Un articolo di: Paolo Deganutti

Via del cotone contro Via della seta, la preminenza dell'Asia centrale negli sviluppi economici futuri e l'opportunità di rimettersi al centro delle grandi rotte commerciali abbandonando le esigenze miopi dell'Occidente a guida statunitense

Il Rimland è la fascia costiera che, disegnando una mezzaluna crescente che va dal Mar Baltico a Suez, passando per Gibilterra, comprende la gran parte dei Paesi europei

Il termine “Rimland” (Terra – bordo) è stato creato negli anni ’30 del secolo scorso dal geopolitico statunitense Nicholas John Spykman. Esso definisce la fascia costiera che, disegnando una mezzaluna crescente che va dal Mar Baltico a Suez, passando per Gibilterra, comprende la gran parte dei Paesi europei, nonché i popoli e gli Stati più ricchi di risorse e che nel corso della storia hanno tentato l’assalto al potere mondiale e dunque il raggiungimento dell’egemonia (Svezia, Francia Napoleonica e Germania prima guglielmina e poi nazista).
Nel 1904 il britannico Halford Mackinder, considerato uno dei padri fondatori della geopolitica, aveva coniato il termine “Heartland “ (Terra – cuore) per definire la zona centrale dell’Eurasia. 
I due geopolitici hanno molto influenzato i decisori dei reciproci imperi, prima quello inglese e poi l’americano, rendendoli consapevoli che la maggiore minaccia dal punto di vista geopolitico sta proprio nell’unione tra Heartland e Rimland, ovvero l’integrazione dell’Eurasia che comporterebbe quasi automaticamente anche l’integrazione dell’Africa, rendendo l’emisfero occidentale e l’Oceania geopoliticamente periferici rispetto al continente centrale del mondo: l’Eurafrasia quella che Mackinder chiamava “Isola Mondo”.
Uno dei falchi dell’era della Guerra Fredda, Zbigniew Brzezinski, nel suo famoso libro “The grand chessboard: American primacy and its geostrategic imperatives” (1997) ha affermato: “Il modo in cui l’America “gestisce” l’Eurasia è fondamentale”.

Gli Stati Uniti vogliono impedire la nascita del temutissimo “Triangolo Pechino, Mosca, Berlino”

L’Eurasia infatti con cinquantacinque milioni di chilometri quadrati di terraferma copre circa il 37% della superficie totale delle terre emerse del pianeta con circa il 75% della popolazione mondiale. In America (compreso il Sudamerica) la popolazione è circa il 13% di quella globale.
Il PIL dell’Eurasia è circa il 65% del PIL mondiale (Asia 48%, Europa 17%) in crescita, mentre quello degli USA è stabile intorno al 18%.
La maggior parte della ricchezza fisica mondiale si trova in Eurasia, sia nelle sue imprese sia nel sottosuolo dove vi sono circa tre quarti delle risorse energetiche conosciute al mondo, delle “terre rare” e delle materie prime indispensabili allo sviluppo industriale e tecnologico.
Impedire la saldatura economica e politica tra Rimland e Hearthland dell’Eurasia è dunque un imperativo strategico per l’Egemone mondiale che ha teso a giocarsi il Rimland e le sue contraddizioni contro l’Herthland.
Come scrive Seth Cropsey sul numero di aprile di Limes: “L’America è impegnata in un’aspra lotta per il controllo dell’Eurasia, che finirà con un vincitore.“

Dalla fine della Guerra Fredda venne ripresa la tesi di Spykman secondo cui gli Stati Uniti devono tendere a mantenere divisa la fascia che circonda il continente eurasiatico (il Rimland) in modo che non cada sotto l’egemonia della Germania in Occidente e della Cina in Oriente. Per impedire la nascita del temutissimo “Triangolo Pechino, Mosca, Berlino” che segnerebbe la fine dell’egemonia americana che ha prosperato, come gli egemoni precedenti, sulla creazione di blocchi, sulla divisione delle regioni, sulla creazione di zone di frantumazione e conflitto e costruendo cinture di barriera: “Keeping Rimland on fire -Mantenere il Rimland in fiamme”. Ora si aggiunge la diffusione della paura dell’ascesa di nuove potenze eurasiatiche “autocratiche”, in modo da mantenere lo status quo.
Di fronte alle immense potenzialità eurasiatiche non c’è da stupirsi se alcune delle principali potenze dell’Eurasia come Cina, Russia e mondo turco stiano lavorando attivamente per collegare il continente attraverso un sistema di rotte terrestri e marittime, di cui un esempio sono le “Nuove Vie della Seta”.

