Verso COP28, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite. L’Agenzia Internazionale per l’energia (AIE): “Per raggiungere gli obiettivi di ‘net zero’ entro il 2050 la capacità di generazione nucleare globale dev’essere raddoppiata rispetto ai livelli del 2020”.
Sullo sfondo della guerra del Medio Oriente gli occhi del mondo sono puntati sui prezzi del petrolio e del gas, mentre il vero campione dei rincari nel 2023 è stato il cosiddetto “yellowcake”, la torta gialla, come i trader chiamano il concentrato di uranio. A fine novembre 2023 le quotazioni della commodity, utilizzata nella generazione elettrica presso le centrali nucleari in decine di Paesi del mondo, hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 15 anni.
Nel corso del 2023, i futures sull’uranio spinti dall’impennata della domanda, hanno mostrato un’ascesa praticamente ininterrotta e attualmente sono in rialzo di circa il 65% da inizio anno. Questa settimana i contratti della “torta gialla” hanno superato la soglia degli 80 dollari/libbra (454 grammi) per la prima volta dal gennaio 2008. Solo nei tre anni passati il prezzo del minerale di uranio è aumentato di 1,73 volte.
Nel frattempo le autorità di molti Paesi, tra cui l’Italia, stanno cambiando opinione e tornano a considerare l’energia nucleare come fonte energetica cruciale per un “futuro verde” con meno emissioni nocive possibile. Sul piano geopolitico a favorire l’aumento dei prezzi è stato il colpo di Stato in Niger, uno dei maggiori produttori di uranio al mondo, che ha interrotto le spedizioni della preziosa materia prima verso l’Europa.
Negli ultimi dieci anni, in seguito alla catastrofe nucleare di Fukushima, in Giappone, l’umanità ha trattato con diffidenza le centrali atomiche, mentre i prezzi dell’uranio sui mercati internazionali hanno subito un calo, determinando un notevole eccesso di offerta.
Il gas russo è esentato dalle sanzioni occidentali, ma dopo gli attacchi terroristici contro i gasdotti del Baltico “Nord Stream” molti Paesi europei hanno dovuto far fronte alle difficoltà legate all’approvvigionamento di gas esportato dalla Russia. Inoltre la riduzione dell’uso di combustibili fossili e l’apertura verso il nucleare rientra nel concetto della transizione energetica a basse emissioni di carbonio.
L’Agenzia Internazionale per l’energia (AIE) ha dichiarato che “per raggiungere gli obiettivi di ‘net zero’ entro il 2050 la capacità di generazione nucleare globale deve raddoppiare rispetto ai livelli del 2020”.
Come ha scritto l’agenzia d’informazione Bloomberg, la “transizione energetica spingerà ancora di più nel prossimo periodo il prezzo del minerali di uranio e si attendono ulteriori impennate sul mercato”. Anche gli esperti dell’AIE hanno sottolineato che la richiesta “sarà sempre più ampia, perché dopo un periodo di crisi di questa materia prima, ora con la necessità di decarbonizzazione e l’obiettivo ‘net zero’, si rende sempre più necessario il potenziamento delle centrali nucleari come fonte energetica alternativa a quelle rinnovabili”. E questo anche perché con una eccessiva dipendenza dal solare e dalle centrali eoliche, il “prezzo dell’elettricità sta aumentando in continuazione”.Attualmente 443 reattori nucleari generano energia elettrica in 30 Paesi del mondo. Ci sono circa 60 centrali nucleari in costrizione, altre 300 sono in programma.
Il leader incontestato della produzione del minerale di uranio è il Kazakstan, la più grande tra le cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale la cui quota del mercato globale ha raggiunto nel 2023 il 42 per cento.
Oltre al Kazakhstan, tra i più grandi produttori al mondo di uranio ci sono l’Uzbekistan, un’altra repubblica centroasiatica ex sovietica, Paesi africani come il Niger e la Namibia, l’Australia, mentre la Russia si trova al sesto posto.
