Anche l’Egitto vuole vietare TikTok

La piattaforma digitale cinese “corrompe i giovani e minaccia la famiglia”

Essam Diab

Dopo gli Stati Uniti e l’Unione europea che da tempo lottano contro la diffusione della piattaforma digitale cinese TikTok, anche l’Egitto sta considerando la possibilità di mettere al bando il social network per proteggere “i valori e l’integrità della famiglia egiziana”. È questo l’obiettivo della mozione presentata dal deputato della Camera dei rappresentanti del Parlamento egiziano, Essam Diab (nella foto), che accusa la piattaforma di “diffondere immoralità e dissolutezza” tra i giovani. La proposta, indirizzata al primo ministro, Mostafa Madbouly, e al ministro delle Comunicazioni, Amr Talaat, è destinata a generare polemiche nel Paese sulla regolamentazione dei contenuti online. In un post sulla sua pagina Facebook ufficiale, Diab ha spiegato che i video condivisi su TikTok “violano i costumi, le tradizioni e i valori egiziani, corrompono i giovani e minacciano l’integrità e il futuro della famiglia egiziana”.

TikTok è un’applicazione (application, app), arrivata in tutto il mondo dalla Cina, dove fu creata da Zhang Yiming nel settembre del 2016 come una piattaforma di video musicali amatoriali, ma ha poi allargato il suo bacino a tutti i tipi di video brevi. La maggior parte delle creazioni caricate su questo social è in formato verticale, registrata con e per dispositivi mobili.

A dire il vero la mozione di Diab soffia sul fuoco di un dibattito già molto acceso nel Paese nordafricano sull’uso e sulla regolamentazione di TikTok. Ad agosto, Ahmed Badawi, capo della commissione per le comunicazioni della Camera dei rappresentanti del Parlamento egiziano, aveva dichiarato che il Paese “non aveva intenzione di vietare la piattaforma”, annunciando invece l’intenzione di “elaborare una legge per tassare i profitti generati dall’app”. La piattaforma è stata al centro di controversie in diversi Paesi per questioni legate alla sicurezza dei dati, alla privacy e ai contenuti. In Egitto, il dibattito si è concentrato sui potenziali effetti negativi sui giovani e sulla società, con accuse di promuovere contenuti ritenuti “non conformi all’Islam né ai valori culturali e morali del Paese musulmano”.