 

Le nuove vie della seta secondo Pechino

Gli Stati uniti e i loro satelliti cercano di destabilizzare varie zone del Rimland

E non c’è da meravigliarsi se gli Stati Uniti e i loro satelliti tentano di impedirlo destabilizzando varie zone del Rimland: dall’ Est europeo al Medio Oriente e Suez. Perfino utilizzando strategici sabotaggi dinamitardi come quello al gasdotto Nord Stream che forniva energia a basso costo al sistema industriale della Germania, ora conseguentemente caduto crisi.
Gli sviluppi della scienza e della tecnologia, in particolare nel campo delle infrastrutture e delle scienze dei materiali, hanno reso possibile il superamento delle sfide fisiche e geografiche, abbattendo le barriere strategiche. 

Trieste, porto franco internazionale e porta di accesso alla Mitteleuropa dal Mediterraneo, per sua disgrazia e (forse) futura fortuna, si trova in un punto strategico del Rimland e da oltre un secolo risente immediatamente delle perturbazioni geopolitiche che lo attraversano.
La sua funzione di porto “gate” per l’Europa centrale sulla rotta di Suez lo aveva fatto scegliere come terminale della “Via della Seta Marittima” promossa dalla Cina con rilevanti investimenti infrastrutturali. Era uno degli argomenti del “Memorandum d’intesa” tra Italia e Cina firmato il 19 marzo 2019.
Naturalmente questo non andava bene agli Stati Uniti che invece considerano il porto giuliano come funzionale alle loro vicine basi militari di Aviano e Vicenza, nonché strategico per la logistica militare centroeuropea. Il loro intervento, pesante anche se tardivo a riprova di una certa inefficienza d’intelligence, ha fatto abbandonare il progetto: l’Italia ha ritirato la sua adesione alle “Nuove Vie della Seta” nel dicembre del 2023.
Nel settembre 2023 durante il G20 l’Italia ha invece aderito all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC) detto anche “Via del Cotone” per sottolinearne l’opposizione alla “Via della Seta”. Il sito della Casa Bianca parla in modo entusiasta dell’ iniziativa che è inserita nella Partnership for Global Infrastructure Investment (PGII), un ambizioso e fumoso progetto voluto dal governo americano per connettere l’India al Medio Oriente e quindi all’Europa attraverso una rete di porti, ferrovie e cavi sottomarini. 
 Il corridoio che comprenderebbe India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Israele e Unione Europea, contribuirebbe a stimolare il commercio, garantire risorse energetiche e migliorare la connessione digitale, contribuendo nel contempo a normalizzare le relazioni tra Israele e Stati del Golfo. Purtroppo un mese dopo la firma il Medio Oriente è stato travolto dalla guerra a Gaza mentre la normalizzazione dei rapporti di Israele con i vicini arabi è saltata in aria insieme agli “Accordi di Abramo” propiziati da Washington: ormai l’ipotesi di realizzare una ferrovia nel deserto tra l’Arabia Saudita e il porto israeliano di Haifa appare come un sogno velleitario.
Nonostante la situazione in Medio Oriente peggiori sempre di più, a Trieste recentemente sono giunti degli emissari statunitensi con la proposta di fare dell’IMEC “Via del Cotone” un cardine dello sviluppo del Porto giuliano: si fanno riunioni in loco e oltreoceano mentre si programmano convegni per la prossima primavera con la presenza d’importanti personaggi politici internazionali.
Lo slogan è quello dei “Tre Porti: Mumbay, Dubai, Trieste” (passando per Haifa) cui collegare un altro terzetto di porti europei “Trieste, Danzica e Costanza” realizzando così il Trimarium: un progetto d’interconnessione dei mari Baltico, Nero e Adriatico per consolidare e rafforzare una linea di fronte di contenimento Nord – Sud della Russia tra Danzica e Odessa, lungo l’Istmo d’Europa, con Trieste come retrovia logistica. L’evidente e dichiarato scopo principale è quello di rafforzare il fianco orientale della NATO con infrastrutture a “dual use” civile / militare.
Pur essendo stato progettato da una decina d’anni, il Trimarium finora non ha fatto molti progressi soprattutto perché mancano fondi: gli Stati Uniti pensano di far realizzare questo genere d’infrastrutture, a basso interesse commerciale, a spese degli “alleati” utilizzando finanziamenti delle europee Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo – BERS e Banca Europea per gli Investimenti – BEI. 
Ci sono però seri dubbi sulla possibilità dell’UE di sobbarcarsi questi grandi investimenti dal momento che dovrà farsi carico dei circa mille miliardi necessari alla ricostruzione dell’Ucraina dopo che la guerra Russo – Americana sul suolo ucraino finalmente finirà: gli Stati Uniti, principali fornitori di armi, hanno già chiarito che non si faranno carico dei costi della ricostruzione.
Bisogna tener presente che gli Stati Uniti, promotori del progetto Trimarium, cui sono interessati per motivi strategici e non commerciali, l’hanno finora finanziato con solo trecento milioni: una cifra irrisoria se consideriamo che la Francia per le sole Olimpiadi di Parigi ha speso sette miliardi.
Il Trimarium sa di “fuffa” sul piano economico: un’operazione con cui l’egemone mondiale vuole farsi pagare dai suoi satelliti nuove infrastrutture strategico – militari.
Il porto di Trieste ha già da tempo collegamenti ferroviari commerciali con il Baltico e in particolare con il porto tedesco di Kiel che anticipano il “Corridoio Adriatico – Baltico” della UE, mentre collegamenti terrestri diretti con il porto di Costanza in Romania dovrebbero attraversare gli inquieti Balcani e la Serbia: con quale vantaggio economico?

