Si decideranno al ballottaggio le elezioni ecuadoriane. Il primo turno è stato completato il 20 agosto in un clima surreale e “blindato” visti i recenti drammatici episodi, il più grave dei quali è stato l’assassinio del candidato presidente Fernando Villavicencio. In molti hanno parlato di “elezioni blindate”: i candidati hanno fatto i comizi finali indossando giubbotti antiproiettile e migliaia di agenti sono stati mobilitati per presidiare i seggi.
Il maggior numero di voti al primo turno è andato a Luisa González, del partito Movimiento Revolución Ciudadana (formazione di sinistra legata all’ex presidente Rafael Correa), con il 33% dei voti. Segue Daniel Noboa Azin, imprenditore centrista che con il 24 % dei voti è stata la vera e propria sorpresa di queste elezioni. Daniel è l’erede di Alvaro Noboa, il magnate del mercato delle banane. Il terzo posto al primo turno, con il 16% dei voti, è andato a Christian Zurita, giornalista, che ha sostituito Fernando Villavicencio, il candidato che era stato ucciso lo scorso 10 agosto al termine di un comizio a Quito.
Il ballottaggio si svolgerà il prossimo 15 ottobre e per l’Ecuador sarà in ogni caso un risultato senza precedenti: Luisa González sarebbe infatti la prima donna presidente, Noboa sarebbe il più giovane della storia del Paese.
Inutile dire che il prossimo presidente (che sarà in carica solo fino al 2025, ovvero la fine dell’attuale legislatura) si troverà ad affrontare una situazione estremamente delicata. L’avvicinamento a queste elezioni è stato segnato da una scia di sangue, e il Paese sta tristemente scalando le classifiche per numero di morti violente. L’Ecuador è negli ultimi anni diventato un vero e proprio hub per la droga sudamericana che arriva da Perù e Colombia e da qui viene smistata in Europa e Nord America. Vari sono i gruppi criminali operanti nel paese legati ai tristemente storici cartelli messicani Jalisco e Sinaloa.
Contestualmente alle elezioni presidenziali si votava anche per il referendum sull’Amazzonia, in particolare sull’opportunità di estrarre petrolio in una zona di particolare pregio naturalistico, protetta da un parco e con varie tribù indigene che vivono al suo interno. Il popolo si è espresso per lo stop alle trivellazioni anche se le istituzioni finanziarie ecuadoriane avevano avvertito che rinunciare al petrolio del parco Yasunì sarebbe costato allo Stato attorno ai 15 miliardi di dollari di entrate nei prossimi 20 anni. L’estrazione di petrolio è una delle colonne dell’economia del Paese e dai pozzi in questione si estrae l’11% della produzione nazionale di greggio.