Un articolo di: Nello Del Gatto

In un Paese devastato da tredici anni di guerra civile e oltre 600 mila morti, l'Hayat Tahrir al-Sham ha conquistato il potere e promesso una società inclusiva e tollerante. Quanto queste dichiarazioni si trasformeranno in azioni concrete è difficile da dire

Mohammed al-Golani ha detto che guarda ad una Siria inclusiva, indipendentemente dall’appartenenza politica, etnica e religiosa dei suoi cittadini

È ancora presto per capire che ne sarà della Siria. Dopo più di cinquant’anni di regime degli a-Assad, più di venti di “regno” di Bashar e dopo 14 di guerra civile, il Paese sembra cambiare rotta. Verso dove? È difficile dirlo. Innanzitutto per la complessità e la diversità degli attori in campo. Primo fra tutti quell’Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo che in qualche modo ha guidato la vittoriosa presa del Paese e la caduta con conseguente fuga di al-Assad.
L’organizzazione jihadista guidata da Ahmed al-Sharaa, meglio conosciuto come Abu Mohammed al-Golani, è considerata terrorista da Nazioni Unite, Stati Uniti e altri tra i quali la Turchia. Questione questa da tenere in considerazione per due ragioni: la prima è che nel caso in cui si dovrà trattare con essa, la sua connotazione terroristica crea sicuramente un problema; la seconda è relativa ai rapporti con la Turchia. Già perché se Ankara non ha dato ufficialmente il via libera all’avanzata che in poco più di dieci giorni, partendo dalla zona di confine di Idlib, arrivando a prendersi Aleppo, poi Hama, Homs e infine Damasco, ha portato ad un cambiamento storico in Siria, non ne ha ostacolata l’avanzata che, anzi, ha visto di buon occhio.

La questione turca non è secondaria. Non si tratta solo di ingerenza di un Paese straniero in Siria, come pure si è già visto da decenni in maniera chiara da parte di Russia e Iran. Si tratta di definire il controllo su aree, soprattutto al confine; si tratta di dare una “sistemata” alla questione dei curdi che pure hanno fatto parte dell’alleanza di gruppi che hanno rovesciato Assad. Ma che sono visti come nemici giurati dalla Turchia perché vicini al partito dei lavoratori curdi, il PKK contro cui Ankara combatte e che vorrebbe annientato come annichilita l’etnia a cui fa riferimento.
C’è inoltre da ricordare che Hayat Tahrir al-Sham è diretto discendente da Al Qaeda, ha sposato all’inizio anche le teorie del califfato dell’Isis. In questa offensiva, nei discorsi fatti a Damasco quando ha preso la città e in un’intervista alla CNN, Mohammed al-Golani ha detto che guarda ad una Siria inclusiva, indipendentemente dall’appartenenza politica, etnica e religiosa dei suoi cittadini. Arrivando ad Aleppo, le sue truppe hanno assicurato i cristiani che non li avrebbero toccati, mentre invece l’aviazione russa ha bombardato la scuola dei francescani, il Terra Santa College.

La situazione è frammentata, ci sono interessi diversi, nei quali il mio alleato è nemico di un altro mio alleato

Quanto queste promesse, quanto queste dichiarazioni si trasformeranno in azioni concrete è difficile dirlo. Il desiderio di ripristinare il Califfato come secoli fa ai tempi degli Omayyadi, certamente è forte e radicata se non nella leadership, nella mente di molti miliziani. Dopotutto, nella loro roccaforte Idlib, non sono poche le denunce internazionali per violazioni dei diritti civili.
Al-Golani per ora lancia messaggi di pace e di cooperazione, tant’è vero che ha distinto il regime di Assad dall’apparato burocratico siriano, lasciando ad esempio il premier Al Jalali a continuare a fare il suo lavoro, disponibile anche lui ad occuparsi della transizione.
Bisogna poi fare i conti con le diverse anime della coalizione che ha rovesciato Assad. Se infatti l’HTS ha questo rapporto contrastato con la Turchia ma dalla quale è stato chiaramente appoggiato per l’avanzata, certamente non si può dire la stessa cosa dell’alleanza delle Forze democratiche siriane (SDF), che unisce milizie curde e arabe. Le prime, rappresentate dalle Unità di protezione popolare (YPG), hanno preso il controllo di vaste aree della Siria nord-orientale nel 2012 (successivamente anche con l’aiuto americano), quando le forze governative si sono ritirate per combattere i ribelli a ovest mentre, come detto, la Turchia le considera un nemico da abbattere. Le SDF ora controllano la maggior parte della zona della Siria che si trova a est dell’Eufrate, tra cui l’ex capitale dello Stato islamico di Raqqa e alcuni dei più grandi giacimenti petroliferi del Paese, nonché alcuni territori a ovest del fiume. Le sue forze hanno combattuto il gruppo noto come Syrian National Army, sostenuto dalla Turchia, intorno alla città di Manbij. Questo gruppo ne racchiude tanti diversi. La Turchia ha inviato truppe in Siria dal 2016 per allontanare i gruppi curdi e lo Stato islamico dai suoi confini. Un sostenitore chiave dei ribelli, alla fine ha formato alcuni dei gruppi nell’esercito nazionale siriano che, sostenuto dal potere militare turco diretto, ha mantenuto un tratto di territorio lungo il confine tra Siria e Turchia. Mentre HTS e gruppi alleati da nord-ovest avanzavano verso Assad la scorsa settimana, anche l’SNA si è unita a loro, combattendo le forze governative e le forze guidate dai curdi nel nord-est.
In questa situazione così frammentata, nella quale giocano interessi diversi, nei quali il mio alleato è nemico di un altro mio alleato, trovare la quadra è complicato. Anche perché la guida non è chiara. Qualcuno pensa ad una sorta di federazione, nella quale i diversi gruppi tengano il controllo delle proprie aree di interesse. Un processo lungo, non certo da attuare dall’oggi al domani.
La complessità è data poi sia dalla disastrosa situazione umanitaria (tredici anni di guerra civile, oltre 600 mila morti hanno devastato il Paese dal profondo), situazione economica e militare. In Siria ci sono ancora diversi depositi di armi, anche chimiche. Se dovessero cadere nelle mani sbagliate, le conseguenze sarebbero disastrose. La Russia conserva due basi nella parte occidentale. L’Iran non vuole perdere la sua influenza, anche se i colpi che Israele ha inferto sia sul suo suolo, che contro la sua milizia principe, Hezbollah, che contro Hamas e le altre, non solo l’ha indebolito, ma ha favorito l’avanzata dei ribelli e la caduta di Assad.
Israele sta a guardare. Per ora ha rafforzato le sue difese intorno al monte Hermon, prendendosi anche parte del territorio siriano per aumentare la zona cuscinetto, in questo momento di regno di nessuno. Ha effettuato attacchi anche nelle scorse ore in Siria contro obiettivi e depositi militari. Se i ribelli dovessero riprendere l’idea del Califfato, come potrebbe convivere Israele con la minaccia così vicina?
Una cosa è certa: il popolo siriano merita pace. Per questo si sta dando una linea di credito alle parole di Mohammed al Golani, sperando si traducano in realtà e che la Siria possa rinascere come società eterogenea. Altrimenti, sarebbe solo l’inizio di un altro conflitto.

Giornalista, corrispondente estero

Nello Del Gatto