Il complesso rapporto tra il mondo Big Tech e gli Stati si arricchisce di un nuovo capitolo negli Stati Uniti. L’Internal Revenue Service (IRS), ovvero il fisco Usa, ha chiesto la cifra di 29 miliardi di dollari a Microsoft per tasse che il colosso di Redmond non avrebbe pagato nel periodo che va da 2004 al 2013.
La risposta di Microsoft non si è fatta attendere: “Crediamo fermamente di aver agito in conformità con le norme e i regolamenti dell’IRS e che la nostra posizione sia supportata dalla giurisprudenza. È importante notare che il processo di appello dell’IRS richiederà diversi anni e, se non riusciremo a raggiungere un accordo diretto con l’IRS, Microsoft avrà l’opportunità di contestare le questioni irrisolte in tribunale”. La società spiega in ogni caso di voler continuare a collaborare con l’IRS e di riuscire a trovare un accordo nei prossimi anni. “Continueremo inoltre a condividere gli aggiornamenti sugli sviluppi significativi attraverso le nostre relazioni pubbliche trimestrali e annuali e i nostri bilanci, come abbiamo fatto durante l’intero processo. Al 30 settembre 2023, riteniamo che i nostri accantonamenti per le imposte sul reddito siano adeguati”.
L’IRS punta il dito sul modo in cui Microsoft ha distribuito i profitti attraverso varie giurisdizioni internazionali, una pratica finalizzata a condividere i costi che in più occasioni viene utilizzata dalle aziende multinazionali. Sostanzialmente i ricavi vengono “dirottati” verso i Paesi con bassa tassazione per massimizzare i profitti ed eludendo invece i regimi fiscali dei mercati principali.
Secondo quanto sostiene Microsoft: “Molte grandi multinazionali utilizzano la condivisione dei costi perché riflette la natura globale della loro attività. Poiché le nostre consociate hanno partecipato ai costi di sviluppo di alcune proprietà intellettuali, in base alle normative IRS sulla condivisione dei costi, le consociate avevano diritto anche ai relativi profitti”.
Un caso simile, nel 2016, aveva portato l’UE a chiedere a Apple 14 miliardi di dollari di tasse arretrate. L’appello aveva però dato ragione alla società di Cupertino e ora è in corso un ulteriore grado di giudizio.