Un articolo di: Alessandro Banfi

"Sud del mondo" non indica una posizione geografica ma descrive sinteticamente i popoli e le civiltà che si sentono ingiustamente soggiogati e sfruttati, inesorabilmente distanti dal mondo del G7. Un po' come le genti del sud Italia descritte da Carlo Levi in "Cristo si è fermato a Eboli" si sentivano lontane e discriminate dal potere di Roma

Che cosa implica l’espressione “Sud Globale”? Di che cosa parliamo quando facciamo riferimento alle aspirazioni, alle speranze e alle richieste di questo Sud del mondo? Su questo sito ne ha scritto in modo autorevole il professor Stefano Zamagni, un grande economista italiano, emerito dell’Accademia Pontificia delle Scienze. Zamagni ha tratteggiato in modo sintetico e preciso che cosa sta accadendo nei rapporti tra popoli e nazioni. Entrando nella visione strutturale della geo-politica contemporanea. Qui invece vorrei aggiungere un’analisi verticale del senso delle parole. Mi spiego subito.

Qui la categoria “Sud” diventa simbolo e veicolo di una grande diseguaglianza, che non è solo economica ma è culturale

Riflettendo su questo termine, mi è tornata alla mente una grande opera letteraria italiana che, a suo tempo, fece il giro del mondo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Sto parlando di Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi. L’autore, artista e intellettuale ebreo di una grande famiglia torinese, era stato mandato in esilio, “al confino”, dal regime fascista che lo aveva condannato per “cospirazione” in un paesino del meridione d’Italia, un paesino della regione Basilicata chiamato Aliano, in provincia di Matera. Che diventa Gagliano nel romanzo autobiografico che Levi scrive. Il cuore del racconto dell’artista (Levi si era già affermato come pittore) è la descrizione dell’umanità di quel Sud profondo, dimenticato: una descrizione che avviene attraverso volti e storie reali. Il vecchio contadino della Basilicata si sente affratellato all’intellettuale ebreo esiliato dal regime. In comune hanno apparentemente pochissimo, dal punto di vista sociale e culturale. In realtà li rende vicini un forte sentimento di diversità e distanza nei confronti dello Stato italiano.
Levi, semplicemente raccontando quel paesino sperduto della Basilicata, descrive un tipo antropologico: l’uomo del Sud. Scrive lo stesso autore nell’introduzione: “Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore”. È un Sud radicale e assoluto, alternativo e sapiente, di millenario dolore. Qui la categoria “Sud” diventa simbolo e veicolo di una grande diseguaglianza, che non è solo economica ma è culturale.

La maggioranza degli abitanti del pianeta terra si sentono al Sud e del Sud: tagliati fuori dalle diseguaglianze e dalle leve del potere economico

Il gap fra la civiltà meridionale e la Roma burocratica dei piemontesi e poi dei fascisti è immenso. Non so se chi ha inventato l’espressione “Sud globale” abbia mai letto Carlo Levi, ma certo la categoria Sud non è attribuibile ad una pura dislocazione geografica. Si tratta piuttosto di un modo di descrivere sinteticamente quei popoli e quelle civiltà che si sentono ingiustamente soggiogati e sfruttati, resi “accessori” se non superflui dai Paesi del G7, i 7 Grandi dello sviluppo economico e industriale. La maggioranza degli abitanti del pianeta terra si sentono al Sud e del Sud: tagliati fuori dalle diseguaglianze e dalle leve del potere economico e finanziario del Nord del mondo. Allo stesso tempo sfruttati e derubati delle proprie ricchezze.
Si dirà: una cosa sono i vertici dei governi e degli Stati e un’altra sono i popoli. E questo è certamente vero, se pensiamo alla cosa in termini di diplomazia, di BRICS, di contatti fra istituzioni. Ma è anche vero che la spinta a collaborare arriva ai vertici del potere da una base sociale che preme all’interno delle società, sui territori, nelle città.
Quando Levi pubblicò il suo romanzo, ci furono grandi critiche nel mondo culturale della sinistra italiana. L’accusa che gli fu rivolta era quella (simile all’avversione che colpì Ignazio Silone e poi Pier Paolo Pasolini) di essere troppo indulgente verso la civiltà contadina, considerata arretrata. I “positivisti” del Pci criticarono la simpatia nei confronti di un ceto che, a differenza di quello operaio, sembrava non disponibile alla lotta di classe. Troppo legato, per l’appunto, alla sua antica civiltà.
E anche qui c’è un certo parallelismo, 80 anni dopo. Oggi l’ideologia marxista non ha più la forza di un tempo. E tuttavia la diffidenza, quando non il disprezzo, verso il Sud globale è intrisa di un certo senso di superiorità dell’Occidente. La civiltà dei Paesi del G7 sembra a volte pretendere l’omologazione culturale del Sud del mondo. Il messaggio che viene lanciato è: il resto del mondo può svilupparsi se accetta di cancellare la sua storia, la sua identità e la sua religione. Attraverso “l’imperialismo internazionale del denaro”, come lo chiamò papa Pio XI, l’Occidente (non tutto e non sempre per fortuna) tende a coprire la terra col suo dominio. Ecco dunque ripetersi atteggiamenti e criticità che ci inducono a riflettere su che cosa nasconda davvero l’espressione “Sud globale”.

Giornalista, Autore tv

Alessandro Banfi