Eurasia

La Via del Cotone dovrebbe attraversare territori destabilizzati da aspri conflitti

Analogo sentore di “fuffa” economica si ha sentendo parlare di IMEC – Via del Cotone che dovrebbe attraversare territori completamente destabilizzati da aspri conflitti e che tali resteranno per decenni visto la carica di odio che si sta accumulando. Inoltre finora non si sono instaurati grandi corridoi commerciali tra India ed Europa basati su un reale interesse degli operatori: la produzione industriale appare, al momento, inadeguata a sostenere i grossi flussi necessari a finanziare infrastrutture così rilevanti.
S’ipotizza, o meglio si sogna, che in breve tempo merci transitanti per 2.500 km nei territori arabi desertici potranno essere serenamente imbarcate nel porto israeliano di Haifa, nonostante i macelli che lì avvengono, con il determinante contributo del principale alleato occidentale nell’area (Israele) e senza che gli Stati Uniti riescano, o vogliano, fermarli.
Dopo che gli USA durante oltre otto mesi d’intervento della Marina Militare hanno dimostrato di non poter, o voler, ripristinare le rotte nel Mar Rosso per Suez, nonostante il ruolo di garanti dei traffici marittimi mondiali auto-attribuitosi. 
Sono passati ormai dal “destino manifesto” di egemone mondiale e garante delle rotte marittime al “declino manifesto”.
Quando i Balcani sono stati destabilizzati dalle Guerre Jugoslave degli anni ’90, con tanto d’intervento NATO contro la Serbia, i grandi camion TIR hanno smesso di risalirli per collegare l’Asia Minore all’Europa. Allora è nata l’“autostrada del mare” tra la Turchia e Trieste, dove sui traghetti venivano imbarcati i semirimorchi che venivano riagganciati alle motrici una volta arrivati a Trieste per poi proseguire per l’Europa Centrale.
Oggi, trent’anni dopo, la rotta balcanica dei TIR non è ripresa e l’“autostrada del mare” è cresciuta molto: i semirimorchi proseguono da Trieste in gran parte per ferrovia, e le merci turche rappresentano più della metà di quelle in transito nel porto triestino. 
Come si pensa, invece, di poter pacificare e rendere rapidamente praticabile un percorso terrestre nei paesi arabi con sbocco a Haifa in Israele, quando nonostante l’intervento militare occidentale nel Mar Rosso non si è stati capaci di ripristinare la normalità dei vitali traffici via Suez?
Inoltre il percorso dell’ IMEC-Via del Cotone propugnato dagli Stati Uniti taglia fuori la Turchia, potenza regionale in forte ascesa, che ha immediatamente reagito con le pesanti dichiarazioni di Erdogan:“L’ho detto chiaramente e lo ripeto: senza la Turchia non si fa nessun corridoio”, “La Turchia è un importante centro di commercio, la nostra posizione garantisce la linea di collegamento più’ conveniente da est a ovest. Se si vuole collegare il Golfo Persico con l’Europa la Turchia rimane la via più logica”.
Guardando una cartina geografica non si può che dargli ragione.

