L'operazione, approvata dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica ha innescato una crisi diplomatica tra Cina e Giappone
Giovedì, 5 ottobre, il Giappone ha ripreso a scaricare nell’Oceano Pacifico altre 7.800 tonnellate di acque trattate, utilizzate in precedenza per raffreddare i reattori della centrale nucleare di Fukushima, distrutta l’11 marzo del 2011 da un forte terremoto, seguito da uno tsunami.
La Tokyo Electric Power (TEPCO) che gestisce la ex centrale nucleare, ha annunciato che nei prossimi 17 giorni l’acqua decontaminata, ma sempre contenete notevoli quantità del trizio, sarà scaricata attraverso un tunnel sottomarino lungo un chilometro, a un ritmo di 460 tonnellate al giorno.
Tutta l’operazione, aspramente criticata dalla Cina e dai Paesi vicini, potrà durare per almeno 30 anni, nel corso dei quali nel Pacifico dovranno essere sversati oltre 1,34 milioni di tonnellate di acqua e di altri liquidi trattati, che attualmente sono contenuti in oltre mille cisterne posizionate attorno alla centrale disastrata, e riempite a circa il 98% della loro capacità massima di stoccaggio.
La prima tappa del progetto, avviato dal Governo di Tokio lo scorso 24 agosto con l’approvazione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), prevede di rilasciare entro la fine di marzo 2024 un totale di circa 31.200 tonnellate dell’acqua. Le autorità giapponesi hanno dichiarato che il livello di concentrazione del trizio nell’acqua trattata, diluita con acqua di mare in proporzione 1:1200, era di “soli” 63-87 becquerel per litro, molto al di sotto di 1.500 becquerel, ovvero “un quarantesimo della concentrazione consentita secondo gli standard di sicurezza giapponesi e internazionali”.
Anche gli esperti dell’AIEA hanno confermato che durante il primo turno di scarico, avvenuto dal 24 agosto all’11 di settembre, “non sono state rilevate concentrazioni anomale di trizio né di altre sostanze radioattive nelle acque circostanti o nei campioni di pesce raccolti attorno all’impianto nucleare”.
Ciononostante la Cina continua a denunciare la decisione di Tokio e ha imposto un divieto totale sulle importazioni di prodotti ittici giapponesi, provenienti dalle acque intorno a Fukushima. Le associazioni dei pescatori nipponici sono in crisi e il Governo di Fumio Kishida è stato costretto ad aumentare i sussidi all’industria locale. Dopo l’inizio dell’operazione di sversamento, le importazioni del pesce giapponese in Cina sono diminuite del 70% al mese.
I fornitori di prodotti ittici nipponici lavorano a 360 gradi per immettere i loro prodotti su mercati alternativi, in primo luogo su quello della Corea del Sud, ma per il momento senza successo: è molto difficile, impossibile quasi, rimpiazzare un cliente come Pechino. La quantità di pesce invenduto aumenta di giorno in giorno, i freezer sono pieni e i prezzi sono in picchiata libera.
Secondo i media cinesi la mossa delle autorità fitosanitarie di Pechino di sospendere l’import dei prodotti marittimi giapponesi ha scatenato addirittura un “conflitto diplomatico tra i due Paesi e un aumento del sentimento anti-giapponese in Cina”, al punto che “molte imprese e uffici diplomatici giapponesi hanno denunciato un enorme numero di chiamate offensive”. E il 4 di ottobre il rappresentante ufficiale del ministero degli Esteri della Russia, Maria Zakharova, ha denunciato l’operazione, accusando il Giappone di “non poter garantire l’assenza di una minaccia a lungo termine e di non aver fornito informazioni complete sulle operazioni di scarico nonostante le ripetute richieste provenienti sia da Mosca che da Pechino”.