Israele in guerra. Corrono petrolio, oro e dollaro

Dopo l’attacco di Hamas contro Israele le quotazioni petrolifere prendono il volo, mentre gli esperti hanno ricordato che gli eventi di questo genere, seppur drammatici e inaspettati, hanno di solito un “impatto a breve termine” sui mercati del greggio.

Mentre Israele e il mondo intero piangono le vittime del fulmineo attacco di Hamas, le quotazioni petrolifere continuano a salire. I futures del petrolio texano WTI con consegna in novembre guadagna lunedì 9 ottobre oltre il 3%, salendo a quota 85,5 dollari al barile. Anche il petrolio di riferimento del Brent del Mare nord segue il trend al rialzo, incassando 87 dollari al barile (+2,86%) per i contratti dell’ultimo mese del 2023. In Asia anche l’oro come “rifugio” sale a quota 1.864 dollari l’oncia (+1%). Le quotazioni asiatiche sono state però soggette a tutta una serie di fattori “nazionali”: la Borsa di Shanghai è reduce di una settimana di festeggiamenti della “Golden Week”, le contrattazioni a Hong Kong sono state sospese a causa di un tifone, mentre i mercati in Corea del Sud e in Giappone sono chiusi per festività nazionali.

Il balzo dei futures del greggio WTI e Brent ha recuperato alcune perdite della scorsa settimana – Brent aveva perso addirittura l’11,3%, il maggior crollo dal marzo 2023 – dopo che un attacco a sorpresa di Hamas contro Israele ha aumentato i rischi d’instabilità geopolitica in Medio Oriente.

Per quanto riguarda i mercati valutari il dollaro prende forza sull’euro (-0,33% a 1,0555 la valuta comune). Lunedì gli USA festeggiano il Columbus Day che, sebbene sia una festa federale, non influisce sugli orari di apertura del mercato azionario.

In primo luogo la guerra in Israele ha messo in forse le speranze di Washington di riallacciare le relazioni con l’Arabia Saudita, Paese-leader dell’OPEC+, per spingere il Regno verso l’aumento della propria produzione petrolifera. Venerdì 6 ottobre, alla vigilia dell’attacco di Hamas, il quotidiano statunitense Wall Street Journal scriveva che “l’Arabia Saudita sarebbe pronta ad aumentare la produzione di greggio già all’inizio del prossimo anno come parte integrante di un accordo in base al quale il Regno riconoscerebbe lo Stato di Israele e in cambio otterrebbe un accordo di difesa con gli Stati Uniti”.

Secondo l’agenzia di stampa Reuters “un aumento della produzione saudita contribuirebbe ad alleviare la carenza di offerta sul mercato petrolifero globale dopo alcuni mesi di tagli da parte dei principali produttori, la Russia compresa”.

Infine i mercati sono in fibrillazione per il possibile coinvolgimento, citato da Washington, dell’Iran nell’attacco di Hamas. Teheran, un importante produttore di petrolio e uno dei sostenitori di Hamas, ha respinto le accuse americane. “Le eventuali misure di ritorsione contro Teheran potrebbero mettere a rischio la navigazione delle navi petroliere nello Stretto di Hormuz, che l’Iran ha minacciato di chiudere”, ha scritto l’agenzia Bloomberg.

Lo Stretto di Hormuz è una delle più importanti arterie di trasporto per il mercato globale del petrolio e del gas, attraverso la quale ogni anno transitano un terzo delle esportazioni mondiali di gas naturale liquefatto (GNL) e un quarto del volume mondiale di petrolio.