Il percorso che la Turchia propone per collegare l’ India all’ Europa prevede, con l’ approvazione di Emirati e Quatar, la costruzione di una linea ferroviaria a doppio binario lunga circa 1.200 chilometri, in territori abitati e affiancata da un’autostrada, che collega i porti turchi con il porto di Al-Faw, nella provincia irachena di Bassora, mentre il piano americano prevede una ferrovia di circa 2.500 chilometri nel deserto e in un’ area destabilizzata tra Dubai (o altri porti sauditi) e Haifa.
Allargando poi lo sguardo all’ intera Eurasia si scopre che i paesi turcofoni legati saldamente alla Turchia rappresentano il centro del continente.
L’Organization of Turkic States – Organizzazione degli Stati Turchi – OTS comprende Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan, nonché la Turchia: territori vastissimi da sempre solcati dai percorsi commerciali tra Oriente ed Europa e ricchi di risorse: il Kazakistan è il più grande esportatore mondiale di uranio e tutta l’ area è ricca di idrocarburi. L’OTS ha attualmente come osservatori ovviamente il Turkmenistan, Cipro del Nord (a significare la forte proiezione mediterranea della Turchia che ha affermato la sua egemonia anche a Tripoli sulla costa libica) e, sorpresa per gli europei, anche l’ Ungheria, di cui spesso di dimentica che parla una lingua di ceppo ugrofinnico affine al turco e non indoeuropea. 
Se si considerasse con maggiore attenzione l’ affinità al mondo turco dell’Ungheria si comprenderebbe meglio la sua politica estera altrettanto affine a quella turca che sta mietendo riconosciuti successi: non schieramento e mediazione nel conflitto Russo – Americano in corso in Ucraina, prevalenza dell’ interesse nazionale sulle agende dettate dagli alleati (anche NATO), grande spregiudicatezza diplomatica, attenzione alle dinamiche centro-asiatiche. 
Tutte cose che, come i recenti viaggi di Orban in Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti alla ricerca soluzioni pacifiche alla crisi ucraina, vengono stigmatizzate da parte della UE come tradimenti della fedeltà all’ Occidente (ovvero NATO cui pur aderiscono).
Non è un caso che nel XIX secolo tra Turchia, Ungheria e Germania, ad opera di intellettuali magiari e ottomani, sia nato il Turanismo: un’ideologia che si propone l’unione e il “rinascimento” di tutti i popoli turanici, ovvero ugro-finnici, turchici e mongolici.
Questa ideologia, il cui nome deriva dal nome geografico del “Bassopiano Turanico”, posto tra gli attuali stati di Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan considerato culla delle popolazioni uralo-altaiche, è ancora molto presente nell’Asia minore e centrale (e non solo) e ispira Erdogan più del neo-ottomanesimo e dell’islamismo da “fratello mussulmano” cui viene spesso associato.

Collegamento India-Europa: via del Cotone (rosso) VS. l'alternativa, proposta della Turchia (giallo)

L’Occidente a guida americana ha una visione del mondo erronea e semplificata

Ma lo studio di queste cose e della Storia è snobbato dalla visione semplificata, ed erronea, che l’ Occidente a guida americana ha del mondo: da questa voluta ignoranza derivano le sempre più frequenti dolorose cantonate statunitensi e le fughe precipitose (Afganistan, Iraq ecc.) con annessa drammatica perdita di credibilità e capacità di deterrenza.
L’ ampia area “turcofona” dell’ Asia Centrale, che si spinge fin dentro la Cina con la regione dello Xinjiang e dentro l’ Europa con l’Ungheria, è in fase di espansione economica ed è solcata da molteplici iniziative infrastrutturali, non solo logistiche ma anche energetiche e informatiche, che puntano alla connessione tra Estremo Oriente, Asia centrale, subcontinente indiano, Golfo Persico ed Europa non solo in senso est-ovest ma anche nord-sud. Ad esempio anche l’ India caldeggia corridoi nord-sud che attraversino l’ Afganistan per collegarsi ai principali corridoi est-ovest come il Titr (Trans Caspian International Transport Route) che arriva ai porti turchi, o nord sud come l’ Instc (International North South Transport Corridor) che si spinge dentro la Federazione Russa.

Vi è un forte impegno politico di tutti gli attori dell’ area a mantenere pace e stabilità per favorire scambi e sviluppo economico.
L’impegno a far barriera contro conflitti, caos e guerre nell’Asia centrale è stato fortemente ribadito nella riunione del 4 luglio scorso ad Astana, modernissima capitale del Kazakistan, della SCO (Organizzazione per la Collaborazione di Shanghai) che accomuna Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Bielorussia e cui ha partecipato anche Erdogan per la Turchia. La SCO comprende la gran parte dell’ Eurasia che non vuole conflitti al suo interno.

