Haiti è nel caos. Il Paese più povero delle Americhe, uno dei più poveri del mondo, non trova pace: dall’assassinio del presidente, Jovenel Moise, avvenuto nel 2021, le bande criminali spadroneggiano e nel 2023 si sono aggiunti vari eventi naturali, come le inondazioni e un terremoto a flagellare ulteriormente la popolazione. A peggiorare il clima già estremamente teso è arrivata, il 15 settembre, la decisione da parte della Repubblica Dominicana di chiudere le frontiere tra i due Paesi che si dividono l’isola di Hispaniola. Chiusura che è seguita a una controversia legata a un canale in territorio Haitiano che preleva acqua dal Masacre, il fiume che scorre lungo il confine.
Il 20 settembre il capo della più influente di queste bande armate, l’ex ufficiale di polizia Jimmy “Barbecue” Cherizier, ha esortato gli haitiani a rovesciare il primo ministro Ariel Henry, a capo di un governo ad interim dalla morte di Moise. Cherizier ha organizzato una coalizione di gang e ha marciato, armi in pugno, per le vie di Port-au-Prince. Il capobanda ha anche dichiarato che sarà combattuta qualsiasi forza multinazionale che “commetta abusi” ad Haiti. E il riferimento è alla possibilità che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvi l’invio di una forza multinazionale per sostenere la polizia haitiana.
Nel frattempo la crisi umanitaria che colpisce la popolazione si aggrava sempre di più. Max Leroy Mésidor, arcivescovo metropolita di Port-au-Prince ha spiegato al SIR che “l’insicurezza imperversa a Port-au-Prince da più di due anni. Ma negli ultimi mesi la situazione è notevolmente peggiorata. Le bande controllano più di tre quarti del territorio della capitale (…) rivendicano la responsabilità dei loro crimini abominevoli: furti, stupri, saccheggi, incendi dolosi, rapimenti e omicidi. Moltiplicano le dimostrazioni di forza, occupando ogni giorno nuove aree sotto lo sguardo impassibile e indifferente delle autorità”.