Analisti: l’esito del voto influenzerà poco o niente il futuro del programma nucleare di Teheran
Venerdì, 28 giugno, oltre 61 milioni di cittadini iraniani aventi diritto al voto saranno chiamati alle urne per eleggere il successore del defunto presidente, Ebrahim Raisi, morto il 19 maggio in un incidente in elicottero. Le autorità temono l’assenteismo di massa e a pochi giorni dalle elezioni, la guida religiosa suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, si è rivolto con un appello alla Nazione, affinché il popolo iraniano garantisca una “forte partecipazione alle urne”. Nel suo discorso Khamenei ha sottolineato “l’importanza di questa straordinaria tornata elettorale”, volta a dimostrare tra l’altro al mondo intero la “compattezza del popolo iraniano di fronte alle pressioni esterne”.
Khamenei ha evidenziato l’importanza della partecipazione di massa alle elezioni, definendo l’alta affluenza alle urne una delle ragioni per cui la Repubblica Islamica ha avuto la meglio sui suoi nemici: “La forza dell’Iran non sta nel possedere una serie di missili – ha sottolineato la guida suprema -, ma fondamentalmente nella partecipazione attiva dei suoi cittadini al processo elettorale”. I vertici politici dell’Iran non possono non preoccuparsi per un’altra eventuale scarsa partecipazioni degli elettori, dopo che alle elezioni parlamentari a marzo, si era registrata un’affluenza molto bassa del 59 per cento.
Degli oltre 80 candidati che si erano presentati per le elezioni, il Consiglio dei guardiani, un organo composto di sei teologi, nominati da Khamenei, e di sei giuristi, approvati dal Parlamento, che ha il compito di verificare l’idoneità dei candidati, ha ammesso soli sei uomini, due dei quali – Amirhossein Ghazizadeh Hashemi e Saeed Jalili – sono considerati “ultraconservatori”, altri tre – Mohammad Bagher Ghalibaf, Mustafa Pourmohammadi e Alireza Zakani – passano per “pragmatici”, mentre c’è una sola “pecora nera”, Massoud Pezeshkian, candidato appartenente alla corrente “riformista”.
Secondo la stampa iraniana, la “vera sfida si giocherà probabilmente tra Pezeshkian, Jalili e Ghalibaf, l’attuale presidente del Parlamento iraniano”, con quest’ultimo dato per favorito.
Sul piano delle relazioni internazionali, il tema centrale delle elezioni e della futura presidenza, sarà il programma nucleare su cui Teheran ha lavorato negli ultimi anni e che costituisce la principale fonte di preoccupazione per Israele e per gli Stati Uniti. Ciononostante secondo gli analisti iraniani e internazionali, l’elezione dell’uno o dell’altro candidato alla carica di presidente della Repubblica Islamica “non dovrebbe segnare un cambiamento significativo nella politica nucleare, né in quella estera di Teheran”, perché rimangono “l’appannaggio della guida suprema, il vero fulcro del potere iraniano”.
Ma c’è chi sostiene anche che il successo del programma nucleare militare dell’Iran, potrebbe spingere molti Paesi vicini, dalla Turchia, all’Egitto e anche all’Arabia Saudita ad accelerare i propri analoghi programmi atomici, rendendo il mondo intero decisamente molto più instabile e pericoloso.