A questo punto sorge una domanda riguardante Trieste che è già efficacemente collegata con la Turchia suo principale partner portuale, e che ospita anche il terminal ungherese sul Mediterraneo: “Che utilità ha per il porto triestino, schierarsi drasticamente sostenendo una improbabile IMEC – Via del Cotone, concepita negli Stati Uniti come antagonista agli interessi delle principali potenze eurasiatiche?”
Vista la forte crescita della forza geopolitica della Turchia, premiata dalla sua scelta di sostanziale neutralità e mediazione, sia in Asia Centrale sia in Africa, sia nel Mediterraneo con linee di forza che si estendono nell’ area tra la costa turca e quella libica passando per Cipro: “Non sarebbe più conveniente per Trieste un atteggiamento neutralista e non schierato, confacente allo status di Porto Franco Internazionale derivato dal Trattato di Pace di Parigi del 1947 sottoscritto da oltre quindici stati tra cui le principali potenze eurasiatiche Cina e Russia?”
Lo sviluppo di connessioni tra India ed Europa è cosa buona e giusta come tutte le nuove connessioni, soprattutto in prospettiva futura, ma dovrebbe essere perseguita in accordo con gli interessi di tutti gli stati del continente eurasiatico seguendo percorsi individuati con il concorso di tutti ed evitando la contrapposizione. 
Perché rifiutare a priori la proposta turca, che come abbiamo visto passa attraverso l’ Iraq, e intestardirsi invece su un percorso che coinvolge territori problematici segnati da gravi conflitti come Israele e i territori arabi vicini?
L’ India, al contrario della Cina, non ha ancora un apparato industriale in grado di produrre grandi flussi di merce con l’ Europa, tuttavia è in forte crescita in un settore nuovo: l’ elaborazione dati e l’ informatica. E’ un hub mondiale da cui partono cavi sottomarini e terrestri per la trasmissione di dati e software che generalmente raggiungono l’ Europa attraverso Suez, il Mediterraneo occidentale e il Tirreno spesso atterrando al porto di Marsiglia che ormai trae la maggior parte dei suoi utili non dal flusso di merci ma dal flusso di dati. Lungo l’ Adriatico invece non passano cavi importanti.
Anche l’ IMEC, Via del Cotone progetta cavi con lo stesso percorso delle merci fino a Haifa: tuttavia non prevede cavi sottomarini lungo l’ Adriatico fino al porto di Trieste.
Blue & Raman è un progetto per un cavo sottomarino in fibra ottica che, una volta realizzato, dovrebbe collegare l’India all’ Europa, passando per l’Oceano Indiano, la Penisola Arabica, Israele e il Mediterraneo Occidentale per raggiungere le coste europee sul lato tirrenico, ovviamente tagliando fuori il lato Adriatico e Trieste.

Eppure Trieste ha una carta importante da giocare per rendere vantaggioso l’ atterraggio nel suo porto: l’oleodotto transalpino TAL-Siot che dopo un percorso di 750 chilometri arriva in Baviera nel cuore dell’ Europa. 
Ebbene, la società che lo gestisce sta già studiando come affiancare il lungo tubo con cavi dati che passerebbero su un percorso già tracciato, sicuro ed efficacemente sorvegliato.

Inoltre Trieste, che vanta già la più alta densità mondiale di ricercatori scientifici grazie all’ Area di Ricerca, il Sincrotrone Elettra e il Centro di Fisica Teorica, assicura il miglior ambiente per lo sviluppo per i centri di elaborazione dati e le aziende di informatica che normalmente s’insediano nei porti di atterraggio dei cavi sottomarini e che qui potrebbero godere anche dei vantaggi dello speciale regime di Porto Franco (energia defiscalizzata a costo più basso, esenzioni doganali e fiscali ecc.).
A febbraio in un convegno a Trieste la società Open Fiber che si occupa di infrastrutture di rete in fibra ottica ha proposto di usare lo scalo giuliano come punto di passaggio del traffico destinato ai grandi server europei, lamentando però problemi di finanziamenti.
Chissà se ci si renderà conto che il futuro del Porto Franco Internazionale di Trieste può essere diverso dalla mera logistica e soprattutto dalla logistica militare al servizio delle strategie NATO che lo ridurrebbe al poco invidiabile rango di bersaglio militare legittimo.

Giornalista, scrittore

Paolo Deganutti