Washington, New Dehli e Pechino dispongono delle maggiori economie e dei maggiori eserciti a livello globale. E sono molto più interconnesse di quanto vorrebbero far credere. Che cosa cambia nei rapporti con Cina e India con l'arrivo di The Donald
Trump e Modi hanno tutto da guadagnare l’uno dall’altro, la Cina ha una sua politica estera ed economica che prescinde da tutto il resto
Una triangolazione destinata a segnare l’economia, la politica ed altri ambiti internazionali quella che vede Stati Uniti, India e Cina ai tre vertici, dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Una triangolazione che viaggia in ogni direzione da ogni vertice verso l’altro perché, in definitiva, i tre Paesi sono molto più interconnessi di quello che le dichiarazioni, le alleanze, le posizioni e le politiche su diversi argomenti possano lasciar pensare.
A cominciare dal fatto che India, Stati Uniti e Cina rappresentano le maggiori potenze economiche e militari del mondo, hanno in mano i destini del globo dal punto di vista militare, economico e sulle tematiche ambientali, che si riverberano anche sullo sfruttamento delle risorse, le nuove tecnologie, la vita quotidiana di chi vive a Kathmandu come a Pretoria a Los Angeles o a Canberra.
Insomma, un triangolo che è destinato a incidere non poco sulle vite future di tutti noi che dipendiamo anche, direttamente o indirettamente, dalle scelte di ognuno degli occupanti i vertici.
Tra i primissimi che hanno chiamato Donald Trump per complimentarsi per la vittoria elettorale, c’è sicuramente Narendra Modi. L’uomo forte di New Delhi è legato da anni all’uomo forte della Casa Bianca. La stessa visione sui migranti ma, soprattutto, un’alleanza (anche se su questo tema le visioni sono lievemente difformi) in chiave anti cinese, fa dei due presidenti una coppia affiatata.
Trump e Modi hanno tutto da guadagnare l’uno dall’altro. L’India da decenni si sta accreditando come una alternativa valida alla ex fabbrica del mondo, quella Cina dove lo sviluppo insostenibile degli anni passati e una leadership particolarmente stringente e asfissiante, ha provocato un aumento dei prezzi che rendono difficile anche la vita locale di aziende internazionali che pure nel paese del dragone in passato avevano una presenza importante.
Anche l’India è cresciuta, ma a ritmi più lenti e, in un’accezione molto allargata e annacquata del termine, “sostenibile”. Spesso proprio in chiave anti cinese.
Certo, se Trump andasse avanti con il suo piano annunciato dell’imposizione di dazi, anche l’India dovrebbe patirne. Ma spera di rientrare in un ristretto cerchio di paesi che possano avere una agevolazione rispetto a questi. Dopotutto, New Delhi ha già sfruttato la linea di credito per l’approvvigionamento militare da Mosca, della quale è alleata. Non ha infatti partecipato alle sanzioni chieste da Biden.
L’India, sin dalla sua fondazione, si è distinta per non allineamento: per questo più che di alleanza si deve pensare ad un partenariato con gli americani, che porti benefici a tutti. New Delhi spera anche che Trump possa ridimensionare il suo nemico storico, il Pakistan, anche in chiave anti terrorismo. Inoltre, la presenza dell’India nei BRICS è per Trump fondamentale, perché gli offre una sponda, un ponte nei confronti di Paesi distanti o addirittura nemici. Basti pensare ai rapporti con l’Iran.
La Cina è la vera scommessa. A Xi Jinping, a chi lo ha preceduto e a chi lo seguirà, interessa poco chi siede dentro lo Studio Ovale di Pennsylvania Avenue. La Cina ha una sua politica estera ed economica che prescinde da tutto il resto. Anzi: ha sempre occupato spazi lasciati o trascurati dai Paesi occidentali. Basti pensare alla presenza cinese in Africa dalla quale sta drenando risorse soprattutto minerarie. Oppure ai posti occupati in Medioriente o, addirittura, nei vicini di casa degli americani. Già perché i cinesi si sono impegnati da anni in una possente opera di sostegno all’arcipelago delle Bahamas. Dove, in cambio di infrastrutture (strade, alberghi, edifici, palazzetti e stadi per lo sport, anche casinò), ha avuto licenze di sfruttamento per la pesca e si è assicurata il luogo più vicino alle coste americane da dove ascoltare e monitorare. E lo ha fatto con ogni amministrazione americana.
Non cambierà molto sul fronte orientale… i dazi hanno controindicazioni per tutti
Dazi ai cinesi significa darsi la zappa sui piedi. Al momento l’economia americana e la sua supply chain non sono totalmente strutturate per sopperire alla mancanza di componenti provenienti dal paese del dragone. Certo, Taiwan dal punto di vista tecnologico è fondamentale, ma le manovre militari cinesi nello stretto ed una sua eventuale occupazione, difficilmente porteranno gli americani ad uno scontro diretto con Pechino. Dopotutto, non dimentichiamocelo, oltre ad un possente esercito, i cinesi detengono il grosso del debito americano. Se Pechino decidesse di liberarsene, l’economia a stelle e strisce crollerebbe. E questo Trump, al netto delle dichiarazioni protezionistiche, lo sa bene.
Senza contare le differenti visioni ambientali, legate allo sfruttamento delle risorse fossili. Trump, come Modi, è alfiere dell’uso dei carburanti fossili, mentre il grosso delle tecnologie e degli strumenti che portano energia alternativa a quella fossile arriva dalla Cina. Anche su questo bisognerà discutere e limare le diverse posizioni. Certo, il neo inquilino della Casa Bianca non vuole fare un torto al suo amico e sostenitore Elon Musk sul fronte delle auto elettriche, per cui farà di tutto per limitare le importazioni di questi veicoli dalla Cina. Ma è impensabile che la sola Tesla possa sopperire alla domanda di queste vetture negli Stati Uniti.
Dopotutto, scontri commerciali e tariffari sono stati già evidenziati nella passata amministrazione Trump sia nei confronti dell’India che della Cina, e questo non ha creato né eccessivi dissidi né problemi né interruzione di rapporti.
In buona sostanza, quindi, non cambierà molto sul fronte orientale. Trump imporrà dazi, ma dovrà pagare dazio internamente e subire ritorsioni economiche da Pechino. Quanto tutto questo sia sostenibile e possa durare è difficile dirlo. Certo è che in questo gioco a braccio di ferro, gli unici a vincere sono solo le teorie politiche nazionaliste dei leader dei tre Paesi.