profeti ebraici”. Il motivo per cui sto cercando di crescere i miei figli come ebrei è quello di trasmettere una tradizione di 2000 anni che ci insegna il “tikkun olam” o “guarire il mondo”. Gli ebrei non sono migliori, o più intelligenti, o più morali o meno morali di altri. Ma abbiamo le nostre vie. Questa è una di quelle che vale la pena mantenere.
I prossimi giorni saranno difficili per israeliani e palestinesi. Saranno dolorosi anche per chi, tra noi che siamo al sicuro, ha a cuore questo luogo e la sua gente. Spero solo che, una volta che la polvere si sarà posata, entrambe le parti decideranno che le uccisioni devono cessare e che si parli seriamente di pace”.