Il Sole 24 Ore, il più autorevole quotidiano politico, economico e finanziario dell'Italia, ha analizzato la recente performance dell'industria della difesa globale ed è arrivato alla logica conclusione che la "guerra tra Israele e Hamas ha affossato le Borse ma i titoli delle aziende che producono armi stanno beneficiando di nuovi rialzi, come già era avvenuto con la guerra tra Russia e Ucraina nel 2022".
Succede sempre: c’è chi con la guerra muore, c’è chi dalla guerra guadagna. Meglio di così per i complessi militare-industriali di tutto il mondo non poteva andare. Mentre per la guerra tra la Russia e l’Ucraina, che solo dalla parte di Kiev ha finora assorbito “aiuti” occidentali, ovvero armi e munizioni vecchi e nuovi, per oltre 110 miliardi di dollari la parola “fine” diventa un sogno sempre più lontano, scoppia il cruento conflitto armato tra Hamas e Israele, e nessuno ora saprebbe predire che piega possa prendere. L’unica “previsione” in termini di denaro è stata appena fatta dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, secondo il quale i nuovi aiuti a Kiev, a Tel Aviv ma anche a Taiwan verranno a costare ai contribuenti americani altri 100 miliardi di dollari.
L’autorevole quotidiano economico e finanziario italiano Il Sole 24 Ore ha messo tutti i puntini sulle “i”, pubblicando un’analisi dettagliata dell’andamento dei titoli delle aziende del complesso militare-industriale ed è arrivato a una conclusione per niente sorprendente: “La guerra tra Israele e Hamas ha affossato le Borse ma i titoli delle aziende che producono armi stanno beneficiando di nuovi rialzi, come già era avvenuto con la guerra tra Russia e Ucraina nel 2022”.
Secondo le ricerche dell’editorialista de Il Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, dal 7 ottobre, il giorno in cui l’attacco di Hamas è costato la vita a 1.300 persone nel Sud di Israele ed è seguita un’azione di guerra di Israele contro la striscia di Gaza che ha fatto 3.785 vittime tra i palestinesi, “le azioni delle società del comparto difesa hanno ripreso slancio in tutto il mondo”.
Ovviamente meglio di tutti i concorrenti vanno gli affari dell’industria bellica degli Stati Uniti. Secondo Dragoni “il rialzo maggiore è stato quello dei titoli di Northrop Grumman, terza grande società americana del settore: +15,8% dal 6 ottobre al 20 ottobre”. Ottimi risultati anche per General Dynamics (+8,2%), che costruisce soprattutto armamenti terrestri tra cui i carri armati M1 Abrams e per Rtx, ex Raytheon (+5,9%), numero uno mondiale dei missili, produce gli Stinger e i Javelin, i primi due tipi di missili forniti dagli Stati Uniti all’Ucraina nel 2022. Secondo alcuni esperti i razzi anti carro Javelin erano stati forniti all’Ucraina prima del 2020 da Donald Trump, allora presidente degli USA.
Lockheed Martin, il principale contractor del Pentagono, che costruisce i cacciabombardieri F-16 e F-35 e i missili a lunga gittata ATACAMS, che sono stati appena trasferiti in Ucraina per non permettere la controffensiva russa, e i Javelin (in joint venture con l’ex Raytheon), ha visto salire le proprie azioni del 12,1%.
In Europa il boom del settore militare-industriale ha toccato il gruppo italiano Leonardo, ex Finmeccanica, che in America ha una controllata Leonardo DRS e che l’anno scorso si è fusa con l’israeliana Rada. Dal 6 ottobre le azioni di Leonardo Drs hanno guadagnato il 13,2 per cento. Un’altra società tedesca, Hensoldt, specializzata in elettronica (fornisce anche l’Eurofighter), partecipata al 25,1% sempre da Leonardo, ha guadagnato il 9,4 per cento.
“Ma l’azienda di armi che ha avuto i rialzi di Borsa più alti nel mondo – scrive il quotidiano italiano – è stata la tedesca Rheinmetall, che produce munizioni, blindati terrestri e carri armati tra cui i Leopard”, che combattono in Ucraina. Dal 6 ottobre, il giorno precedente all’attacco di Hamas e fino al 20 di ottobre i titoli del gruppo tedesco hanno avuto un rialzo dell’11,5%, il più alto fra le società europee.