Il mondo economico veneto, le piccole-medie imprese, le esportazioni, i necessari miglioramenti. Il punto di vista della professoressa Bettina Campedelli docente di Economia Aziendale all'Università di Verona.
Bettina Campedelli è Professore Ordinario di Economia aziendale all'Università di Verona. Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali per l’ateneo scaligero, tra i quali Presidente del Nucleo di Valutazione (2004-2006) e Pro Rettore Vicario (2006-2012). Autore di più di 130 scritti tra monografie, articoli su rivista scientifica, parti di libro e lavori divulgativi, sui temi di accountability, auditing e sistema dei controlli di compliance nelle imprese, pianificazione e controllo di gestione nelle imprese, misurazione delle performance e reporting nel Non Profit e nella Pubblica Amministrazione, international e comparative accounting, business history.
Professoressa, lo sviluppo dei Paesi dell’Asia centrale, ad iniziare dallo stesso Uzbekistan, che negli ultimi anni fa registrare tassi di crescita del Pil del 5%, può essere intercettato, a suo parere, dalle imprese veronesi e venete?
Certamente sì. Nonostante l’export veronese abbia mercati consolidati di destinazione soprattutto nell’area UE, negli ultimi anni si è assistito ad uno sforzo notevole di ampliamento che ha dato buoni risultati in paesi fino a poco tempo fa ritenuti inaccessibili. Tra l’altro, parlando dell’Uzbekistan, trovo particolarmente stimolante per le nostre imprese il modello di parco tecnologico che il paese ha adottato, che rivela una visione nettamente rivolta ad attrarre investitori stranieri. Non va dimenticato, poi, come il rapporto Doing Business pubblicato dalla Banca mondiale già nel 2020 definiva l’Uzbekistan come una delle economie che hanno fatto maggiori progressi nella facilità di fare affari.
Quali i settori che offrono le maggiori opportunità?
Credo siano i settori con un maggior contributo tecnologico e di competenze distintive che qualificano l’imprenditoria italiana nel mondo. Ovviamente in primis meccanica strumentale, chimica e farmaceutica, ma non sottovaluterei le potenzialità di produzioni destinate al consumo quali tessile, pelletteria, gioielleria. Inoltre, la vocazione agricola del paese rende a mio parere interessante anche l’export di know how atto a far evolvere le produzioni locali in termini di capacità di creare valore e, nondimeno, di attivare positive esperienze di economia circolare.
Le imprese venete e veronesi in particolare sono caratterizzate, nonostante una dimensione aziendale “medio-piccola”, da una forte propensione all’export, secondo lei, da dove deriva questa capacità?
La propensione all’export credo sia storicamente nel DNA delle nostre imprese. Tuttavia, il dinamismo del tessuto produttivo delle PMI, testimoniato dal forte incremento di produttività del lavoro registrato nell’ultimo decennio, si è riflesso anche in un miglioramento della competitività sui mercati internazionali, tra l’altro sostenuta anche da un rafforzamento della struttura finanziaria e da livelli di indebitamento piuttosto contenuti. Va detto poi che le imprese di dimensione più ridotta, che esportano valori minimi se non nulli, hanno comunque un impatto indiretto sull’export totale. Esse sono infatti spesso funzionali alle vendite all’estero delle medie e delle grandi imprese data la loro forte integrazione nell’ambito delle filiere domestiche attraverso le reti di fornitura.
Dove agire per migliorarla? Serve un maggior contributo dal Sistema Paese o è necessaria una diversa organizzazione delle stesse imprese, si parla della creazione di un manager specifico dedicato all’export.
Le nostre imprese, fortunatamente, non sono avvezze a miglioramenti indotti dall’intervento pubblico anche se, indubbiamente, ci sarebbe spazio per interventi a sostegno della competitività internazionale. Credo che la necessità più urgente sia legata ad uno strutturale deficit di managerializzazione delle nostre PMI. Questo però non può essere risolto con l’esclusivo inserimento di una figura dedicata all’export. Il termine managerializzazione è molto più ampio: significa delineare un assetto organizzativo adeguato alle sfide che l’impresa vuole affrontare, significa sviluppare competenze di pianificazione e controllo del business, anche e soprattutto in condizioni di marcata volatilità dei mercati e di instabilità degli equilibri economici internazionali, significa far evolvere le competenze aziendali dalle capacità artigianali, che non debbono essere perdute, in capacità manageriali.
A suo parere l’immagine delle imprese veronesi sul piano dell’innovazione e del dinamismo sui mercati internazionali è positiva?
In questi casi più dei pareri parlano i risultati: i dati ci dicono che con 7,8 miliardi di esportazioni nel I semestre di quest’anno il sistema veronese supera la media veneta (+3,2%) e nazionale (+4,2%) con un +5,9% rispetto al I semestre 2022.
Qual è “lo stato di salute” del rapporto tra imprese e università, in particolare a Verona?
Il rapporto tra università e mondo delle imprese è indubbiamente migliorato rispetto al passato – e Verona rientra in questo giudizio – anche grazie all’incentivazione della cosiddetta terza missione che, negli ultimi anni, ha caratterizzato la politica universitaria del Paese. Tuttavia, a mio parere, potrebbe essere amplificato il contributo che i ricercatori, non solo junior, sono in grado di apportare soprattutto in termini di competenze, avendo cura di agevolare, cosa che oggi non avviene, una loro presenza attiva e strutturata nella vita aziendale.
Quali ritiene siano le sfide più importanti, sul piano formativo, che lUniversità deve vincere per sostenere lo sviluppo economico?
La formazione universitaria è molto cambiata anche rispetto ad un recente passato e l’offerta formativa è ampia e diversificata. Credo che la sfida più difficile sia quella di riuscire ad abbinare nei percorsi formativi una base culturale che renda i giovani in grado di affrontare con spirito critico e capacità innovativa la complessità e il cambiamento costante del mondo con una formazione tecnica, specifica e costantemente aggiornata alle necessità applicative, che ogni professione richiede.