Il caffè non costava mai così tanto sin dal 1972

In gravi difficoltà le produzioni dell'America Latina e in Vietnam

Il prezzo del caffè, inteso come chicco o materia prima, ha raggiunto martedì, 10 dicembre, il suo massimo dal 1972 salendo a quota 3,4 dollari per una libbra (circa 500 grammi). Come indicano i trader per un chilogrammo di questa deliziosa “materia prima” ci vogliono dunque 7 dollari, praticamente il quadruplo del prezzo del 2020.

L’impennata dei prezzi si spiega con due motivi principali. Da un lato i mercati hanno reagito ai problemi delle produzione, specie in due grandi Paesi fornitori: il Brasile (caffè arabica) e il Vietnam (robusta). Nel 2024 le piantagioni del caffè in questi due Paesi molto lontani l’uno dall’altro sono state sottoposte a condizioni meteorologiche molto sfavorevoli. “Volcafe”, uno dei maggiori trader globali, ha tagliato le sue previsioni sulla produzione brasiliana, che dovrebbe attestarsi nella prossima stagione a 34,4 milioni di “sacchi” (nella foto, misura tradizionale in “sacchi di iuta” che pesano in media 60 chili, N.d.R.) di arabica, ovvero 11,1 milioni di sacchi in meno di quanto era stato stimato in settembre.

Si prospettano i problemi altrettanto gravi per i coltivatori in Colombia, in Costa Rica e in Honduras. Vale a dire che per il quinto anno consecutivo, anche nel 2025-2026 la domanda di caffè sarà molto più alta rispetto all’offerta. Come conseguenza già nel 2024 il rincaro della varietà arabica è stato di oltre il 70 per cento.

Il secondo motivo dell’impennata dei prezzi del caffè in Europa è legato al fatto che molti importatori di caffè come materia prima si stanno affrettando ad acquistarlo prima che entri in vigore il nuovo regolamento dell’Unione europea, in base al quale a partire dal 2026 sarà vietata l’importazione di caffè proveniente da “terreni deforestati”.