Non sarà sbagliato affermare che che l’uranio viene considerato nel mondo come nuova forma di investimento per accelerare la decarbonizzazione. Per esempio, in Kazakhstan operano le maggiori società del mondo, dalla canadese Cameco, alla francese Orano, alla russa Rosatom. Per quanto riguarda le previsioni sull’andamento delle azioni delle società-produttrici di uranio, Matthew Langsford dell’agenzia Terra Capital ha dichiarato senza mezzi termini all’agenzia Bloomberg: “Le azioni dell’uranio potrebbero vedere un drammatico rialzo: 50%, 100%, forse di più”.
Tutti sono d’accordo che la domanda continuerà ad aumentare. Mentre molti Paesi europei, in primo luogo la Francia, non hanno mai preso in considerazione l’idea di rinunciare all’energia nucleare, in altri Paesi si registra una rinascita dell’interesse per l'”atomo”: in Germania il 22 di novembre un gruppo di deputati del partito Liberaldemocratico (FDP) hanno presentato una mozione per la riapertura delle sette centrali nucleari dismesse e per la costruzione di nuovi reattori.
Come ha scritto il quotidiano tedesco Die Welt, uno dei deputati, André Thess, professore dell’Università di Stoccarda che studia le tecnologie di accumulo e conversione dell’energia, ha dichiarato tra l’altro che “un approvvigionamento energetico sicuro, economico e rispettoso dell’ambiente per un Paese industrializzato come la Germania può essere raggiunto a lungo termine solo attraverso una combinazione di solare, eolico e nucleare”, ha dichiarato Thess al quotidiano tedesco, sottolineando che “la Germania dovrebbe quindi porre fine al suo sforzo nazionale solitario in termini di energia nucleare e avvicinarsi al nostro partner UE, la Francia, in termini di politica energetica”.
Dall’altra parte del mondo, in Giappone, dopo la catastrofe di Fukushima l’energia nucleare rappresenta solo il 7% delle forniture energetiche del Paese, ma il Governo di Tokio ha varato una strategia per aumentare la sua quota al 20%-22% entro il 2030. Una delle maggiori fonti emergenti di domanda è la Cina, che ha l’obiettivo di costruire entro il 2030 oltre 30 nuovi reattori nucleari.
È ovvio che in una situazione del genere i Paesi produttori vogliono cogliere l’occasione e cercano di aumentare l’output. Ma si tratta di un’impresa ardua. Secondo Bloomberg la maggiore società mineraria Cameco Corp. ha rivisto al ribasso gli obiettivi di produzione a causa di varie sfide nella catena di approvvigionamento in Canada. Secondo i dati del report “Global Uranium Mining to 2026” la Russia dopo aver aumentato l’anno scorso la propria produzione di uranio del 9% rispetto al 2021 (nei cinque anni precedenti il tasso di crescita era stato in media del 2,51%) entro il 2026 rischia di tornare a diminuire del 5,7%. Ciononostante secondo gli esperti internazionali “di fronte a minori volumi prodotti ed esportati, i prezzi in continuo aumento hanno contribuito a far crescere il flusso di dollari nelle casse dello Stato russo”.
Nel 2022, ha annunciato la Energy Information Administration statunitense, la Russia ha fornito all’industria nucleare degli USA il 12% dell’uranio importato, mentre per i Paesi dell’Unione Europea la quota dell’uranio “made in Russia” è stata pari al 17% delle importazioni totali. Ma dopo che le autorità militari del Niger hanno messo al bando le forniture di uranio alla Francia e ad altri Paesi europei la Russia potrà aumentare la propria presenza sul mercato dei materiali fissili del Vecchio Continente. Soprattutto dal momento che l’industria del nucleare russa, dall’estrazione all’esportazione del minerale di uranio, non è stata soggetta neanche minimamente alle sanzioni né dell’Unione Europea, né degli Stati Uniti, né dei Paesi del G7.