Mentre si avvicina il voto a Taiwan per l’elezione il 13 gennaio del nuovo presidente dell’isola, l’agenzia Bloomberg ha analizzato i costi per l’economia mondiale di un eventuale conflitto militare tra Pechino e Taipei. Secondo le stime degli analisti di Bloomberg “una guerra per la riunificazione di Taiwan alla Cina costerebbe così tanto in sangue e in ricchezze materiali, che anche i più insoddisfatti dello status quo hanno motivo di non rischiare”.
In termini più concreti, lo scoppio di un conflitto militare su larga scala per il controllo di Taiwan potrebbe costare al mondo intero 10.000 miliardi di dollari, una cifra che “farebbe impallidire persino le gravissime conseguenze economiche della pandemia di Covid-19, le ricadute del cruento conflitto in Ucraina e della crisi finanziaria globale messe insieme”.
Il costo dell’ipotetico conflitto militare equivale – secondo Bloomberg – a oltre il 10% del Prodotto interno lordo mondiale. L’impatto economico sarebbe legato in primo luogo al ruolo centrale che l’Isola svolge per l’industria mondiale dei semiconduttori. Come hanno scritto gli esperti di Bloomberg il 5,6% del valore aggiunto prodotto su scala mondiale, ovvero 6.000 miliardi di dollari, deriva da settori che fanno un uso diretto dei microchip. In particolare la capitalizzazione di mercato dei 20 maggiori clienti del colosso taiwanese dei semiconduttori TSMC supera i 7.400 miliardi di dollari. Inoltre lo Stretto di Taiwan, che negli ultimi mesi è diventato l’arena di preoccupanti manovre militari “è uno dei corridoi del commercio marittimo più trafficati del mondo”.
Secondo gli analisti di Bloomberg le conseguenze della crisi post-voto sarebbero essenzialmente due: un blocco dell’isola, che escluderebbe Taiwan dal commercio mondiale, e una vera e propria invasione militare cinese, con il coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti a difesa di Taiwan. Per l’agenzia economica e finanziaria statunitense “un blocco dell’isola da parte della Cina comporterebbe un crollo del PIL taiwanese del 12,2% nel corso del primo anno del conflitto”, mentre per la Cina, gli Stati Uniti e il mondo intero la ricaduta in termini di PIL ammonterebbe rispettivamente all’8,9%, al 3,3% e al 5 per cento.
Qualora nessuna soluzione politica fosse trovata e si passerebbe a un conflitto militare su larga scala l’economia Taiwanese “subirebbe un collasso, con un crollo del 40% in un anno e la distruzione degli insediamenti civili e industriali lungo la costa”. Anche il PIL cinese “rischierebbe un tracollo di circa il 17%”, mentre per gli Stati Uniti il danno economico ammonterebbe a circa il 6,7% del PIL. A livello mondiale il danno al Pil potrebbe ammontare al 10,2%, con ricadute particolarmente pesanti per le economie della Corea del Sud, del Giappone e dell’intero Sud-est asiatico.
Bloomberg ha ricordato che le “tensioni nello Stretto di Taiwan hanno raggiunto un livello di guardia senza precedenti dopo la visita a Taipei nel 2022 di Nancy Pelos, ex presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti”. Il presidente cinese, Xi Jinping, ha dichiarato diverse volte che “Pechino è determinato a portare a termine il processo della riunificazione con l’isola”, che Pechino tradizionalmente ritiene una propria “provincia secessionista”.