Lo storico e saggista Franco Cardini risponde a qualche domanda sulla città di Samarcanda, su cui, nel 2016, ha scritto un saggio per il Mulino dal titolo "Samarcanda. Un sogno color turchese"
Franco Cardini, storico e saggista italiano, specializzato nello studio del Medioevo.
Professore, perché si è interessato alla città di Samarcanda?
Fondamentalmente perché è una città molto importante nei secoli, importante come nodo della Via della Seta, e poi alla fine Trecento è stata la capitale di Timur quello che gli italiani ordinariamente chiamano Tamerlano; gli italiani purtroppo lo conoscono poco, ma è uno dei personaggi principali della storia Euroasiatica. Poi naturalmente c’è il fatto estetico: è una delle più belle città del mondo. Infine, mi occupo lateralmente alla mia professione di professore universitario faccio il consulente di alcune organizzazioni di turismo, in particolare sui viaggi di studio. In questo contesto una meta come Samarcanda è una meta quasi ideale.
Che importanza strategica ha Samarcanda al giorno d’oggi?
E’ una grande città di turismo e cultura. E’ una delle città principali della nuova repubblica dell’Uzbekistan, che nel ‘90 si è staccata dall’Unione Sovietica. Ha attraversato un periodo postcomunista. Attualmente è attraversata da molti interessi e quindi anche da molte inquietudini. Se uno va a Samarcanda viene attirato, se guidato da un buon professionista o se aguzza l’ingegno, dal fatto che ci sono scritte nelle insegne, per le strade e nei negozi, che alternano anche disordinatamente, i caratteri latini, cirillici e arabi.
Qual è il rapporto tra Turchia e Uzbekistan?
La Turchia del presidente Erdogan sta facendo la propaganda per ricollegare l’egemonia della repubblica turca alla guida delle repubbliche turche mongole che stanno lungo la Via della Seta. C’è una direzione della politica di Erdogan. Noi lo conosciamo come uomo della Nato che interpreta la sua alleanza alla Nato con molta libertà ed elasticità, lo conosciamo come energico ed eviterei di chiamarlo dittatore. Dittatore è una parola molto vaga fra la calunnia e la politica. Non mi pare sia il caso di usarla. Erdogan fa una politica molto complicata, che sta ponendo la Turchia come una cerniera tra la Nato, l’Ue e il vicino Oriente con una direzione e una serie di possibili alleati e avversari. La sua tensione con la Siria si è allentata e difatti il presidente siriano è stato riammesso alla Lega araba, alla quale la Turchia non partecipa non essendo un Paese arabo ma è dietro a queste rivalità politiche c’è un tentativo di Erdogan di gestire la tensione fra Paesi arabi, Israele, Siria, Egitto e quindi di porsi come potenza guida in quell’area.
Erdogan ha avuto qualche responsabilità nella simpatia per i movimenti fondamentalisti…
Sì certamente, per movimenti fondamentalisti e addirittura terroristici nel passato, ma attualmente sta facendo una politica molto complessa anche nei confronti di Israele e degli Usa. Una politica che comporta anche un tentativo di penetrazione verso l’Asia centrale.
Qual è il suo fine ultimo?
Qualcuno sostiene che il fine ultimo, anche se non ci arriverà mai forse perché è un iter che dovrebbe essere molto lungo, è quello di un’unione federale tra la Repubblica turca e tutte le repubbliche turco mongole del centro Asia e questo avrebbe una serie di ripercussioni infinite se avvenisse. Basti pensare all’importanza strategica di questa zona per il petrolio, gli oleodotti… Erdogan vuol dare l’impressione di essere uno che vive in tempi lunghi. E’ uno statista che ha una grossa esperienza e molte possibilità di sviluppo, ma cerca di non allarmare nessuno con le sue idee che potrebbero sembrare imperialistiche. In Uzbekistan come in altri Paesi arabi si nota che i musulmani, se non estremisti, hanno per lui delle simpatie e la sua presenza si sente molto nella politica uzbeka.