Pechino minaccia “contromosse” che rischiano di mettere KO un’Europa enormemente dipendente dalla Cina per la realizzazione dei suoi progetti di transizione energetica e per l'approvvigionamento di materie prime
Una prima reazione ufficiale di Pechino alla decisione della Commissione europea di introdurre dei dazi del 38-45% sull’import di auto elettriche cinesi non si è fatta aspettare. La Cina ha bollato come “protezionismo sfacciato e assolutamente sleale” i dazi aggiuntivi imposti contro i veicoli elettrici esportati verso i Paesi dell’Unione europea.
Le divergenze tra i Paesi membri della UE non hanno permesso di raggiungere la maggioranza qualificata necessaria, la quale consiste in almeno 15 Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Ciononostante la Commissione europea ha annunciato di aver ottenuto il “necessario sostegno”. Bruxelles ha aggiunto però che “saranno proseguiti i negoziati con Pechino per sondare una soluzione alternativa che sia pienamente compatibile con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO)”. In assenza di un voto chiaro in un senso o nell’altro, la Commissione europea, che ha il potere esclusivo di definire la politica commerciale del blocco, potrà applicare i dazi, che in teoria dovranno entrare in vigore il 31 ottobre del 2024, dureranno cinque anni e potranno incrementare i prezzi dei prodotti fino al 45 per cento.
“I dazi non solo ostacolano la cooperazione commerciale e di investimento t ra la Cina e l’Unione europea, ma ritardano il processo di trasformazione verde del continente europeo”, ha scritto in un comunicato il ministero del Commercio della Cina. Vale a dire che senza la Cina il già traballante programma del Green Deal in Europa non potrà essere realizzato. E questo perché, secondo un report del Centro studi australiano “Climate Energy Finance”, le “aziende cinesi leader mondiali nel settore dell’energia pulita stanno investendo di più all’estero”: dai parchi eolici e solari alle fabbriche di batterie a litio, dalle dighe idroelettriche alle linee per la trasmissione di elettricità. Secondo gli analisti australiani “negli ultimi due anni le società cinesi hanno annunciato piani d’investimento in tecnologie pulite per circa 100 miliardi di dollari in tutto il mondo”.
Come hanno ricordato i media europei “tali investimenti coinvolgono direttamente anche l’Europa, in primis l’Ungheria, dove si stanno costruendo vasti impianti di produzione di batterie e auto elettriche, ma anche l’Italia, dove il colosso Ming Yang sta trattando gli ultimi dettagli per una fabbrica di turbine eoliche. Il tentativo è in questo caso quello di evitare le tariffe andando a produrre direttamente su suolo europeo”.
Gli occhi non soltanto dei produttori cinesi, ma anche delle case automobilistiche europee con la Germania in prima fila, visto che circa il 30% delle vendite della trojka, composta di BMW, Mercedes e Volkswagen, dipende ancora dal mercato cinese, sono puntati sul dialogo fra il commissario della UE, Valdis Dombrovskis, e il ministro del commercio cinese, Wang Wentao (nella foto), al fine di individuare una soluzione negoziata alla controversia.
Il ministero del Commercio cinese ha annunciato che un “nuovo round di colloqui con la UE si svolgerà lunedì, 7 ottobre”, ribadendo l’auspicio a trovare una “soluzione negoziale che soddisfi entrambe le parti”.