I Paesi BRICS costruiscono catene di approvvigionamento alternative

L’Occidente rischia di rimanere senza molti prodotti essenziali, dai fertilizzanti al grano, dagli idrocarburi alle terre rare

La supply chain è un insieme di processi che sono finalizzati a portare sul mercato un prodotto o servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente.

Il Fondo monetario internazionale suona l’allarme: l’economia e il commercio mondiali si dividono in due blocchi, gli interscambi, in primo luogo quelli relativi alle materia prime vanno con il contagocce e le tradizionali supply chain sono a rischio. Inoltre, l’applicazione a dismisura da parte dell’Occidente delle politiche sanzionatorie ha compromesso la sua affidabilità agli occhi di molti Paesi del mondo che si riuniscono in associazioni e cominciano a costruire delle catene di approvvigionamento alternative.

Il gruppo in vetta alle classifiche delle news internazionali è quello dei BRICS, che il 1° gennaio del 2024 si allargherà a sei Paesi nuovi. All’ultimo summit di Johannesburg gli Stati-fondatori: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, hanno trasmesso l’invito ufficiale di adesione a Egitto, Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Il gruppo si prepara a cementare la propria presenza nella maggior parte dei continenti e sta lavorando sulla costruzione di un sistema integrale di interscambi commerciali e di transazioni finanziarie che potranno essere effettuate anche in valute nazionali degli Stati-membri. Un ruolo importante è stato affidato alla Nuova banca di sviluppo (New Development Bank, NDB), l’istituto di credito dei BRICS con sede a Shanghai, in Cina.

Le informazioni degli ultimi mesi permettono di capire la portata dei processi di integrazione. In settembre, dopo un’interruzione di due anni, la Russia ha riavviato le esportazioni di petrolio verso il Brasile, che ha ricevuto 620.000 barili di greggio del marchio Urals, il volume massimo mai importato negli ultimi 13 anni.

Il Brasile importa molti derivati petroliferi russi, in primo luogo benzina e diesel, ma in settembre il Governo russo ha vietato momentaneamente l’export di carburanti, per soddisfare la domanda interna dei produttori agricoli, impegnati a raccogliere 137 milioni di tonnellate di grano. Il 43% del raccolto cerealicolo russo sarà destinato al commercio con l’estero, in primo luogo con i Paesi BRICS. In settembre il Brasile ha importato dalla Russia 246.000 tonnellate di frumento (61 milioni di dollari), registrando un aumento di 2,6 volte rispetto all’import del mese precedente.

Ma sul piano delle importazioni di grano russo nel periodo luglio-settembre 2023 il primato è stato dell’Egitto, che si prepara a diventare Paese-membro dei BRICS a pieno titolo. Nei tre mesi passati l’Egitto ha importato dalla Russia 2,03 milioni di tonnellate di grano, ovvero +9,1% rispetto all’analogo trimestre del 2022 (1,862 milioni di tonnellate).

Complessivamente nel periodo luglio-settembre la Russia ha venduto all’estero 18,18 milioni di tonnellate di grano, superando così del 61% le esportazioni cerealicole nell’analogo periodo precedente, quando l’export totalizzò 11,2 milioni di tonnellate. Al secondo e al terzo posto dei maggiori importatori di grano russo si trovano attualmente la Turchia (1,864 milioni di tonnellate) e l’Iran (1,817 milioni di tonnellate).

Numeri in crescita anche per l’Arabia Saudita che nel luglio-settembre ha aumentato le importazioni di grano dalla Russia del 61,2% fino a 1,664 milioni di tonnellate mentre la Libia con 1,108 milioni di tonnellate di grano importate, ha ridotto del 10,3% rispetto all’analogo periodo del 2022.