Un articolo di: Redazione

Nel Paese incastonato tra il Mar Nero e il Mediterraneo la corsa dei prezzi al consumo non ne vuole sapere di fermarsi. La Banca centrale turca ha varato una nuova, ma di certo non l’ultima, stretta monetaria, alzando il tasso di riferimento al “fantastico” 30 per cento

L’inflazione galoppante in Turchia – il 22 di settembre 20223 il tasso ha varcato la soglia “psicologica” del 60% annuo – ha spinto il nuovo governatore della Banca centrale turca, Hafize Gaye Erkan, ad annunciare una nuova stangata: Türkiye Chumhuriyet Merkez Bankasi (TCMB) come nel Paese si chiama l’Istituto centrale, ha aumentato il 21 settembre scorso per il quarto mese consecutivo il principale tasso di interesse di riferimento, portandolo dal 25% al 30%, con un incremento di 5 punti e il livello più alto dal 2003.
La signora Gaye Erkan, con una lunga esperienza di lavoro presso Goldman Sachs, First Republic Bank e la società di consulenza finanziaria globale Marsh McLennan (rientra nella prestigiosa lista Fortune 500) ha sottolineato che la decisione drastica è stata presa dopo le “consultazioni” e con “un’esplicita approvazione” del presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan.
In una nota speciale la TCMB ha anche annunciato che la politica delle strette monetarie “sarà gradualmente rafforzata” nella misura necessaria e fino a quando non sarà raggiunto un “significativo miglioramento” nell’ambito della “pressione inflazionistica”. Vale a dire che il tasso di riferimento sarà determinato in modo tale da fornire all’economia turca condizioni monetarie e finanziarie in grado di ridurre il trend dell’inflazione e raggiungere l’obiettivo strategico del 5% all’anno nel medio termine di tempo.
La nuova stretta monetaria di Ankara ha messo la società turca in stato di agitazione. Malgrado le smentite delle autorità, nel Paese circolano voci molto insistenti riguardo alla prossima messa in circolazione di banconote da 500 e addirittura da 1.000 lire. Sui social sono stati pubblicati dei “campioni”, evidentemente falsi, delle nuove banconote “pesanti”.
Parallelamente la stampa turca ha pubblicato delle notizie, sempre non confermate dal Governo, secondo cui la TCMB “potrebbe mettere in circolazione delle monete nuove del valore di 5 e di 10 lire”. Le monete sono ancora utilizzate nel Paese, ma di fatto il reale potere d’acquisto lo ha conservato soltanto la moneta da una lira. Le monete “piccole”, da 1, 5, 10, 25 e 50 “kuruş” (centesimi) non sono più usate neanche dalle massaie durante la spesa quotidiana.
Alcuni noti economisti turchi hanno dichiarato di essere favorevoli alla messa in circolazione nel Paese delle banconote di grossi tagli. L’idea è stata ampiamente appoggiata anche dalla popolazione che, parallelamente alle carte bancarie, continua a utilizzare ancora molto ampiamente il denaro in contanti. Attualmente la banconota più grande è quella da 200 lire e vale al cambio attuale (22 settembre) 7,37 dollari. Quando fu messa in circolazione nel 2009 si scambiava con più di 130 dollari.
Uno degli indicatori dell’inflazione galoppante più evidente, sono i prezzi immobiliari, che a Istanbul nel giro di un anno sono aumentati in media del 68 per cento. “Il trend non può non preoccupare”, ha dichiarato Buğra Gökçe, consigliere del Sindaco di Istanbul. E questo perché nel mese di agosto del 2023 nella capitale (5.500 chilometri quadrati e 15 milioni di abitanti) sono state vendute 17.000 abitazioni, ossia il 6% in meno rispetto al medesimo periodo di un anno fa.
Secondo Gökçe “nel 2023 lasciano molto a desiderare” le vendite degli immobili a cittadini stranieri, che su base annua sono diminuite del 42%. La trojka dei principali clienti dell’industria del mattone della Turchia è composta dalla Russia, dall’Iran e dal Kazakhstan.
“Non c’è bisogno di essere un esperto – spiega Zhanna Özdemir, direttore di un’agenzia immobiliare ad Alanya, una città balneare del sud del Paese – per capire che tra le ragioni principali del calo delle vendite delle abitazioni agli stranieri c’è stato il giro di vite delle autorità turche, che hanno limitato all’osso il rilascio dei permessi di soggiorno specie nei quartieri popolari tra gli expat”. Dal punto di vista dei residenti stranieri “negli ultimi anni la Turchia è diventata un Paese molto costoso e poco accogliente”.
Le aziende dell’industria edilizia turca suonano l’allarme: molti cantieri sono stati congelati. Gli stranieri rinunciano alle abitazioni nuove, scegliendo invece quelle sul mercato immobiliare dell’usato, che offre delle superficie abitabili più vaste a prezzi uguali o addirittura inferiori rispetto alle case e agli appartamenti nuovi di zecca.
In questa situazione estremamente difficile per l’economia turca, il 19 settembre 2023 è stato raggiunto un accordo tra Ankara e Riyad, in base al quale l’Arabia Saudita depositerà cinque miliardi di dollari alla Banca centrale di Turchia. Il denaro arriverà dall’Agenzia governativa saudita per lo sviluppo “Saudi Fund for Development (SFD)”. In una nota speciale il Governo di Riyad ha sottolineato, che “aiutare la crescita economica, sociale e anche lo sviluppo sostenibile della Turchia, è tra gli obiettivi fondamentali dell’accordo finanziario”.
Negli ultimi mesi il presidente Erdogan ha rafforzato il lato della sua politica internazionale, volto e restaurare i rapporti di partenariato con i Paesi del mondo arabo. Il 10 settembre a Nuova Delhi a margine del G20, Erdogan ha avuto un lungo colloquio con il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, nel corso del quale le parti hanno espresso un forte desiderio di intensificare gli interscambi economici e commerciali. Le relazioni tra i due Paesi furono interrotte quasi completamente nel 2013, anno in cui al-Sisi (ai tempi ministro della Difesa), guidò la rivolta che rovesciò il Governo dei “Fratelli musulmani”, con a capo Mohamed Morsi, sostenuto dalla Turchia ed eletto dopo la caduta di Hosni Mubarak.

Giornalisti e Redattori di Pluralia

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